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giovedì 3 gennaio 2013

Nel film “La migliore offerta” Giuseppe Tornatore teorizza la perenne dissertazione umana sulla verità e sulla falsità.



Titolo: La migliore offerta
Titolo originale: The Best Offer
Regia: Giuseppe Tornatore
Soggetto e sceneggiatura: Giuseppe Tornatore
Musica: Ennio Morricone
Produzione: Italia, 2012
Cast: Geoffrey Rush, Jim Sturgess, Donald Sutherland, Sylvia Hoeks, Philip Jackson, Dermot Clowley, Liva Kebede, Maximilian Dirr, Sean Buchanan […]


Bellissimo, coinvolgente e singolare, questo ultimo film “La migliore offerta” del regista siciliano Giuseppe Tornatore, un triller sentimentale che affronta un tema universale, quello che coinvolge le persone nelle loro azioni quotidianamente: l’eterna diatriba tra la realtà e l’apparenza, tra la sincerità e l’inganno, tra la verità e la falsità, dove la verità viene simulata dalla falsità, o la falsità viene imitata dalla verità. Tornatore, che con questo film si stacca dai legami della sua terra natia, la Sicilia, crea magistralmente un’atmosfera da giallo perché riesce a comporre un miscuglio tra queste due astrazioni, eterogenee tra esse, così ben amalgamato che lo spettatore non riesce a distinguere l’una dall’altra. Come avviene in un’opera teatrale, del resto. Il sostantivo “persona”, infatti, che nel linguaggio comune si usa spesso per indicare un individuo, deriva dalla parola che i Latini usavano per indicare la “maschera” di legno che gli attori dell’antica Grecia indossavano durante le rappresentazioni teatrali per interpretare i relativi personaggi.

Il film è interessante anche per i suoi risvolti filosofici in quanto ruota attorno al tema sulla "verità" (etimologicamente deriva dalla parola greca alétheia, disvelamento)  la cui definizione venne data per la prima volta da Platone, anche se poi Aristotele la tematizzò come oggetto di una sua trattazione filosofica. Nel “Il sofista, Platone distingue il filosofo, che è colui che dice il vero, dal sofista, cioè da colui che, non essendo filosofo, invece afferma il falso simulandolo per vero. Aristotele riprende la concezione del suo maestro e nella “Metafisica” sostiene che "il vero e il falso non sono nelle cose, ma nel pensiero", cioè sono "una qualità del pensiero" che però non dipendono dal pensiero ma dipendono in toto dal suo rapporto con la realtà. E lo stesso Aristotele enuncia il principio di non-contraddizione della logica secondo il quale “è impossibile che lo stesso attributo, nel medesimo tempo, appartenga e non appartenga al medesimo oggetto, principio che, in certo qual modo viene contraddetto, dallo stesso regista quando dice che “anche in un falso c’è qualcosa di vero” o che il regista fa affermare nel film da una protagonista del film, Claire (Sylvia Hoels): “in ogni falso si nasconde sempre qualcosa di autentico”.

Virgil Oldman (Geoffrey Rush) è un sessantenne battitore di aste molto abile, un esperto d’arte di fama internazionale, amante accanito delle opere d’arte di cui subdolamente fa incetta. Ha un carattere introverso, è misantropo e anche misogino. Un giorno riceve una telefonata da Claire, una giovane donna che ha ereditato una vecchia villa di cui vuole che le vengano valutati tutti gli arredi al fine di venderli. Il fatto strano è che in tutti gli appuntamenti la donna non si presenta mai apportando sempre delle motivazioni plausibili. Dai diversi contatti telefonici, che inizialmente irritano Virgil, si instaura uno di quei legami che esistono per la forza inconscia del cuore che imprime alla mente l'instaurarsi improvviso e ammaliante di un pensiero amoroso, che rimane latente, non consapevole, e che emerge nel momento più propizio. Come se si formasse un filo invisibile tra l’uomo e la donna, conduttore di emozioni vicendevolmente, biunivocamente, inconsapevolmente. Emozioni che si autocatalizzano e che fanno sfociare l’uomo e la donna nel mare delle passioni irrefrenabili, dove l'amore impera, quell’amore che è la colla dei sentimenti di una coppia. Tant’è che Claire afferma “Qualunque cosa ci accada, sappi che io ti amo!", rivolgendosi a Virgil.
Virgil accetta l’incarico e, nel corso dei vari sopralluoghi, rinviene nella cantina della villa dei pezzi di un ingranaggio  che si rivela essere parti di un automa di Jacques de Vaucanson, uno scienziato vissuto nel secolo dei Lumi, autore di diversi meccanismi robotici. A questo punto, nel film è chiara la metafora della creatività umana e di come questa possa essere utilizzata da ogni individuo per proprio tornaconto “giocando” con i sentimenti umani. Manifestazione di ciò si trova sia nelle parole di Billy (Donald Sutherland), l’amico complice di Virgil Oldman, che afferma che "i sentimenti umani sono come le opere, si possono simulare" sia nella costruzione lenta e laboriosa, attraverso i vari ingranaggi che vengono trovati via via nella villa che portano gradualmente alla concretizzazione dell’automa di Vaucanson, grazie alla bravura del giovane tecnico Robert (Jim Sturgess).
Giuseppe Tornatore, che dimostra ancora una volta di essere un grande maestro del cinema non solo italiano ma anche internazionale (chi può dimenticare i suoi film come “Nuovo Cinema Paradiso” del 1988, “La leggenda del pianista sull’oceano” del 1998 o il meno fortunato “Baaria” del 2009) per la profondità e la peculiarità dei temi affrontati, costruisce un film bellissimo, curato nei minimi particolari, dai connotati veramente originali, e dirige un cast di attori bravissimi tra cui spicca Geoffrey Rush (Oscar 1997 come “miglior attore” per il film “Shine” e ottimo interprete del logopedista Lionel Logue nel film "Il discorso del re" del 2011) con la colonna sonora dell’eccelso maestro Ennio Morricone.