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sabato 21 giugno 2014

ADHD – Rush Hour, un film che affronta un tema importante per la collettività

Titolo: ADHD – Rush Hour
Regia e sceneggiatura: Stella Savino
Prodotto da: Andrea Stucovitz
Musiche: Walter Fasano
Consulente scientifico: Stefano Canali
Co-produzione: Italia, Germania, 2012
Distributore: Micromega
Patrocinio: Regione Puglia – Giù le mani dai bambini


Questo documentario ADHD (Attention-Deficit/Hyperactivity Disorder, cioè Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività) trae il titolo da un’anormalità neuro-chimica, un disturbo evolutivo dell’autocontrollo, secondo cui milioni di bambini al mondo sono considerati malati. La sinossi del film recita - La comunità scientifica dibatte e si divide da più di 50 anni su cosa sia l’ADHD veramente. La vostra diagnosi dipenderà esclusivamente dal medico che incontrerete sulla vostra strada. Di certo c’è che i test di laboratorio e i criteri utilizzati per la diagnosi sono limitati e la cura farmacologica non è senza conseguenze: l’atomexina produce allucinazioni, gravi danni epatici e tendenze suicide, e il metilfenidato è un’anfetamina, classificata dalla DEA (Drug Enforcement Administration) nello stesso gruppo dei narcotici, insieme con l’eroina, la morfina e la cocaina. L’ONU parla di emergenza sanitaria, denuncia e lancia l’allarme ADHD “il Consiglio invita le nazioni a valutare la possibile sovrastima dell’ADHD e frenino l’uso eccessivo del metilfenidato (Ritalin). Negli Stati Uniti è stata diagnosticata l’ADHD nei bambini di appena un anno”.-

Il film si svolge in un viaggio tra Europa e USA, tra laboratori di genetica e Brain Imaging, tra aule universitarie e scuole elementari, dove il dibattito scientifico si realizza ascoltando la voce dei protagonisti. Tra questi troviamo il dottor Leif Elinder, pediatra svedese che dubita, in seguito agli effetti collaterali del Ritalin, dell’efficacia di quel tipo di trattamento, o il prof. Stefano Canali, docente universitario di Storia della Medicina e Bioetica, il quale, citando, in una sua lezione all’interno di un’aula universitaria romana, Franz Joseph Gall (1796),  Alexander Crichton (1798) e George Frederick Still (1902), sottolinea il fatto che nel corso della storia molte malattie neurologiche sono comparse e scomparse con la medesima velocità, come ad esempio l’omosessualità, che era considerata una malattia. A loro si alternano le storie di bambini come Zache, dieci anni, di Miami, che ha ricevuto la diagnosi  di ADHD al primo anno di asilo, oppure di adolescenti, come Armando, diciannove anni, studente romano del terzo anno delle scuole superiori, che - essendogli stato diagnosticato l’ADHD all’età di dieci anni -, è sottoposto da ben nove anni a cura farmacologica, la quale gli produce, tra gli effetti collaterali, lo sdoppiamento della personalità. Storie che si intercalano con i travagli interiori, le angosce e i patimenti raccontati dalle rispettive madri.
A tutte queste voci si unisce anche quella di Lindsay, venticinque anni, che vive a New York, laureata, che ricevette la prima diagnosi di ADD (Attention Deficit Disorder) a ventuno anni (la diagnosi dell’ADHD o ADD, da sempre definita nel DSM o Manuale Diagnostico Disordini Psichiatrici, come disturbo dell’età evolutiva, colpisce oggi anche gli adulti).

La regista Stella Savino, napoletana, laureata in Letteratura Francese,  racconta che nel 2008, leggendo “Il Corriere del Mezzogiorno”, le capitò un articolo in cui si parlava del farmaco Ritalin come cura dell’ADHD. Volle approfondire l’argomento su Internet, dove scoprì che questa malattia negli USA aveva un’incidenza dell’11 % mentre in Italia soltanto dell’1 %, e che la relativa diagnosi non richiede analisi cliniche ma si basa soltanto sulla valutazione non metodologicamente scientifica di un ipotetico deficit di attenzione o di iperattività.  Il divario molto ampio tra quei valori percentuali e l’assenza di dati analitici oggettivi la spinse ad indagare sull’argomento pensando di sollevare delle questioni in merito. Rivolgendosi a consulenti, come il citato prof. Stefano Canali, venne a conoscenza che personaggi come Picasso, Roosevelt, Einstein e altri, nella loro infanzia avevano mostrato deficit di tal natura che, però, non gli aveva impedito di diventare uomini straordinari e famosi.
Per questo Stella Savino, con  un’esperienza professionale maturata, sin dal 2003, nel mondo del documentario come assistente alla regia e montatrice, ha scritto e dedicato questo film “alle nostre madri”. Un film che risulta coraggioso per il tema affrontato e che ritiene necessario per la collettività. Un film dall’alto valore pedagogico che contiene alcune indicazioni implicite, e cioè quella di non lasciarsi trasportare acriticamente ed emotivamente da diagnosi che potrebbero risultare non essenziali per i figli, e quella di valutare attentamente gli effetti collaterali che l’assunzione di taluni farmaci potrebbe produrre sull’organismo.
It will come rush hour?
A tal proposito, ritornano utili e significative le seguenti citazioni estratte dal romanzo “L’intrepido alchimista”, (Senso Inverso edizioni,2014): “Bisogna rifuggire dalla magia e dall’ignoranza, che ci tengono prigionieri del presente, che per loro mezzo rimane statico, immobile e rende l’uomo perennemente schiavo” … “Siamo noi che costruiamo la realtà. Se nell’uomo regna la stupidità e l’ignoranza, è evidente che la realtà non potrà essere migliore, è una conseguenza inevitabile”.
Il film sarà nelle sale a partire da giovedì 26 giugno.
Francesco Giuliano

lunedì 17 marzo 2014

In “Smetto quando voglio” un'idea su come si vince lo stato di precariato intellettuale

Titolo: Smetto quando voglio
Regia: Sydney Sibilia  
SceneggiaturaValerio Attanasio, Andrea Garello, Sydny Sibilia 
Genere: commedia
Produzione: Italia, 2014
Cast: Edoardo Leo, Valeria Solarino, Valerio Aprea, Paolo Calabresi, Libero De Rienzo, Pietro Sermonti, Lorenza Lavia, Neri Marcorè, Stefano Fresi, [...] 


 
Questo film "Smetto quando voglio", il primo lungometraggio del giovane regista salernitano Sydney Sibilia, è una commedia, geniale nella conduzione che appare scorrevole ed essenziale, originale e singolare nella sceneggiatura, esilarante e coinvolgente per lo spettatore. Esso tratta un tema attualissimo, quello dei precari intellettuali esistenti nel nostro paese, a cui è negata ogni possibilità lavorativa. Nessuno li reclama né il mondo della ricerca né il mondo della manovalanza spicciola. Un’amara realtà drammatica che vivono i giovani del nostro tempo quotidianamente. Tant’è! E la storia ivi raccontata lo dimostra.

Pietro Zinni (Edorado Leo), un bravo ricercatore universitario, viene licenziato per mancanza di fondi, venendo a perdere cinquecento euro mensili (!) che gli davano la possibilità di sopravvivere e di sostenere, ma non in modo esaustivo, tutte le spese condominiali della casa dove abita assieme alla sua compagna  Giulia (Valeria Solarino) che fa l’assistente sociale. Nell’impossibilità di trovare lavoro, essendo neurobiologo, all’insaputa di Giulia, inventa un elaborato processo chimico che gli consente di produrre, partendo da una sostanza naturale, l’eugenolo, una nuova droga, che ha il vantaggio di essere “legale”, dato che la molecola prodotta non è contenuta nell’elenco ministeriale delle droghe illegali. Per fare questo e per il conseguente spaccio coinvolge altri suoi colleghi, anche loro ricercatori precari che si arrangiano con dei miseri lavori non confacenti alle loro rispettive professionalità, Mattia (Valerio Aprea), Andrea (Pietro Sermonti), Arturo (Paolo Calabresi),  Bartolomeo (Libero de Rienzo), Alberto (Stefano Fresi), Giorgio (Lorenzo Lavia). Un gruppo di amici, “i magnifici sette” si potrebbe dire, con competenze varie che vanno dalla macroeconomia all’antropologia, dalle lettere classiche alla’archeologia,alla chimica, che si adoperano magnificamente mettendo in campo le rispettive conoscenze e abilità professionali. Entrano tutti, ovviamente, in una spirale dove il successo risulta immediato ma urta con gli interessi del locale boss, un trafficante di droga, violento e brutale, soprannominato Murena (Neri Marcorè), anche lui una volta ricercatore precario.
Quando si entra in questa spirale è possibile smettere quando si vuole? Allo spettatore l’ardua risposta.
Smetto quando voglio”, oltre ad essere un film divertente, ha un’alta valenza educativa in quanto e, anche se in maniera spiritosa, mostra il dramma attuale vissuto dai giovani intellettuali del nostro paese che si giocano anche ciò che c’è di più sacro in un individuo: la libertà, pur di continuare a “campare”.
Francesco Giuliano

martedì 18 febbraio 2014

Sorrentino conquista Londra

Un nuovo trionfo per Paolo Sorrentino, gli regista napoletano, con il suo capolavoro, "La Grande Bellezza" vince anche il premio Bafta, il principale riconoscimento cinematografico inglese come miglior film straniero.
Sorrentino è il primo italiano a vincere il premio (che è stato assegnato a Londra nello scorso fine settimana) dopo massimo Troisi, che già defunto aveva trionfato nel 1994 il "Postino".
Si alimentano così le speranze per la notte degli Oscar e una ampia parte della critica cinematografica inglese e americana considera come reali le possibilità di un trionfo a Los Angeles.
C'è spazio per sognare.


Paolo Sorrentino, vincitore  Londra del Premio Bafta

http://stanzedicinema.com/tag/paolo-sorrentino/


La Grande Bellezza, l' ultimo film di Paolo Sorrentino

http://www.elantepenultimomohicano.com/2013/04/la-grande-bellezza-trailer.html






https://www.facebook.com/pages/Paolo-Sorrentino/179611012120846?ref=hl





giovedì 13 febbraio 2014

La Mossa del Pinguino. Claudio Amandola esordisce alla regia.

"La Mossa del Pinguino"  è una commedia prodotta nel 2013 e in uscita nelle sale il 6 Marzo del 2014, il vede alla regia un esordiente, nel ruolo, Claudio Amendola; nel cast partecipano Ricky Memphis, Francesca Inaudi, Eduardo Di Leo e Ennio Fantastichini.
La trama racconta l' avventura di quattro uomini che ormai prossimi alla mezza età insoddisfatti e scontenti decidono di inseguire il sogno olimpico dopo aver scoperto una disciplina particolare come il Curling.
Ci riusciranno, ma solo dopo roccambolesche avventure.
Il film è divertente, ma banale, si tratta della classica commedia a lieto fine, prima di pretese intellettuali.

Ecco il Trailer



Claudio Amendola, La Mossa del Pinguino

La leggenda del Santo Bevitore.

"La Leggenda del Santo Bevitore" è un bellissimo film del 1988, diretto da Ermanno e ispirato a un racconto del grandissimo scrittore austriaco Joseph Roth.
Il romanziere scrisse il racconto durante gli ultimi giorni della sua vita, mentre completamente alcolista aspettava la morte un albergo dei poveri di Parigi.
Il Film ha vinto numerosi premi, tra i quali ricordiamo due Leoni d' Oro a Venezia e vari David di Donatello e Nastri d' Argento.
La trama racconta di ultimi giorni della vita Andreas Kartack, un uomo povero, onesto e alcolizzato che riesce a terminare la sua esistenza degnamente grazie alla generosità di alcuni benefattori.
Olmi riesce a descrivere mirabilmente la mistica fine di Andreas e a riproporci il sogno di quella morte umana di Joseph Roth tanto desiderata da trasformarsi in un libro meraviglioso libro.


La Leggenda del Santo Bevitore, Ermanno Olmi

Foto di Proprietà di:
http://www.ivid.it/fotogallery/ismod_index.php?i_section=detail&i_categoria=1&i_id=289602

mercoledì 12 febbraio 2014

Sorrentino arriva l' Endosement di Tornatore

Sono molti a credere che Paolo Sorrentino abbia possibilità reali di vincere il premio Oscar per miglior film in lingua straniera, tra in tanti c'è né uno un po` più speciale degli altri:
Giuseppe Tornatore, il regista di tanti capolavori, tra i quali possiamo ricordare "Nuovo Cinema Paradiso" vincitore del Oscar nel 1990.
Il regista siciliano ha dichiarato in una intervista rilasciata nel mese di Gennaio "sono molto contento e credo che Paolo Sorrentino con "La Grande Bellezza" abbia molte possibilità".
Aumenta intanto l' attesa per la notte degli Oscar e presto scopriremo se un italiano tornerà a trionfare negli States.


La Grande Bellezza, Paolo Sorrentino

Giuseppe Tornatore

"Razza Bastarda", l' esordio alla regia di Alessandro Gassmann

La carriera di regista di Alessandro Gassmann   inizia con un film drammatico "Razza Bastarda"  che racconta la dura e porca vita alcuni immigrati rumeni nella periferia romana.
"Razza Bastarda" si ispira a un testo teatrale realizzato nel 1984 da un autore cubano, Renato Poivold , ambientato negli anni 60 nel Bronx e portato a Broadway da Robert De Niro per 6 settimane.
Gassmann ha spiegato nella conferenza stampa di presentazione che alcune periferie, nel caso il quartiere casilino a Roma, ormai assomigliano terribilmente alla periferia americana di quegli anni.
La trama racconta la drammatica vicenda di Roman (interpretato dallo stesso Alessandro Gassmann) che arrivato in Italia da 30 anni vive una vita fatta di spaccio e piccola delinquenza. L'unica cosa che riesce a regalargli felicità è l'amore per il figlio, Nicu (Giovanni Ansaldo) al quale vorrebbe regalare una esistenza migliore, allo stesso tempo Nicu si vergogna del padre che cerca di nascondere alla fidanzatina.
"Razza Bastarda" è un film triste e emozionante, dove si intrecciano affetto e criminalità; giustizia sociale e delitto. Alessandro Gassmann riesce a raccontare l' amore degli emarginati e a farci domandare cosa sia davvero la cattiveria.


Alessandro Gassmann, il Regista di "Razza Bastarda"

martedì 11 febbraio 2014

Carlo Virzi, il fratello musicista

Carlo Virzi è stato per 4 anni il cantante e chitarrasta del gruppo Snaporaz, una band livornese di musica Indi-Rock che ha ottenuto un grande successo tra gli appassionati del genere.
Carlo Virzi è anche l' Autore delle musiche di tutti i film del fratello Paolo e  il Regista due film di basso successo: "l'Estate del mio Primo Bacio" e il "Più Grande di Tutti".
Di lui apprezzo  soprattutto la collaborazione con il fratello nella realizzazione di quei film come Ovosodo hanno avuto una parte importante all'interno della commedia italiana e che fanno di loro una delle famiglie più importanti della nostra cultura cinematografica.

"Il Capitale Umano", il Nord-est secondo Virzi

L' uscita nelle sale del "Capitale Umano", l`ultimo film di Paolo Virzi, avvenuta nelle sale nel Gennaio del 2014, è stata accompagnata da numerose polemiche.
Nella sua ultima opera il regista torinese si ispira a un omonimo libro Stephen Amidon e racconta un Nord-Est decaduto e corrotto, dove la coscienza è muta di fronte ai peccati della avarizia.
Buona parte della comunità brianzola ha attaccato duramente il regista considerandolo colpevole di realizzare una visione distorta della loro terra e a mio parere dimenticando che il film non descrive una verità assoluta, ma solo un aspetto di una realtà complessa,
Virzi è bravissimo a descrivere un dramma e una decadenza territoriale che non deve però farci dimenticare quella parte di capitalismo sano e produttivo che ancora tiene in piedi il nostro paese.
Il regista Paolo Virzi

Un Italiano agli Oscar

Sette anni dopo l' ultima Nomination di Cristina Comencini e quattordici anni dopo il trionfo di Roberto Benigni, un altro italiano è in corsa per il Premio Cinematografico più importante: l' Oscar.
Paolo Sorrentino si presenta a Los Angeles con la candidatura al Premio per miglior Film straniero, forte del trionfo ai Golden Globe. Lo fa con una pellicola, "La Grande Bellezza" descrive una Roma allo stesso tempo mistica e moderna, popolare e poetica e lo fa con cast di attori italiani.
Per aggiudicarsi l' Oscar dovrá superare film di grande livello come la produzione cambogiana "The Missing Picture" e la belga "The Broken Circle Breakdown".
Chissà se il rilancio del Made in Italy non debba passare per il Cinema.
La Grande Bellezza
La Grande Belleza, Locandina in spagnolo

giovedì 6 febbraio 2014

I parenti serpenti riemergono da “I segreti di Osage County”

Titolo: I segreti di Osage County
Titolo originale: August: Osage County
Regia: John Wells
Sceneggiatura: Tracy Letts
Produzione: USA 2013

Cast: Meryl Streep, Julia Roberts, Ewan McGregor, Chris Cooper,  Juliette  Lewis, Abigail Breslin, Benedict  Cumberbatch, Margo Martindale,  Dermot Mulroney, Sma Shepard, Misty Upham,  Will Coffey, […]
Le prime immagini del film “I segreti di Osage County” (2013) ritraggono un paesaggio dell’Oklahoma, immenso, secco, caldissimo, asfissiante, spoglio di alberi, che ben si adatta alla citazione del drammaturgo T.S. Eliot, premio Nobel per la Letteratura (1948), fatta dal vecchio poeta Beverly Weston (Sam Shepard) che abita, in una casa di quel territorio desolato, assieme alla moglie Violet Weston (Meryl Streep). Non è un caso che sia stato citato il grande poeta americano che ha scritto diversi poemi, tra cui “Gli uomini vuoti” da cui, parafrasando alcuni versigli occhi non sono qui/ qui non vi sono occhi/ in questa valle di stelle morenti/ in questa valle vuota/ questa mascella spezzata dei nostri regni perduti/ in quest'ultimo dei luoghi d'incontro/ noi brancoliamo insieme/ evitiamo di parlare/ ammassati su questa riva del tumido fiume/ privati della vista, a meno che/ gli occhi non ricompaiano/ come la stella perpetua/ rosa di molte foglie/ del regno di tramonto della morte/ la speranza soltanto/ degli uomini vuoti.”, si evince la premessa del dramma che si svolgerà nel film. Un’anticipazione questa che lascia presagire i momenti funesti e ricchi di travaglio interiore che gravitano attorno a Violet, malata di tumore alla bocca, che fuma in modo insensato e si rifornisce continuamente di psicofarmaci come se fossero caramelle. Continui sproloqui e pesanti scenate con il marito Beverly evidenziano il suo precario stato di salute mentale e la sua scarsa sensibilità, o meglio la sua aridità d’animo come l’ambiente in cui vive. A dirla con le parole di Ian McWan, tratte dal romanzo “Bambini nel tempo” tra moglie e marito “Ormai non esisteva più alcun conforto reciproco, alcun contatto, non un gesto d’amore. L’antica intimità, il consolidato assioma in base al quale loro due stavano dalla stessa parte, non valeva più. Rimanevano avvinghiati al loro smarrimento e taciti rancori incominciarono a crescere”, tant’è che Beverly per la sua spiccata sensibilità e per la perdita della capacità di sopportare  la moglie scompare. Ovviamente, Violet avvisa le tre figlie Barbara (Julia Roberts), Karen (Juliette Lewis) e Ivy (Julianne Nicholson) della scomparsa del marito, il cui corpo sarà ritrovato subito dopo  esanime nel lago dove si recava spesso a pescare. Un evento funesto che determina il ricongiungimento di tutti i componenti della famiglia, compresa la sorella Mattie Fae Aiken (Margo Martindale) con il marito Charlie Aiken (Chris Cooper), una specie di ritorno al passato, da cui deriva una miscellanea di fatti tra presente e passato dove “Il tempo presente e il tempo passato sono forse presenti entrambi nel tempo futuro. E il tempo futuro è contenuto nel tempo passato” proferendo sempre le parole del citato T.S. Eliot nei “Quattro quartetti”.
Dagli incontri e dagli scontri che si susseguono, si viene a creare tra i vari parenti, quei “parenti serpenti” che descrive  magnificamente e con grande accuratezza nell’omonimo film (1992) Mario Monicelli, un’emulsione di sentimenti opposti, anche di amore e di odio, inibiti e repressi da cui emergono dei “segreti” terribili che, aggiunti ad un comportamento esageratamente opprimente di Violet, determinano una tale diaspora che Violet perderà anche Ivy l’unica figlia che fino ad allora era rimasta con lei, e rimarrà sola, accompagnata dalla badante indiana, cheyenne, Johanna Monevata (Misty Upham), l’unica donna, tra tutte, che mostrerà di possedere e salvaguardare tutti quei valori umani ancestrali che sono stati persi per sempre dalla società moderna.
Il film, magistralmente diretto da  John Wells e tratto dall’opera teatrale “August: Osage County”, che ha vinto il Premio Pulitzer (edita da BUR – Rizzoli), ha visto due magnifiche attrici, Meryl Steep e Julia Roberts, che ancora una volta hanno mostrato tutta la loro bravura tant’è che la prima ha ottenuto la nomination come migliore attrice protagonista sia al Premio Oscar 2014 che al Golden Globes 2014, mentre la seconda ha avuto, oltre ai premi citati prima, anche la nomination come migliore attrice non protagonista al BAFTA (British Academy of Film and Television Art) 2014.

venerdì 31 gennaio 2014

Il film “La gente che sta bene” di Patierno non ha l’effetto sperato e un po’ delude

Titolo: La gente che sta bene
Regia: Francesco Patierno
Soggetto:  Federico Baccomo
Sceneggiatura: Francesco Patierno, Federico Baccomo, Federico  Favot
Produzione: Italia 2014

Cast: Claudio Bisio, Margherita Buy, Diego Abatantuono, Jennipher Rodriguez, Laura Baldi, Matteo Scalzo, Carlo Buccirosso, Carlotta Giannone,  […]
Questo film, tratto dall’omonimo romanzo di Federico Baccomo, edito da Marsilio, descrive la vita e le peripezie di un avvocato milanese Umberto Dorloni (Claudio Bisio), né penalista, né civilista, ma tutto fare a suo insindacabile giudizio, che mostra il suo carattere cinico e sprezzante dei sentimenti altrui. Un avvocato come lui cosa fa? Parla, parla, parla! E Dorloni parla sempre, esprime le sue opinioni in modo continuo e opprimente tale da contrastare quelle della moglie Carla (Margherita Buy) che, non sopportando le imposizioni del marito nei suoi confronti ed impossibilitata ad esprimersi apertamente, se ne distacca anche se per un breve periodo. Dorloni non riesce neppure a fare presa sui figli. È un grande egoista e un carrierista senza turbamenti e senza incertezze che, quando si tratta di licenziare qualcuno alle sue dipendenze, lo fa dicendo che bisogna guardare al futuro, essere ottimisti. Ma come si sa, in questo periodo di crisi economica, quello che oggi succede ai dipendenti, domani capita ai dirigenti. E così avviene. Dorloni, in un batter d’occhio, si trova in mezzo ad una strada. Potrebbe riacquistare  il ruolo perduto presso un’altra società, di cui fa parte un altro avvocato con il suo stesso modo di essere, Patrizio Piazzesi (Diego Abatantuono), ma una crisi di coscienza lo fa rinsavire. “La gente che sta bene” parla della perdita dei valori della nostra società caratterizzata da un degrado morale senza precedenti, che crede soltanto nel Dio-denaro, ma è un film che non esprime carattere, è ossessivo  e tedioso, tant’è che attori come la Buy e Abatantuono ne escono perdenti. Non regge il confronto, ovviamente, con “La grande bellezza” (2013) di Paolo Sorrentino, né con “Il capitale umano” di Paolo Virzì (2014), senza parlare poi dell’ultimo capolavoro di Martin ScorseseThe wolf of Wall Street” (2013), tutti film che affrontano gli stessi temi magnificamente.

martedì 28 gennaio 2014

Il film “Tutta colpa di Freud” è una commedia briosa che fa presa sul pubblico

Titolo: Tutta colpa di Freud
Regia: Paolo Genovese
Soggetto: Paolo Genovese, Leonardo Pieraccioni, Paola Mammini
Sceneggiatura: Paolo Genovese
Produzione: Italia 2014
Giudizio: ◊ ◊ ◊
Cast: Marco Giallini, Anna Foglietta, Vittoria Puccini, Alessandro Gasman, Laura Adriani, Vinicio Marconi, Claudia Gerini, Edoardo Leo, Maurizio Mattioli, Paolo Calabresi, Alessia Barela, Gianmarco Tognazzi, Daniele Liotti,[…]


Tratto dall’omonimo romanzo di Paolo Genovese (edito da Mondadori), questo film  "Tutta colpa di Freud" appartiene a quel genere di commedia italiana, spiritosa e briosa, molto gradita dal pubblico italiano. Genovese che ne è anche il regista, con un cast eccellente di attori che si muovono agilmente e che coprono magnificamente le parti loro assegnate, in modo intelligente e originale affronta, senza mai essere volgare e osceno e senza usare il consueto linguaggio scurrile di alcuni film nostrani, il problema dell’identità sessuale, o meglio quello dell’omosessualità, da cui risulta che questa non si può cambiare per decisione razionale del soggetto; esamina con garbo, anche, l’infatuazione classica di una spontanea diciottenne nei confronti di un cinquantenne sposato, dei suoi sogni … immagini riflesse, … specchio d'acqua immobile”, che “svaniscono provandoli a toccare”, come recitano alcuni versi della bella canzoneTutta colpa di Freud” di Daniele Silvestri, che viene cantata durante alcune scene del film e durante i titoli di coda.

Il film nel suo evolversi sostiene con forza che l’instaurarsi dell’innamoramento non può essere orientato dal settore in cui lavora una donna, perché non si hanno effetti di riuscita (L'amore ha i denti, i denti mordono. Fanno male, lasciano cicatrici. E quelle cicatrici non svaniscono più...”), ma che esso dipende da tutti quei fattori emotivi e sentimentali che sorgono spontanei e che non possono essere repressi quando si incontra la persona “giusta”. Inoltre, il film mette sul primo piano il ruolo del padre che dovrebbe mantenere questo ruolo sempre, rinunciando a quella tendenza del momento che lo indirizza a comportarsi da amico nei confronti dei propri figli.
Tutto viene sintetizzato in alcuni versi della su citata canzone di Silvestri “… Degli incontri imprevisti,/ delle scelte sbagliate, / dei dolori pregressi, dei peccati commessi una sera d'estate, / delle mille promesse mancate. ”.  Nel film, Marco Giallini ricopre il ruolo magnifico di uno psicologo, Francesco, padre di tre figlie: Marta (Vittoria Puccini), la figlia romantica, Emma (Laura Adriani), la figlia diciottenne e, infine, Sara, la figlia lesbica (Anna Foglietta, che recita la sua parte magnificamente).
Genovese va ricordato soprattutto per il film “Una famiglia perfetta” (2012) con Sergio Castellitto per l’originalità del tema affrontato e per il cast di attori splendidi: Claudia Gerini, Marco Giallini e Carolina Crescentini

mercoledì 22 gennaio 2014

Violenza e amore sono gli ingredienti del film “C’era una volta a New York” di James Gray

Titolo: C’era una volta a New York
Titolo originale: The immigrant
Regia: James Gray
Sceneggiatura: James Gray, Ric Menello
Produzione: USA 2013

Cast: Marion Cotillard, Joaquin Phoenix, Jeremy Renner, Dagmara Dominiczyk, Angela Sarafyan, Jicky Schnee,  Yelena Solovey, Ilia Volok, Dee Dee Luxe, Dylan Hartigan, […]
C’era una volta a New York” è un film che descrive l’America, in particolare, come si desuma dal titolo, New York, agli inizi del secolo scorso e che affronta il tema annoso dell’immigrazione, che si ripete puntualmente in diverse parti del mondo ma che si differenzia sia nel tempo che nello spazio. Tema che è arricchito della miseria umana, della solitudine che si prova nel mettere piede in una terra straniera, della disperazione che costringe  gli individui a commettere atti che ledono la dignità personale, della corruzione e dello sfruttamento dell’uomo nei confronti del più debole, della donna in particolare. Il film inizia con la scena che inquadra gli immigrati sbarcati a Ellis Island, anticamera per accedere in America, che vogliono dare un senso alla loro vita con la speranza di realizzare una vita migliore. In migliaia provengono dall’Europa, negli anni che seguono la fine della prima guerra mondiale che aveva mietuto molte vittime e aveva esternato una violenza inaudita anche sulla popolazione civile. Cosi come, ai tempi nostri, vengono in Europa tutti quei poveracci, chiamati extracomunitari, dai loro paesi martoriati dalla guerra, paesi come la Siria, l’Egitto, quelli del centro Africa, etc. etc.. Tra questi immigrati si distingue una bella giovane donna polacca, Ewa Cybulski (Marion Cotillard) che, assieme alla sorella Magda (Angela Sarafyn), vuole una vita migliore di quella già vissuta nella miseria e nella violenza, dato che i genitori sono stati decapitati senza motivo, durante la guerra, dai soldati. Fanno ambedue la fila per la visita medica a Ellis Island. Purtroppo la sorella Magda viene inviata in ospedale perché affetta da tubercolosi e lei, ritenuta donna senza morale dato che sulla nave è stata violentata, deve essere rispedita in Europa. In sua difesa sopraggiunge Bruno Weiss (Joaquin Phoenix), un uomo misterioso e ambiguo che, pagando gli agenti profumatamente, la libera portandola con sé. Da questo momento in poi, il film prende risvolti imprevedibili, con un susseguirsi di colpi di scena che cambiano continuamente, che non danno nulla di scontato e che lasciano lo spettatore in un continuo stato d’attesa. Ewa in un primo momento si affida, anima e corpo, a Bruno che, nello squallore più estremo, la sfrutta, poi decide di fuggire, ma non trova nessuno che l’aiuti, neppure gli zii che, immigrati molti anni prima, godono di un’ottima posizione economica, né tantomeno il prete da cui va a confessare i peccati commessi. Quest’ultimo piuttosto che aiutarla, la redarguisce con appellativo di peccatrice. Vano e infausto risulta anche l’intervento a suo favore del nuovo spasimante, il prestigiatore sfortunato Orlando (Jeremy Renner).
Il film si svolge in una atmosfera che ricalca molto bene quella dell’inizio del secolo scorso ed elabora un discorso che mette in risalto le condizioni disumane dei disperati e dei diseredati che, come avviene ai giorni nostri, vengono vituperati e maltrattati nei paesi ospitanti, ma evidenzia che il male viene accentuato soprattutto perché al mondo esistono gli intrallazzatori, i corruttori e i corrotti. Temi questi molto cari al regista James Gray che mette sempre in evidenza il labile confine che esiste tra il bene e il male, così come ha fatto nel suo film d’esordio “Little Odessa” (1994), e ancora in "The Yards" (2000) e ne “I padroni della notte” (2007).
Marion Cotilalrd offre un ritratto realistico e umano di Ewa Cybulski con la sua indiscussa bravura che, in questo caso, non eguaglia quella magistrale marcata come interprete di Edith Piaf nel film “La vie en rose” (2006) di Olivier Dahan.
Ottima anche la scelta di Joaquin Phoenix che con il suo sguardo penetrante e ambiguo sostiene bene la parte di Bruno Weiss e che non si distacca da ciò che costituisce il perno centrale attorno a cui ruotano i film di Gray.

domenica 19 gennaio 2014

Roberto Faenza in “Anita B.” narra la lotta di una giovane donna contro lo strapotere del maschio

Titolo: Anita B.
Regia:  Roberto Faenza
Soggetto: Edith Bruck
Produzione: Italia, USA, Ungheria, 2014

Cast: Eline Powell, Robert Sheehan, Andrea Osvart, Antonio Cupo, Nico Mirallegro,  Clive Riche, Guenda Gloria, Moni Ovadia, Jane Alexander, […]
Il film è tratto dal romanzo "Quanta stella c'è nel cielo" di Edith Bruck e racconta le vicissitudini di Anita (Eline Powell), una ragazza ebrea, di origine ungherese, internata, assieme ai genitori, nel campo di sterminio di Auschwitz durante la seconda guerra mondiale, e per fortuna scampata all’eccidio, a differenza dei genitori. Subito dopo la guerra (1945), Anita viene accolta nella casa della zia Monika (Andrea Osvart), in Cecoslovacchia, dove le è fatto divieto assoluto di parlare del passato e delle inaudite violenze che gli ebrei hanno sofferto nei campi di sterminio nazisti. Vedendo il film emergono conseguentemente due posizioni, a cui lo spettatore è chiamato a rispondere. Sarà preferibile non ricordare il passato, annullarlo come se nulla fosse avvenuto, per non far soffrire ulteriormente chi è sopravvissuto alle atrocità naziste e per non far angosciare i nascituri o i neonati, opinione questa sostenuta dalla zia Monika, oppure il passato non dovrà essere cancellato, anche se il ricordo ripristina nell’animo della gente il dolore sofferto, per evitare che si riverifichi l’orrenda barbarie dei nazisti sofferta dagli scampati, che è la posizione di Anita?
Un’altra domanda che lo spettatore si pone, durante lo scorrere della pellicola, è quella relativa all’attaccamento e alla simpatia che si instaurano tra un uomo e una donna. Dove sta il confine tra il sentimento che si chiama amicizia -  quello che Anita sente per David (Nico Micallegro) -  e quello che si chiama amore, che determina il concepimento di un figlio conseguente al rapporto sessuale tra Anita e Eli (Robert Sheehan), il fratello dello zio Aron (Antonio Cupo), con il quale la ragazza divide la stanza da letto? E un’altra domanda ancora che il film pone allo spettatore: Può una madre abortire contro la sua volontà per soddisfare le pretese del padre? Meno male che a questo mondo non sempre il male predomina sul bene, così come è avvenuto purtroppo durante il triste periodo che ha visto l’Europa insanguinata per colpa della violenza  nazista e dell’ignoranza fascista. Capita talvolta che,  quando si è persa ogni speranza, si incontrano persone positive,  caratterizzate  cioè da profonda umanità e grande sensibilità, come il medico ginecologo (Clive Riche), che danno aiuto e vigore a chi si trova dinanzi a gravi impedimenti.
Anita, pur essendo giovane, dimostra di avere una forza d’animo eccezionale e determinata che cerca, così come Sabina nel film “Prendimi l’anima” (2003) diretto dallo stesso regista, di far emergere la propria identità lottando strenuamente contro i pregiudizi e lo strapotere del maschio.

sabato 11 gennaio 2014

Mediocrità e squallore sono i caratteri dell’italica gente descritti dal film “Il capitale umano” di Paolo Virzì

Titolo: Il capitale umano
Regia: Paolo Virzì
Soggetto: Amidon Stephen
Sceneggiatura: Francesco Bruni, Francesco Piccolo, Paolo Virzì
Produzione: Italia, Francia, 2014

Cast: Fabrizio Bentivoglio, Valeria Bruni Tedeschi, Fabrizio Gifuni, Valeria Golino, Matilde Gioli, Luigi Lo Cascio, Giovanni Anzaldo, Guglielmo Pinelli, Gigio Alberti, Bebo Storti, Vincent Nemeth, Pia Engleberth, Nicola Cnetonze, […]
Andando a vedere questo film, e non avendo ancora letto il libro “Human capital”, dello scrittore americano Stephen Amidon, da cui è tratto, ho essenzialmente scoperto che ogni individuo, quando è in vita possiede in sé un “capitale umano” che non è lo stesso per tutti ma è variabile, dipende cioè dallo stato sociale di appartenenza, dall’età, dal “merito”, dalla sua speranza di vita. Anzi, esso si differenzia e dipende da alcune peculiarità individuali che variano da individuo a individuo, in quanto per la sua determinazione si tiene conto del lavoro che egli svolge, della qualità e della quantità di ciò che produce, del ceto sociale, del ruolo che occupa nella società, etc. etc.. Per cui un pensionato o cameriere, ad esempio, possiedono un bassissimo capitale umano pressoché nullo, soprattutto se appartengono ad un ceto sociale molto basso. Da ciò risulta che, anche se in uno stato come il nostro vige l’assioma che tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge, viene contraddetto uno dei fondamentali principi su cui si basa uno stato così detto “democratico”.
Il capitale umano” è l’undicesimo film di PaoloVirzì, dopo una costellazione di successi a partire da “La bella vita” (1994), e a seguire da “Ferie d’agosto” (1996), “Ovosodo” (1997), “Baci e abbracci” (1999), "My name is Tonino" (2002) “Caterina va in città” (2003), "N (Io e Napoleone)" (2006), "Tutta la vita davanti" (2008), "La prima cosa bella" (2010), per finire con “Tutti santi giorni” (2012). A differenza dei precedenti film, in cui Virzì descrive ed elabora, con perspicacia, bravura e ardire, i ritratti comici e meno comici particolari del variopinto carattere della gente italica, ne “Il capitale umano” (il migliore in assoluto tra i suoi ottimi film) sottolinea, con una professionalità tale che lo porta ai massimi livelli tra i registi italiani attuali, i tratti distintivi molto diffusi, i quali in circa un ventennio si sono consolidati nella maggior parte della gente, e cioè un’ima mediocrità da far paura, un’avidità sfrenata, un arrivismo incontrollabile per  raggiungere un prestigio sociale squallido e insensato, privo di valori, di punti di riferimento certi e indiscutibili e anche di umanità. Soprattutto, emerge la perdita dei legami culturali con il passato (non è un caso che in un gruppo di lavoro viene messa in discussione anche l’importanza di uno scrittore come Luigi Pirandello, premio Nobel 1934 per la Letteratura, mentre viene dato risalto ad un coro canoro) di “… un popolo che distrugge i resti del proprio passato … soffoca la propria anima, annienta la propria identità, si svuota di significato, non può acquisire i valori umani a fatica conquistati nel tempo dai suoi progenitori, rimane privo di sentimenti (dal racconto “IV – Hydra” de “I sassi di Kasmenai” ed. Il foglio, 2008).  E per evidenziare questi caratteri salienti contrassegnati di elevata negatività, il regista crea, con grande maestria e oculatezza, personaggi come quello dell’immobiliarista Dino Ossola (Fabrizio Bentivoglio), figura molto caricata sino all’inverosimile, o come quello dell’imprenditore Giovanni Bernaschi (Fabrizio Gifuni), o ancora come quella del professore intellettualoide Donato Russomanno (Luigi Lo Cascio), facendoli muovere in uno spettacolare teatrino del non senso, dove la donna matura, tra cui Carla Bernaschi (Valeria Bruni Tedeschi) o la psicologa Roberta Morelli (Valeria Golino), appare molto debole, poco determinante, e succube dell’uomo. Diciamo, però, che una speranza di cambiamento di rotta da questo disumano status quo, dove a soccombere sono sempre i meno furbi e i più deboli e dove il ricco o il furbo diventano sempre più ricchi, Virzì lo ripone nei giovani che cercano di ribellarsi ad esso, come cerca di fare Serena Ossola (Matilde Gioli).
Il capitale umano” è film dai connotati particolari con una sceneggiatura originale, dove la stessa storia viene vista da tre visuali diverse (quella di Dino, quella di Carla e quella di Serena), che si inquadra egregiamente tra il genere noir e la commedia italiana.

mercoledì 8 gennaio 2014

“Col fiato sospeso” è un film denuncia sulla sicurezza di alcuni laboratori di ricerca universitari

Titolo: Col fiato sospeso
Regia: Costanza Quatriglio
Sceneggiatura: Costanza Quatriglio
Produzione: Italia 2013

Cast: Alba Rohrwacher, Anna Balestrieri, Michele Riondino, Gaetano Aronica
Un film “Col fiato sospeso”, trasmesso su RaiTre in seconda serata, ieri, è condotto dalla brava regista palermitana Costanza Quatriglio con lo stile del documentario, anche se non è un documentario nel senso stretto della parola, dove molte immagini sostituiscono con sagacia ed efficacia le parole. Il cast è costituito da pochissimi attori, tra cui spicca in primissimo piano la bravissima Alba Rohrwacher, che interpreta la parte di Stella, una studentessa universitaria, laureanda in farmacia che per la sua tesi viene inserita in un laboratorio sperimentale per svolgere il relativo lavoro di ricerca sovvenzionato da un’industria farmaceutica. Stella viene subito attratta dallo studio della chimica, una materia affascinante e coinvolgente, che incanta e che al tempo stesso intimidisce, che come in una tela del ragno l’afferra e non la molla più, e che per certi aspetti è misteriosa. Questa materia, che affonda le sue radici nell’antica alchimia, a Stella forse, come a Primo Levi, nel suo racconto “Idrogeno” tratto da “Il sistema periodico”, “… rappresentava una nuvola indefinita di potenze future, che avvolgeva il mio avvenire in nere volute lacerate da bagliori di fuoco. Come Mosè, da quella nuvola attendevo la mia legge, l’ordine in me, attorno a me e nel mondo. … per dragare il ventre del mistero”. La studentessa lavora in quel laboratorio, attratta dalle continue scoperte che fa, dalla mattina alla sera ininterrottamente, andando incontro inconsapevolmente a dei rischi seri, in generale, ma, in particolare, a dei rischi latenti per la salute, così come racconta ancora Primo Levi “… Ci fu un’esplosione, piccola ma secca e rabbiosa. … a me tremavano un po’ le gambe; provavo paura retrospettiva, e insieme una certa sciocca fierezza, per aver confermato un’ipotesi, e per aver scatenato una forza della natura. Era proprio idrogeno…” . Poco alla volta, però, Stella si rende conto che il laboratorio di chimica è insalubre e tutto il tempo ivi trascorso le può essere nocivo, tant’è che qualche volta è presa da svenimenti. L’evento, però, viene sottovalutato come tante altre volte, perché “il concetto di veleno è connesso con la quantità” gli dice il suo professore. Trascurando il fatto che composti, come il benzene o l’amianto o come qualunque altra sostanza incognita ivi prodotta, altamente cancerogeni o potenzialmente tali, dovrebbero essere usati con le dovute precauzioni e con le adeguate attrezzature che un laboratorio di ricerca, degno di questo nome, dovrebbe avere. “Sarà stata una strana coincidenza” le verrà detto, “perché la causa del suo malore non potrà essere addossata al laboratorio, perché in esso ci lavorano anche figli degli stessi docenti universitari”. La sua amica Anna (Anna Balestrieri) cerca invano di convincerla di lasciare quella ricerca e quindi di allontanarsi da quel laboratorio. Tale scelta la porterà ad un amaro epilogo, lo stesso toccato, prima di lei, ad un dottorando di ricerca, Emanuele (voce narrante Michele Riondino), il cui nome si collega ad Emanuele Patané, il giovane morto di tumore ai polmoni nel 2003, che aveva già percorso la sua stessa strada.
Questo è un film-denuncia sulla conduzione di taluni laboratori di ricerca  universitari, in cui non si tiene conto della salubrità ambientale e del rispetto di tutte quelle norme esistenti in Italia da circa un sessantennio e successive integrazioni, secondo cui gli studenti italiani sono equiparati per ciò che riguarda i tempi di lavoro e il rispetto delle norme di sicurezza a tutti gli altri lavoratori.
Il film è stato presentato al Festival del Cinema di Venezia 2013.

domenica 5 gennaio 2014

Il film “American Hustle” basato su fatti realmente accaduti è stato concepito in chiave pirandelliana

Titolo: American Hustle – L’apparenza inganna
Titolo originale : American Hustle
Regia: David O. Russell
Sceneggiatura: David O. Russell, Eric Warren Singer
Produzione: USA 2013

Cast: Christian Bale, Amy Adams, Bradley Cooper, Robert De Niro,Jeremy Renner, Jennifer Lawrence, Jack Huston, Louis C.K., Michael Peña, Alessandro Nivola, Adrian Martinez, Elisabeth Rohm, […]

Come sosteneva il grande Luigi Pirandello, premio Nobel per la Letteratura (1934) “non ci fermiamo alle apparenze, ciò che inizialmente ci faceva ridere adesso ci farà tutt'al più sorridere”, questo film “American Hustle (trad. Caos americano) – L’apparenza inganna” gioca continuamente con “il sentimento del contrario”, che è congruo in modo parossistico con l’umorismo quale strumento che mette a nudo la fragilità umana in tutti i sensi. Il film, prendendo lo spunto da fatti realmente accaduti negli Stati Uniti a partire dal 1978, tratta di un indagine poliziesca (FBI) che portò, con l’aiuto di una coppia di abilissimi truffatori all’arresto di alcuni membri (deputati e senatori) del Congresso, e fa vedere cosa avviene dietro le quinte del teatrino politico per acquisire mazzette e cose del genere. Per cui sarebbe auspicabile che la visione di “America Hustle – L’apparenza inganna” fosse prescritta a tutti quei politici di casa nostra, corrotti, dotati di una sfrontata e insuperabile arroganza e carenti di un bruscolo di dignità, il cui insano comportamento va oltre ogni umana decenza e suscita intolleranza e disgusto nell’elettore. La coppia di intrallazzatori, che nel film è interpretata egregiamente da Christian Bale, nella parte di Irving Rosenfeld, e da Amy Adams, che interpreta Sydney Prosser, viene costretta dal poliziotto FBI, Richie DiMaso (Bradley Cooper), a collaborare, pena la detenzione per i crimini commessi in flagranza di reato. Lo scopo è quello di incastrare politici corrotti come il sindaco Carmine Polito (Jeremy Renner) e mafiosi tra cui il temutissimo e pericoloso Victor Tellegio (Robert De Niro). Tuttavia, l’uso degli imbroglioni e dei malfattori per scopi legittimi a volte, anzi sempre, funziona come un boomerang che manda all’aria la dignità e la reputazione personali di chi si impegna per sconfiggere il malaffare.
Come nei suoi film precedenti “The Figther” (2011), dove troviamo la brillante coppia Christian Bale/Amy Adams, e “Il lato positivo – Silver Linings Playbook” (2012), interpretato da Bradley Cooper, Robert De Niro e l’esplosiva Jennifer Lawrence (che ottenne il premio Oscar 2012, come migliore attrice), così in quest’ultimo film, il regista David O. Russell, ancora una volta, mostra i suoi protagonisti come individui che, presentando una, nessuna o centomila maschere - parafrasando il titolo di un romanzo pirandelliano -, cercano di cambiare la propria posizione individuale e sociale con un succedersi di fatti spesso bizzarri, ma soprattutto imprevedibili e per niente scontati. 
Riesce difficile catalogare questo film perché le sue peculiarità e i suoi tratti distintivi sono molteplici e, per taluni aspetti, indefinibili così come le maschere pirandelliane. Essi vanno dal comico all’umoristico, dall’ironico al drammatico, dal sentimentale al divertente, dall’emozionante al grottesco, dal realistico al paradossale. È un film ben recitato e gli attori, tutti bravissimi, interpretano ciascuno la loro parte in modo magistralmente credibile ed eccellente. I dialoghi, inquadrati in brani musicali dell’epoca scelti oculatamente, risultano travolgenti, prorompenti e interessanti creando un incessante turbinio continuo che costringe lo spettatore a seguire dettagliatamente ogni parola, ogni sguardo, ogni azione per evitare di perdere il filo del discorso.
Il film ha ottenuto già 7 nomination Golden Globe, 8 nomination Satellite Awards ed è in odore di nomination Oscar 2014.