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sabato 19 ottobre 2013
Le cause della crisi di una coppia vengono radiografate nel “L’ultima foglia” di Leonardo Frosina
Titolo: L’ultima foglia
Regia: Leonardo Frosina
Soggetto e sceneggiatura: Leonardo Frosina
Produzione: Italia, 2013-10-18
Prodotto da: Josei (Barbara Bruni, Manila
Mazzarini, Silvia Ricciardi)
Cast: Fabrizio Ferracane, Giorgia Cardaci,
Kristina Cepraga, Alfio Sorbello, Ninni Bruschetta, Andra Bolea, Cristina
Puccinelli, […]
Una coppia come tante altre, dalla vita
apparentemente normale che si svolge in una città, Roma, una Roma esotica,
diversa, periferica, sconosciuta, lontana dai luoghi classici noti e
frequentati. Non c’è il Colosseo, non c’è Piazza Navona, non c’è la Fontana di
Trevi, non c’è la Cupola né si intravede. Al loro posto ci sono, pilastri, travi
e architravi cementizi attraverso cui si intravedono sprazzi di cielo solcato
da aerei, o si scorge un susseguirsi di palazzi senz’anima, in mezzo ai quali
si intravedono gasometri scheletriti a testimoniare il degrado sociale che
testimonia il conseguente abbandono sentimentale. Strade popolate da auto senza pedoni che
manifestano una Roma di periferia senza storia, e quindi, senza anima.
In questo ambiente, il regista Leonardo Frosina
colloca magistralmente il film L’ultima
foglia, sua opera prima, il cui titolo richiama l’autunno e il sentore di
malinconia che questo avvolge. “L’ultima
foglia - dice il regista -, nasce
dalla esigenza di raccontare una sorta di indolenza sentimentale che sempre più
spesso si verifica nei rapporti. Vari fattori condizionano le coppie di oggi,
primo fra tutti la precarietà del lavoro e di conseguenza l’instabilità
economica …”. A ciò si aggiunge la lontananza forzata dei protagonisti dai loro
luoghi di origine, dagli affetti e dai ricordi infantili e della gioventù che essi
conservano indelebili nel loro animo. Lei, Rossana (Giorgia Cardaci) è una
musicista di violino in cerca di lavoro. Lui, Zeno (Fabrizio Ferracane) è,
invece, un metronotte dipendente di una società diretta da un capo dispotico e
arrogante (Ninni Bruschetta), che legge “O capitano, mio capitano” di Walt
Whitman, ma che dimostra di non avere alcuna umanità nei confronti dei propri
dipendenti. A poco a poco, mentre la pellicola scorre, lo spettatore avverte,
dallo scorrere del tempo relativistico (per Rossana il tempo scorre lentamente, causa il suo non far niente forzato, mentre per Zeno, invece, il tempo passa
velocemente), dagli sguardi, dalle espressioni che vogliono dire ciò che è
indicibile o che è difficile a dirsi, dallo smarrimento espresso dagli occhi, dalle
paure recondite, dai lunghi silenzi esasperati, dai comportamenti strani, dai
dialoghi monosillabici, un incipiente crisi del rapporto coniugale, ma senza
ancora averne la certezza. Perché Rossana e Zeno, talvolta, si cercano, fanno
sesso, dimostrano di averne tanta voglia, i loro corpi si toccano, si spremono,
si avviticchiano, si sfogano. E per questo ci si chiede se Rossana e Zeno ancora si amano
o il loro è soltanto sfogo sessuale o abbandono dettato da istinto ipocrita.
Nel loro rapporto c’è, infatti, una stasi sentimentale, un travaglio interiore,
che si coglie dalle variazioni di comportamento repentino, tant’è che Rossana,
avendo scoperto di essere incinta, stenta di comunicare questo evento al marito,
ma quando glielo manifesta - “… aspetto un figlio, ma tanto non mi senti …” -
coglie in un attimo nella espressione di Zeno, un non sentire, un’indifferenza
istintiva che la fa piangere e allontanarsi da lui di corsa. Rossana soffre la
solitudine e vive in una città che non ama, una città che la “fa sentire
estranea”. Zeno, pur lavorando, anche lui vive in una città, “in cui essere
uomini … non è facile”. Una città, allora, che piuttosto che aggregare,
disgrega, separa ciò che invece dovrebbe tenere unito. Una città che in Rossana
e Zeno crea situazioni diverse tra le quali non c’è intersezione, non esiste un
punto di incontro. E questa diversità porta il rapporto a sgretolarsi
definitivamente, ad annullare i sentimenti dell’uno verso l’altro, creando in
ciascuno di loro un vuoto dentro incolmabile. Un allontanamento che si fa
sempre più greve, catalizzato dalla comparsa, nella vita di Zeno, di una
bellissima bionda rumena, Ela (Kristina Cepraga), una barista, la cui
conoscenza è catalizzata dal suo amico e compagno di lavoro, il brioso ed
estroverso Tom (Alfio Sorbello).
Come finirà quando Zeno scoprirà che Rossana ha
partorito? La nascita del figlio farà ricucire il rapporto sentimentale
interrotto? E il rapporto tra Zeno ed Ela come finirà? Domande a cui soltanto
la visione del film potrà dare una risposta.
Il regista è stato molto bravo nell’aver saputo
distinguere il carattere della donna da quello dell’uomo, a essere stato capace di fare
esprimere agli attori il travaglio interiore che la storia esigeva, e ha saputo
scandire il tempo usando il “time lapse” essenziale per evidenziare la sensazione
relativistica del tempo.
La fotografia ha usato colori cupi per meglio
evidenziare la sofferenza dei personaggi, Rossana e Zeno, immersi nelle loro
beghe sentimentali, e colori pieni di luminosità per risaltare i momenti di
amore passionale tra Ela e Zeno. Il tutto accompagnato da brani musicali efficaci
a coinvolgere emotivamente lo spettatore.
Gli attori hanno mostrato una bravura
eccezionale messa in risalto soprattutto dalla gestualità, dalla espressività
degli atteggiamenti immersi in silenzi molto eloquenti. Bravissima è apparsa,
tra tutti, Giorgia Cardaci a cui è stato assegnato il Premio di migliore
attrice al RIFF 2013 – Rome Independent Film Festival e al Film Spray 2013 –
Festival dei film invisibili a Firenze. In quest’ultimo Festival è stato
assegnato anche il Premio per la migliore fotografia a Sandro Magliano. Il film
ha partecipato anche a Randance Film Festival di Londra, 2013.
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