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domenica 10 maggio 2015
“L’albero di Giuda” o sul tradimento evangelico della Sicilia
Titolo:
L’albero di Giuda
Regia e soggetto: Vito
Cardaci
Voce narrante: Vito Cardaci,
Rosario Marco Amato
Editing: Charry project
studio
Montaggio e post
produzione: ch@rry project studio – Vito Cardaci
Produzione Stato: Italia,
2014
Durata: 40′
Genere: Docufilm
“Una
leggenda racconta che Giuda si sia impiccato con una corda ai rami di un
albero. Da quel giorno il tronco avrebbe assunto un andamento contorto. La
fioritura improvvisa preceduta dall’aprirsi delle foglie vorrebbe così
raffigurare le lacrime di Cristo. Il colore acceso dei fiori vorrebbe
rappresentare la vergogna dell’albero o forse la perfidia di Giuda. Sì! Sono
proprio io, l’albero di Giuda!” –
dice la voce narrante. Non poteva
esserci migliore incipit di questo cortometraggio che, con la metafora de “L’albero
di Giuda”, racchiude ed esprime, in modo estremamente sintetico e chiaro ma
profondamente e sentimentalmente
incisivo, a tratti poetico, una verità autentica e inviolabile che è
quella della Sicilia ancora una volta tradita e vilipesa e non potrà mai essere
messa in dubbio! Il film prende inizio da un carrubo, piantato come prima
pietra per la realizzazione a Regalbuto, in provincia di Enna, di una grande
opera faraonica, “il più grande parco di divertimenti d’Europa, la Disneyland
siciliana, che doveva sorgere su un’area di circa trecento ettari, alberghi con
migliaia di posti, ristoranti, discoteche …” e chi più ne ha più ne metta. Cioè
a dire “… l’emblema del più grande
investimento privato dell’isolanel settore del turismo”. Il regista Vito Cardaci, con una
descrizione ironica e sarcastica, mette
in evidenza magistralmente il tradimento politico nei confronti della Sicilia, dove
il dissesto sociale, la saccenteria, l'indifferenza, il trasporto populistico,
l’egoismo, la superficialità e la mediocrità padroneggiano. In quest’evento
eccezionale carrubo quanta bella gente intervenne: “… si scomodarono le più alte cariche istituzionali: ministri,
presidenti, prefetti, sindaci, cardinali, generali, giornalisti, portaborse e
ombrose figure provenienti da ogni dove. Credo che neppure quando venne al
mondo Gesù bambino si vide questa confusione”. Una commedia, la solita, dunque, da cui emerge il
consolidato assioma gattopardesco che con ima amarezza fa cogliere e apprezzare
l'impossibilità di cambiare lo status quo
della Sicilia e dei siciliani che accaniti creduloni si affidano continuamente
alle parole dei politici di turno, quelle stesse che sono decantate nella
poesia “Parole”[1]:
Parole, parole, parole,/ verbi come
vento/ fastidiosi come Noto/ pari ad Apeliote insopportabili/ piacevoli gemelli
di Euro/ frizzanti simili a Borea/ come Zefiro ammalianti./ E, molesti,/
insoffribili,/ incantevoli,/ freschi,/ seducenti,/ come il vento volano via,/
inghiottiti da Kaos,/ trasportati non si sa dove./ E non rimane che lo sconforto/
di quel sogno che portano con sé”. Parole espresse da una classe politica di stampo baronale, arcaica, cinica
e opportunista che usa il populismo come mezzo di trasporto delle coscienze e
di illusione sociale e che dà ipocritamente speranza al fine di rendere schiavo
il popolo: “Non c’è schiavitù migliore
che essere prigionieri della speranza”, perché “... sperare, per definizione, non significa
essere felici, bensì essere in
attesa, provare la mancanza, il desiderio insoddisfatto e impotente: “sperare è desiderare senza godere, senza sapere, senza potere”. Senza
godere, perché spera soltanto quello
che non si ha; senza sapere, perché la speranza implica sempre una
certa dose d’ignoranza rispetto alla realizzazione dei fini desiderati; senza potere, dato che nessuno si sogna di
sperare ciò che gli è dato di realizzare pienamente … . La speranza non
solo ci mette in uno stato di tensione
negativa, ma ci priva anche del
presente: preoccupati di un avvenire
migliore, dimentichiamo che l’unica vita
che valga la pena di essere vissuta, la sola che, molto
semplicemente, esista, è quella che si
svolge sotto i nostri occhi, qui e ora”[2].
Il
regista Vito Cardaci antropomorfizza il carrubo per dire con
convinzione che “sembra proprio che senza
il mito, la simbologia, la metafora sia quasi impossibile narrare certe storie.
La realtà però è molto più semplice e immediata, meno incomprensibile di come
possa apparire. Bastava osservare dove mi avevano piantato”, in un ambiente
in cui predominano la “ … noia e il
silenzio, di vita che non scorre, …”
e dove “non si dovrebbe
invecchiare incazzati!”
Eccezionale
e pesante come un macigno l’epilogo del film con cui il regista rivolgendosi
agli spettatori chiede: “Vi siete mai
chiesti come sarebbe stata la storia di Cristo senza la figura di Giuda?” La
risposta ai posteri.
Ci sono voluti quasi sette anni per ordinare le idee e realizzare le
riprese di questo docufilm che racconta l’artificio consapevole,e per questo
ancor più greve, del tradimento politico perpetrato ai danni della Sicilia e dei
siciliani, a partire dai tempi di Cuffaro, fino ad arrivare ai giorni nostri. A
narrarlo è un albero, un Carrubo. Una narrazione sarcastica, avvincente e, a
tratti, drammatica che racconta, in parte, anche "il decantato modello Enna,
quello di Mirello Crisafulli e di Cataldo Salerno ex Presidente della provincia
regionale di Enna."
“L’albero di Giuda” è stato vincitore al “Bari International Film Festival”
2014 con la seguente motivazione che la
giuria popolare, presieduta da Achille Bonito Oliva, ha dato il 9 aprile 2014 del
premio “Vittorio De Seta”: “Per ritmo,
ironia, linguaggio e capacità di denuncia. Un’opera che racconta in maniera
icastica l’arte del tradimento politico nei confronti di una realtà staccata
dal continente e insulare, la Sicilia. Una regione che non è soltanto un’entità
geografica, ma un luogo che ha subito indifferenza, populismo e un fallimento
sociale legato al cinismo di una classe padronale arcaica. Il film ha la
capacità di evidenziare una negatività ancestrale attraverso uno sguardo
ironico, secondo la definizione di Goethe: ‘L’ironia è la passione che si
libera nel distacco’. Tale distacco produce comunicazione e denuncia nello
stesso tempo”.
Un film, in definitiva che non solo i siciliani, ma anche gli italiani
dovrebbero vedere per non perdere la memoria di ciò che viene promesso dai
politici di turno e mai realizzato.
Vito Cardaci, siciliano cinquantenne, www.vitocardaci.com, inizia come musicista,ma l’amore
per la fotografia lo porta a dedicarsi al multimediale tant’è che nel 2005
realizza il suo primo corto “Sono Una Donna” un video virale che impazzerà in
rete con oltre 500.000 contatti nel giro di un anno. Nel 2007 produce e cura la
fotografia nonché le riprese del documentario “Umanza” premiato al Torino Film
Festival e al Festival Internazionale del Cinema dell’Uruguay 2008: “Italia:
Los Primos de Torino 2007”. Nel 2008 e nel 2009 cura la regia come reporter del
Festival “Sole Luna”, un ponte tra le culture. Nel 2010 entra come reporter
ufficiale nello staff del Salina Doc Fest diretto da Giovanna Taviani. Nel 2011
Produce e dirige “Saturday Night Fear” un corto, che lo stesso regista
definisce un mero esercizio di stile.
Francesco Giuliano
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