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giovedì 7 giugno 2012

In “Una giornata particolare” di Ettore Scola uno spaccato dell’Italia fascista.


Titolo: Una giornata particolare

Regia: Ettore Scola Sceneggiatura e soggetto: Ettore Scola, Ruggero Maccari, Maurizio Costanzo Produzione. Italia, 1977 Cast: Sophia Loren, Marcello Mastroianni, Johm Vernon, Francois Berd, […] Ho rivisto volentieri, trasmesso qualche giorno fa in prima serata su Rai3, dopo circa trentacinque anni, questo bellissimo film del grande regista Ettore Scola che descrive con una semplicità eccezionale Una giornata particolare, quella dell’8 maggio 1938, ultimo giorno della visita di Hitler in Italia. Opere di rilevanza come questa, che ebbe anche due nomination al premio Oscar, dovrebbero essere viste da chi non è vissuto durante il ventennio fascista o da chi è nato molto tempo dopo e non ha potuto respirare l’aria né ha avuto la fortuna di studiare a fondo uno dei più brutti e tetri periodi della storia recente italiana. Allora l’omologazione sociale e il pensiero unico erano orientati soltanto sia verso la divinizzazione di un solo individuo, il Duce, così come avveniva nell’antica Roma imperiale, sia verso l’esaltazione eccessiva della mascolinità. E non era un caso che la lettera “M”, l’iniziale di Mussolini, fosse anche quella di Maschio, e di Marito che, in quanto maschio, doveva assicurare la supremazia e la proliferazione. Tema questo che è stato ripreso anche da Pupi Avati nel recentissimo film Il cuore grande delle ragazze. La diversità del pensiero (avrebbe compromesso la durata del fascismo), il disordine (perché l’ordine è la virtù dei mediocri) e la diversità sessuale (non avrebbe assicurata la proliferazione) non erano assolutamente permessi. Pena il confino nel migliore dei casi! Allora non potevano pronunciarsi neppure le parole straniere: “… m’hanno fregato pure il pon pon. Non si dice pon pon! È parola straniera! Chiamalo fiocco, nappa, non so! Italianizza: chiamalo pon pono!” – dice alla figlia Emanuele (Johm Vernon), il marito di Antonietta (Sophia Loren). Il film, che per tutta la sua durata ha come colonna sonora la radiocronaca ossessionante della cerimonia, inizia descrivendo una gran folla di persone (uomini, donne, bambini, vecchi) che si recano alla parata militare di quel giorno di “festa”, lasciando vuote le loro abitazioni ubicate in un grande palazzo popolare. Vi rimangono soltanto Antonietta, una prolifica madre di sei figli, e Gabriele (Marcello Mastroianni), un frocio (così veniva chiamato un omosessuale) che aspetta di essere prelevato per il confino. Antonietta e Gabriele per caso si incontrano, si conoscono e tra loro due si instaura tacitamente una corrispondenza di amorosi affetti. I loro ruoli, dopo questo incontro, si invertono. Antonietta non si era mai posto il problema della sua condizione di essere donna e madre e casalinga e non aveva mai messo in discussione il potere fascista imperante, di cui era pienamente convinta assertrice, tant’è che in un dialogo con la portinaia (Francois Berd) afferma che una persona perbene non può essere antifascista. Antonietta fino a quel momento coniuga perfettamente perbenismo e fascismo. Quell’incontro con Gabriele, tuttavia, la sconvolge e la stravolge. Gabriele, da parte sua, che aveva pensato di suicidarsi perché considerato un”diverso” escluso da quella società disumana, dopo l’incontro con Antonietta vi rinuncia affermando No, è sicuro, la vita, qualunque sia, vale la pena di essere vissuta.