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venerdì 20 aprile 2012

L'assurdità della vita dell'uomo raccontata nel film "To Rome with love" di Woody Allen


Titolo: To Rome with love ( titolo originale Nero Fiddled)
Regia: Woody Allen
Sceneggiatura: Woody Allen
Produzione: Italia, USA, Spagna, 2012
Cast: Woody Allen, Roberto Benigni, Antonio Albanese, Alec Baldwin, Penelope Cruz, Judy Davis, Greta Gerwig, Alessandra Mastronardi, Ellen Page, Alessandro Tiberi, Jesse Eisenberg, Flavio Parenti, Alison Pill, Monica Nappo, […]

To Rome with love (a Roma con amore) è un film di Woody Allen che inizia e finisce con l’intramontabile canzone “Nel blu dipinto di blu” e che osanna le bellezze della città eterna in cui si vedono incastonate le storie parallele di alcune coppie di coniugi e non, ognuna delle quali con i propri problemi e le proprie fisime. Il racconto di queste storie è un susseguirsi di profondi dialoghi molto significativi che mettono in risalto la grande cultura del regista americano e la sua visione del mondo. Il riferimento alla “malinconia di Melpomene”, la musa figlia di Mnemosine la dea della memoria, offre al regista il pretesto per evidenziare il sentimento di tristezza che le opere d’arte non sono salvifiche per i loro autori e che “alla fine non avranno alcun senso”. Che cosa se ne fa l’uomo di queste bellissime opere d’arte se esse non gli permettono di dare alla vita un senso? Mentre il riferimento al “mito di Sisifo” concede al regista l’esaltazione del non senso, o meglio dell’assurdità che caratterizza il procedere della vita odierna in tutti i suoi aspetti. Con le storie che racconta Allen, infatti, vuol mettere in evidenza proprio questo: la vita con tutti i suoi risvolti che si susseguono non ha un senso. Egli, in definitiva, fa intuire l’umiliazione che l’uomo prova nei confronti della realtà non dominabile in quanto questa è molto più grande di lui In altre parole, l’uomo è sperduto nell’immensità del realtà. L’uomo si crede di essere libero, ma non lo è. È come una nave senza nocchiero in un mare in tempesta.

La domanda che si pone dinanzi allo specchio del bagno Milly (Alessandra Mastronardi), la moglie fedifraga di Antonio (Alessandro Tiberi), se è meglio avere rimorsi o rimpianti, o quella che si pone un semplice impiegato, tal Leopoldo Pisanello (Roberto Benigni), divenuto famoso per caso e poi improvvisamente dimenticato, o ancora il comportamento squallido di Jack (Jesse Eisenberg), spalleggiato dall'alter ego John (Alec Baldwin) che viene indotto a tradire la sua compagna Sally (Greta Gerwig) con l’amica del cuore di questa Monica (Ellen Page), o altri fatti descritti magistralmente nel film, risaltano in modo eloquente la supremazia dell’assurdo sulle azioni dell’uomo e il predominio della realtà sull’uomo stesso. A tutto questo, con la rappresentazione dell’opera “I pagliacci” di Ruggero Leoncavallo, il regista sottolinea quanto sia difficile, anzi impossibile, cogliere il confine tra ciò che è reale e la finzione. Una visione pessimistica, dunque, della vita dell’uomo e dell’assurdità delle sue azioni che si distaccano da quei valori che, invece, dovrebbero essere ricercati per cambiare la rotta. Il riferimento al “minus habens” esplicita poi la scarsità di intelligenza dell’uomo o meglio la sua minorità nei confronti della realtà.
Un’abbondanza di attori famosi - Lina Sastri, Isabella Ferrari, Ornella Muti, Sergio Rubini, Massimo Ghini,Giuliano Gemma, Neri Marcorè, Riccardo Scamarcio, Antonio Albanese -, usati più come comparse o per parti secondarie piuttosto che per impersonare personaggi principali, costituiscono degli originali cammei di questo bel film di Woody Allen.

giovedì 5 aprile 2012

Il film “Romanzo di una strage” di Marco Tullio Giordana bolla un atto angoscioso della recente storia italiana.


Titolo: Romanzo di una strage
Regia: Marco Tullio GiordanaProduzione: Italia, 2012
Sceneggiatura: Marco Tullio Giordana, Sandro Petraglia, Stefano Rulli
Soggetto: Marco Tullio Giordana, Stefano Rulli
Cast: Valerio Mastandrea, Pierfrancesco Favino, Fabrizio Gifuni, Michela Cescon, Laura Chiatti, Luigi Lo Cascio, Omero Antonutti, Giorgio Tirabassi, Giorgio Colangeli, Luca Zingaretti, […]

Un film interessante e degno di attenzione che permette ai giovani e ai meno giovani nati intorno agli anni sessanta-settanta, cioè a tutti quelli che non hanno vissuto, perché nati dopo o perché ancora piccoli, quella terribile angoscia che ha coinvolto tutti gli italiani circa 43 anni orsono e che, a decorrere dal 12 dicembre 1969, è durata per circa un quindicennio. Un film che consente di conoscere un aspetto molto inquietante, preoccupante, triste della storia italiana, di cui a tutt’oggi non si conosce la verità e che sicuramente ha influito sulla situazione politica attuale generandola. Un film che tutti dovrebbero vedere, i giovani per essere informati e gli anziani per rinfrescarsi la memoria sugli agghiaccianti e dolorosi fatti che sono avvenuti quando ancora la storia della repubblica italiana era agli albori.
Il film è la ricostruzione storica, precisa e corretta, fondata su tutti gli atti giudiziari relativi alle indagini e ai processi conseguenti, di alcuni fatti tragici rimasti tuttora impuniti, di alcuni dei quali vede i familiari delle vittime costretti beffardemente a pagare le spese di tribunale (!): la strage alla Banca Nazionale dell’Agricoltura, in piazza Fontana a Milano, avvenuta il 12 dicembre 1969, dove ci furono 17 morti e 88 feriti, e la morte di Giuseppe Pinelli prima e quella del commissario Luigi Calabresi poi. In particolar modo spiccano nel film due personaggi: Giuseppe Pinelli (l’insuperabile Pierfrancesco Favino), milanese sposato con Licia Pinelli (Michela Cescon), anarchico e fautore della non violenza, ferroviere, che capeggia il gruppo del Circolo Anarchico Ponte della Ghisolfa, e Luigi Calabresi (il bravissimo Valerio Mastandrea), romano, commissario responsabile della polizia politica della Questura di Milano, sposato con Gemma Calabresi (Laura Chiatti), il quale vigila sulle posizioni politiche del Pinelli e dei suoi accoliti.
Il regista [che ha già diretto opere impegnative, legate strettamente alla realtà di casa nostra, come l’acclamato La meglio gioventù (2003) e il realistico I cento passi (2000), in cui si parla della breve vita di Peppino Impastato (Luigi Lo Cascio), il giovane siciliano che fu ucciso lo stesso giorno in cui a Roma fu trovato il corpo esanime di Aldo Moro], in questo film Romanzo di una strage avvicendando le posizioni dei politici di allora, tra cui Giuseppe Saragat (Omero Antonutti) e Aldo Moro (Fabrizio Gifuni) in particolare, sia con quelle dei gruppi anarchici che con quelle dei neofascisti capeggiati da Giovanni Ventura (Denis Fasolo), fa notare che la Giustizia non sempre può (o vuole) dare una risposta certa e chiara a tutti quelli, che avendo subìto un grave e doloroso torto, ancora la reclamano, e sottolinea che la strage di piazza Fontana avvenne dopo il colpo di Stato dei colonnelli in Grecia e dopo il movimento del ’68. Il film è sconcertante per la descrizione scrupolosa dei fatti che colpiscono lo spettatore (il timore di un colpo di Stato in Italia, l’avvicendamento dei giudici come fossero delle pedine nel gioco degli scacchi, il cinismo fastidioso e l’ipocrisia intollerabile delle gerarchie istituzionali interessate, l’eliminazione fisica di chi fa il proprio dovere come il commissario Calabresi, i giochi di potere, la mancanza di chiarezza, la ragione di Stato, ecc. ), il quale alla fine prova una sensazione di sconforto, di scoraggiamento, di sfiducia, di smarrimento, di afflizione e di delusione per aver constatato che nell’ambito della polizia i superiori gerarchici pensano solo a rispettare la “ragion di Stato” che la ragione di tutti quei cittadini che hanno subito un danno fisico o morale. Con questa strage inizia la teoria definita “strategia della tensione” che ha provocato in Italia centinaia di morti e di feriti come in una quasi guerra civile: il 22 luglio del 1970 una bomba alla stazione di Gioia Tauro, in Calabria, provoca 6 morti e 66 feriti; il 17 maggio 1973 alla Questura di Milano ci furono 4 morti e 46 feriti; il 28 maggio 1974 a Brescia, a piazza della Loggia, durante un comizio, ci furono 8 morti e 102 feriti, e, nello stesso anno, il 4 agosto l’attentato al treno Italicus, a san Benedetto in Val di Sambro (BO) provocò 12 morti e 105 feriti; ancora il 2 agosto 1980 ci fu la strage più sanguinosa del periodo, alla stazione ferroviaria di Bologna, con 85 morti e circa 200 feriti e, per finire, ancora a san Benedetto in Val di Sembro nel 1984, l’attentato al treno 904 procurò la morte a 17 persone mentre 260 rimasero ferite. Una carneficina diluita nel tempo che ha prodotto circa 140 morti e quasi 900 feriti.
Tutto questo forse è stato ideato per contrastare le idee innovatrici in termini sociali ed economici del Sessantotto, quel movimento universale che voleva sovvertire lo status quo e aspirava ad un mondo migliore, di cui si è tanto parlato? Quel movimento, che nato agli inizi degli anni sessanta negli Stati Uniti, manifestò il suo massimo vigore in Francia proprio nel maggio 1968 ed espandendosi in altri paesi europei (Cecoslovacchia, Italia, ecc.) cercò di opporsi all’autoritarismo bieco e all’incipiente società dei consumi basata “
sul denaro e sul mercato nel mondo capitalista come punto centrale della vita sociale
”. È possibile che quel movimento aveva ragion d’essere vista la situazione economica e sociale che stiamo vivendo ai giorni nostri?
Fonti: www.wikipedia.it