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giovedì 19 gennaio 2012

Una tragedia nazionale trasposta in una tragedia familiare nel film “L’industriale” di Giuliano Montaldo.





Titolo del film: L’industriale
Sceneggiatura: Giuliano Montaldo e Vera Pescarolo
Musica: Andrea Morricone
Produzione: Italia, 2011
Cast: Pierfrancesco Favino, Carolina Crescentini, Eduard Gabia, Elena Di Cioccio, Elisabetta Piccolomini, Andrea Tidona, Francesco Scianna, Roberto Alpi

Mi ricordo con vivo piacere e simpatia di Giuliano Montaldo a far tempo dal lontano 1971, quando ancora fresco virgulto speranzoso laureato in Chimica andai a vedere quel bellissimo indimenticabile superbo memorabile film di grande spessore artistico e di denuncia sociale contro la pena di morte, che fu ed è Sacco e Vanzetti, con l’interpretazione magistrale del grande attore velletrano Gian Maria Volonté. Questi stessi caratteri artistici e di denuncia furono, dopo due anni, ripresi e ribaditi ancora nel film Giordano Bruno dove Montaldo mise in evidenza l’arroganza del potere religioso contro la libertà di pensiero. Messaggio che per tanti anni mi sono portato dietro con il mio bagaglio culturale e ho trascritto nel mio romanzo I sassi di Kasmenai : … la posizione dogmatica della chiesa ha costituito un ostacolo allo sviluppo del pensiero creativo e ha rappresentato un impedimento alla libertà di pensiero, considerata questa … l’unico vero moto rivoluzionario a favore del progresso dell’umanità, … E ciò poteva portare al rogo. La statua di Giordano Bruno a Campo dei Fiori, a Roma, sta a testimoniare tale assurda atrocità umana. Sosteneva, infatti, questo filosofo che “La verità è quella entità che non è inferiore a cosa alcuna…”. Adesso vedendo L’industriale ho ritrovato dopo tanti anni, senza aver visto il precedente film I demoni di San Pietroburgo (2008), Montaldo sempre bravissimo e ancora vigoroso oltre che per la sceneggiatura, scritta assieme alla moglie Vera Pescarolo, anche per aver saputo, con grande perizia e con la consueta sagacia, affrontare un tema attualissimo molto scottante, angosciante e onnipresente senza suscitare nello spettatore quell’insulso sentimentalismo che deteriora l’aspetto significativo del problema affrontato. Montaldo ha saputo coinvolgere lo spettatore con una bravura eccezionale perché ha trasferito attimo dopo attimo quel messaggio morale che lo ha contraddistinto sempre. Non è un caso che sia stato insignito per questo di una grande onorificenza, quella di Cavaliere di Gran Croce, dal Presidente della Repubblica Ciampi e che, quasi contemporaneamente, gli sia stato conferito per i suoi meriti artistici il David di Donatello nel 2007. Questo film è Montaldo nel senso che egli esprime il suo modo di vedere e di pensare in maniera obiettiva e cronachistica la situazione italiana sia dal punto di vista economico che sociale, senza che si lasci prendere dalla voglia di esprimere giudizi. Il colore della fotografia che tende a tinte sbiadite, cineree e a sfumature quasi monocromatiche esalta e risalta il grigiore di questo nostro triste periodo, ed ha come sfondo la vecchia capitale industriale italiana, Torino. Niente è per caso in questo film neppure quando il protagonista Nicola Ranieri (il bravissimo Pierfrancesco Favino) tocca il nome della sua famiglia scritto a rilievo con caratteri cubitali sul muro della vecchia fabbrica del padre. Quel nome una volta insigne e illustre adesso sta sgretolandosi come si stanno sgretolando le fondamenta di un sistema economico basato sul capitalismo che ormai giunto alla saturazione si sta avviando esanime verso un finale dai connotati bui. Nelle vesti di Nicola, Montaldo riversa tutto l’orgoglio industriale italiano che, per le grosse difficoltà economiche, paventa il fallimento con la prospettante chiusura delle fabbriche e il derivante licenziamento degli operai con conseguenze sociali inimmaginabili. Nicola chiede un prestito che gli viene negato per mancanza delle solite garanzie richieste e, di conseguenza, non vuole cedere né all’arroganza bancaria né al potentato economico. Usa, allora, per salvare per altra via l’azienda degli stratagemmi futili, puerili e furbeschi che non hanno il risultato sperato. In seguito a tutto questo subentrano delle incomprensioni con la moglie Laura (la bella e brava Carolina Crescentini) che conducono ad un finale molto tragico il quale sottolinea, ancora una volta, il fatto che in questi tristi avvenimenti contemporanei a rimetterci sono sempre i più deboli.
Fonti
http://www.ilfoglioletterario.it/pod/catalogo_pod_francesco_giuliano.htm

http://www.mymovies.it/biografia/?r=256