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mercoledì 29 maggio 2013
Sorrentino con il film “La grande bellezza” racconta con sferzante ironia la Roma dell’”alta” società ricca di vacuità e povera di valori
Titolo:
La grande bellezza
Regia.
Paolo Sorrentino
Soggetto:
Paolo Sorrentino
Sceneggiatura:
Paolo Sorrentino, Umberto Contarello
Produzione:
Italia, Francia, 2013
Cast:
Toni Servillo, Carlo Verdone, Carlo Buccirosso, Sabrina Ferilli, Pamela
Villoresi, Iaia Forte, Isabella Ferrari, Galatea Ranzi, Anna Della Rosa,
Roberto Herltizka, Giovanna Vignola, Massimo Popolizio, Franco Graziosi, Sonia
Gessner, Luca Marinelli, Massimo De Francovich, Dario Cantarelli, Anita Kravos,
Ivan Franek, Luciano Virgilio, Lillo Petrolo, Serena Grandi, Vernon
Dobtcheff,[…]
Il nostro modo
di vivere che si delinea nei suoi aspetti fondamentali sin dalla nascita, equivale
a stare dentro una gabbia di vetro. Questa ci permette di guardare tutto ciò
che viene al di fuori ma non ha via d’uscita se non quella conseguente all’improbabile
rottura del vetro che potrebbe essere accompagnata da momenti di dolore e di
grande sofferenza. Ogni uomo lungo tutto il suo percorso vitale medita sul
niente perché obbligato dalla società in cui vive e dai vincoli imposti dalle regole
sociali del momento storico. È indotto continuamente a mettersi la maschera, a fingere costantemente,
spinto da un senso nullifero che lo affligge senza sosta per tutta la sua
esistenza. Vive invece in uno stato di torpore sia fisico che mentale come se
fosse nella valle dell’Eden, beato e sereno. Arriva poi la morte senza che egli abbia trovato una
risposta a tutto ciò. Se, tuttavia, durante la vita egli si desta da questo
generale intorpidimento mentale e, fortunato, coglie la vera essenza della
vita, allora si spoglia di ogni forma di oppressione e diventa un eroe. Ma
questo succede raramente o non succede affatto. L’eroe, infatti, è colui che,
per caso o per necessità, riesce a liberarsi da tutto il peso dei
condizionamenti che frenano il suo ardore, la sua voglia di crescere, il suo
desiderio di divenire un uomo libero per cogliere l’umanità che è in lui, e
agisce al di fuori di tutti quegli schemi che la società nel suo complesso gli
impone. Libertà illusoria che porta alla morte involontaria come avviene per la
spogliarellista Ramona (Sabrina Ferilli) o volontaria come succede al giovane
depresso (Luca Marinelli). Ogni individuo ama deambulare attraverso la vita
senza pensare a quello che fa e, alla fine, volgendosi indietro si accorge
quanto miserabili e squallide siano state le proprie azioni. Allora la vita che
ha vissuto la sopporta male perché si rende conto di aver perso tanto tempo ed
è troppo tardi per poter cambiare il proprio modus vivendi. È quello che
succede al protagonista del film, lo scrittore, giornalista e critico teatrale
Jep Gambardella (Toni Servillo), un vitellone per intenderci, che ha scritto un
solo romanzo in gioventù, dal titolo consono al tema affrontato dal film “L’apparato
umano”.
Ma oggi anche la
religione si mostra distratta e non disponibile ad accogliere i lamenti e le
frustrazioni di chi si accorge dell’illusione provocata da questa società malaticcia,
inconcludente e priva di scopo. Prova ne è il comportamento tutt’altro
religioso e attento alle problematiche esistenziali del cardinale festaiolo (Roberto
Herltizka), grande conoscitore solo di ricette culinarie. Al finir della vita ci
si addentra profondamente negli antri oscuri della propria coscienza che grida perdono.
Ma chi lo deve dare questo perdono se non si crede ad un essere superiore? Piuttosto
che trovare un’entità che lo possa perdonare, dovrebbe essere lui stesso a
comportarsi in modo da non avere niente da farsi perdonare. È cosa fatua
chiedere a Dio ciò che lui può procurarsi da solo?
Emerge
dal film tutto questo. Emerge soprattutto l’aspetto deleterio e nocivo, che
pone in sordina la cultura, evidenziato dal fatto che Jep Gambardella non ha
scritto altri libri oltre il primo perché distratto dalla vita mondana in cui
si è calato e da “altre faccende
affaccendato”, e anche dal fatto che l’attore teatrale (Carlo Verdone), colto da
giusto sconforto, abbandona la scena e il teatro e se ne ritorna al suo paese
natio per sempre. Nel film “La grande bellezza” sin dalle prime
immagini emerge soprattutto il contrasto tra la grandezza monumentale di Roma e
la sua secolare bellezza e la Roma-Babele dove si svolge una vita vuota,
squallida, e priva di senso e di valori.
Il film, ricchissimo di attori
di elevato livello artistico, ricorda “La dolce vita” di Federico Fellini
(1960, Palma d’oro al XIII Festival di
cannes e Premio Oscar per i costumi) ma se ne differenzia in quanto Paolo Sorrentino descrive magistralmente e con
una sferzante punta ironica, come un affresco, la “disumanità” imperante dell’uomo
e calca la mano impietosa su tutti i protagonisti senza concedere a niuno
scampo o salvezza tranne a chi per impotenza rinuncia a vivere.
La narrazione del film è volutamente
disorganica così come scompaginata si svolge la vita dei protagonisti, e per
questo appare talora a tratti disorientante, ma travolgente per lo spettatore.
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