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domenica 29 dicembre 2013

In “Gloria” donna avvenente e fascinosa l’impulso amoroso non teme l’età

Titolo: Gloria
Regia: Sebastian Lelio
Sceneggiatura: Sebastian Lelio, Gonzalo Maza
Produzione: Cile, Spagna 2013

Cast: Paulina Garcia, Sergio Hernández, Diego Fontecilla, Marcial Tagle, Fabiola Zamora, Antonia Santa Maria, […]
Gloria (Paulina Garcia), pur avendo superato i cinquant’anni, è ancora una donna avvenente e piena di fascino, anche se sono molto evidenti i tratti somatici visibilmente degradati per l’età avanzata. Divorziata da dodici anni e rimasta sola, in quanto i due figli, un maschio e una femmina, ormai adulti se ne sono andati da casa, cerca di ritrovare un nuovo equilibrio dal punto di vista sentimentale frequentando discoteche e partecipando a festini tra amici. Si comporta come fosse un’adolescente carica di sensualità prorompente e turbinosa. La sua ricerca ossessiva trova soddisfazione in quanto, in una di queste serate, incontra uno spasimante Rodolfo (Sergio Hernández), adulto pure lui sposato però con moglie e due figlie ancora a carico, con il quale incomincia a frequentarsi e ad avere rapporti sessuali come se avesse riacquistata la gioventù ormai superata da tanto tempo. E ciò la porta a rinascere, a dare un senso alla vita, quel senso che aveva perso a causa dell’asimmetria in cui si era capitata e dell’isolamento in cui si era venuta a trovare e che le avevano generato un certo squilibrio comportamentale. Rodolfo, pur essendo una persona affabile si mostra ben presto inaffidabile e poco fedele al legame amoroso.
Sebastian Lelio è stato molto bravo nel creare un profilo femminile, quello di Gloria, inquadrato nei suoi diversi momenti umorali più significativi che ripresi a ragione mostrano con inusitata maestria i sentimenti della donna e la loro variabilità connessa con il nuovo rapporto amoroso e lo fa con semplicità e senza drammatizzazione. Ma lo è bravissima anche Paulina Garcia che fa sua la parte descrivendo magistralmente un ritratto di donna speciale e lo fa con grazia e con disinvoltura. Speciale come la canzone “Gloria “ di Umberto Tozzi  che è cantata, in spagnolo, nel film Gloria,/ faltas en el aire/ faltas a una mano/ que trabaja despacio/ faltas a esta boca/ que ya no prueba bocado/ y siempre  esta historia/ que a ella la llamo Gloria …” (Gloria manchi tu nell'aria/ manchi ad una mano che lavora piano/ manchi a questa bocca che cibo più non tocca/ e sempre questa storia che lei la chiamo Gloria. ...). Ottimo film ben diretto dal regista  Sebastian Lelio e bravissima Paulina Garcia che, al Berlino International Film Festival 2013, ha ottenuto il premio come migliore attrice.

venerdì 20 dicembre 2013

Quali possono essere le cause che ingannano le aspettative di un’adolescente “Giovane e bella”? Se lo chiede il regista François Ozon nel suo ultimo film

Titolo: Giovane e bella
Titolo originale: Jeune et jolie 
Regia: François Ozon
Produzione: Francia, 2013

Cast: Marine Vacth, Géraldine Pailhas, Frédéric Pierrot, Fantin Ravat, Johan Leysen, Charlotte Rampling, Nathalie Richard, […]
Il 2013 è stato un anno proficuo per il regista François Ozon per avere affrontato dei temi che riguardano gli adolescenti del nostro tempo sia dal punto di vista sociale che psicologico, e che investono anche la loro sfera affettiva ed emozionale. All’inizio del 2013, infatti, esce il film drammatico “Nella casa”, dove Ozon descrive le vicissitudini di un sedicenne che, essendo molto bravo nella scrittura e abbastanza curioso, arricchisce i suoi racconti prendendo come spunto tutto ciò che vede e tocca all’interno di una famiglia borghese dell’amico Rapha. Nello stesso anno lavora in quest’altro film “Giovane e bella”, dove descrive delle vicende dell'adolescente Isabelle (Marine Vacth), una studentessa diciassettenne di liceo, il suo inspiegabile comportamento che la porta a prostituirsi per il proprio piacere. La storia di una giovane bella, carica di tanta curiosità che la porta a sconvolgere la propria vita, attraverso un’esperienza eccezionale, senza che si ponga il motivo. Ozon affronta così il problematico tempo dell’adolescenza presentando Isabelle in solitudine e priva del significato di serietà. E lo fa partendo, intelligentemente, dalla discussione in classe  del poema del poeta maledetto Arthur RimbaudNessuno è serio a diciassette anni”, così come viene espresso dai primi versi della poesia “Romanza”: Nessuno è molto serio quand'ha diciassett'anni./ I caffè strepitanti dalle luci splendenti,/ le bibite e la birra d'improvviso t'annoiano,/ e allora vai a spasso per il viale dei tigli./ Come profuma il tiglio nelle sere di giugno!/ Talvolta l'aria è dolce da farti chiuder gli occhi;/ il vento porta suoni, - le case son vicine -,/ porta odori dì vigna ed odori di birra...… .
Sarà per questo o per altri i motivi che la giovane è portata inconsapevolmente a deturpare la sua purezza e a farla affondare prepotentemente e irreversibilmente nello squallore più putrido e violento che si possa immaginare? Sarà la mancanza di una vera famiglia, essendo madre e padre separati, e, quindi, la privazione dell’affetto della figura paterna che la spingono a ricercare il padre in un altro uomo qualsiasi attraverso il rapporto sessuale? Oppure sarà l’insopportabile presenza in casa dell’antipatico patrigno, o la carenza di punti di riferimento certi, o ancora sarà la sua bellezza prorompente, o la sua solitudine? Il regista si pone e fa porre allo spettatore tutte queste domande. Si arriverà ad una risposta certa? 

mercoledì 4 dicembre 2013

“La mafia uccide solo d’estate” di Pif è uno di quei capolavori che bisogna vedere a tutti i costi per la sua forza espressiva ed emozionale

Titolo: La mafia uccide solo d’estate
Regia: Pif, alias Pierfrancesco Diliberto,
Sceneggiatura: Marco Martani
Produzione: Italia, 2013

Cast: Cristiana Capotondi, Pif (alias Pierfrancesco Diliberto), Alex Bisconti, Ginevra Antona, Claudio Gioé, Ninni Bruschetta, Barbara Tabita, Rosario Lisma, […]

Semplice e profondo, onesto e accattivante, comico e tragico, simpatico e piacevole, sono questi gli attributi del film del regista esordiente Pif, “La mafia uccide solo d’estate” che, se non il migliore, è uno dei migliori film italiani che, con originalità speciale, stile esclusivo e sceneggiatura coinvolgente, tratta con coraggio e sottile ironia il tema della mafia in Sicilia e dei corrispondenti e crudeli eccidi perpetrati già da tanto tempo. A partire dall’uccisione di Mario Francese, giornalista de “Il Giornale di Sicilia", il 26 gennaio 1979, fino ad arrivare nel maggio - luglio 1992, periodo in cui vennero uccisi il giudice Falcone e il giudice Borsellino, passando per quelle del generale Dalla Chiesa, del capo della squadra mobile di Palermo, Boris Giuliano, e del giudice Rocco Chinnici. Morti da “eroi” perché tutti, ognuno nell’ambito della propria funzione, hanno cercato di combattere questo fenomeno asociale, subdolo e violento, ad armi impari e a viso scoperto, usando solo la forza della legge. L’attuale presidente del Senato, Pietro Grasso ha definito questo film “… la miglior opera cinematografica sul tema mafia che abbia mai visto”.
L’immobilismo, il dire e il non dire, il vestito di rabbia di cui non si ha il coraggio di togliere, l’incapacità di resistere ad un mostro invisibile, il parlare con sguardi colmi di cinismo, le metafore feroci e ricche di significato aggressivo, “le stranezze malavitose”, l’annientamento della personalità, la sfiducia insita nei comportamenti (… il sud è niente e niente succede … non siamo niente … così recita il regista Fabio Mollo nel suo film d’esordio “Il sud è niente (2013)”), la voce del silenzio che si fa violenza, la violenza che veste ogni cosa e che si coglie nel saluto e nei gesti, nei regali, nei convenevoli, nelle azioni “amichevoli”, il rapporto ambiguo tra mafia e Stato colto sottilmente nella frase “La Sicilia ha bisogno dell’Europa, l’Europa ha bisogno della Sicilia”, l’assenza di ribellione ai violenti, la speranza di un riscatto che non verrà mai, la voglia di lasciare tutto, la rinuncia dei vecchi di riscattarsi assieme alla voglia di rimanere dei giovani che vogliono lottare, ribellarsi, per una società migliore senza nascondersi, a viso scoperto, e che sono stati molto spesso vittime. Ribellione evinta anche ne “I cento passi” (2000), di Marco Tullio Giordana, dalla frase passionalmente pronunciata da Peppino Impastato (Luigi Lo Cascio), vittima della mafia, che introduce chiaramente l’ambiente familiare e ambientale in cui nascono e vivono i giovani del Sud “Mio padre, la mia famiglia, il mio paese! Io voglio fottermene! Io voglio scrivere che la mafia è una montagna di merda! …  Noi ci dobbiamo ribellare. Prima che sia troppo tardi! Prima di abituarci alle loro facce! Prima di non accorgerci più di niente!
Il film si presta bene anche ad essere strumento didattico eccezionale e penetrante di divulgazione e di comprensione del fenomeno mafioso per gli studenti di tutte le età. Fa capire, infatti, in modo estemporaneo e graduale, che per combattere la mafia è necessario aprire la mente alle future generazioni perché queste comprendano che la malvagità è subdola ed è difficile saperla distinguere. Tant’è che Arturo da grande (Pif) recita “quando sono diventato padre ho capito due cose: la prima che avrei dovuto difendere mio figlio dalla malvagità del mondo, e la seconda che avrei dovuto insegnargli a distinguerla”.
La mafia a Palermo non esiste” così viene ribadito all’inizio del film:  un’espressione con la quale il regista, che cita anche l’allora Presidente del Consiglio secondo cui la mafia esisteva solo in Campania e Calabria, ha voluto evidenziare la superficialità, la disattenzione e la convivenza-collusione, a volte inconsapevole così come avviene per Flora da grande (Cristiana Capotondi) che diventa segretaria del deputato Salvo Lima. In questo contesto, si svolge sin dalla nascita la vita di Arturo (Alex Bisconti) che da bambino, alla scuola elementare, si innamora perdutamente di una sua compagna di classe, Flora (Ginevra Antona).
Un plauso meritato al regista esordiente Pif che ci ha regalato un’opera che viene la voglia di vedere più volte per cogliere quelle sottili sfumature molto significative che costellano il film, così come le stelle il firmamento. Al Festival del Cinema di Torino 2013La mafia uccide solo d’estate” ha ottenuto il premio come Miglior film votato dal pubblico.

domenica 24 novembre 2013

Dall’ultimo film del regista Asghar Farhadi emerge come “Il passato” ci condiziona nella vita e nelle scelte quotidiane

Titolo: Il passato
Titolo originale: Le passé
Regia e sceneggiatura: Asghar Farhadi
Produzione: Italia, Francia, 2013

Cast: Bérénice Bejo, Ali Mosaffa, Tahar Rahim, Pauline Burlet, Elyes Aguis, Jeanne Jestin, Sabrina Quazani, Babak Karimi, Valeria Cavalli, […]

Con quest’ultimo film“Il passato”, il regista Asghar Farhadi mette in atto uno spettacolo straordinario, così aggrovigliato, intenso, profondo, ricco di significati che rientrano sia nella sfera emozionale che in quella sentimentale e affettiva di ogni persona, uomo o donna, grande o piccola che sia, tale da lasciare in continua attesa lo spettatore, del quale prova, riuscendoci, ad attirare l’attenzione senza concedergli tregua per l’intera durata di 130 minuti. Il regista, infatti, scava nell’animo di ciascun protagonista in modo così sottile e accurato, come fa un bravo medico durante un’operazione chirurgica, con un ottimo risultato finale.  Egli descrive, così, la mancanza di equilibrio interiore e i sensi di colpa della moglie Marie (Bérénice Bejo) nei confronti della figlia Lucie (Pauline Burlet) dall’animo ribelle.  E delinea il carattere equilibrato e accomodante del marito iraniano Ahmad (Ali Mosaffa), dal quale Marie deve separarsi, e, al tempo stesso, quello disorientato di Samir (Tahar Rahim) con cui Marie deve sposarsi. In ogni caso, Asghar Farhadi illustra, con sottile ed efficace perspicacia, come ogni comportamento individuale dipenda dalle esperienze passate di ciascuno, e fa emergere, in sostanza, “della forza del passato” l’aspetto virulento e intransigente di questo, da cui nessuno si può sottrarre. Presenta questa forza come l’unica entità, a dirla con il pensiero di Aristotele, che “Dio non può disfare”, o, addirittura, come dice Anatole France, ne “Il giglio rosso” che “tutto ciò che è, è passato”. Tra tutti gli attori bravissimi, spicca la bellissima Bérénice Bejo, protagonista principale.
Asghar Farhadi è un regista pluripremiato come dimostrano i diversi premi che ha ottenuto con il film “Apout Elly” (Orso d’Argento al Festival di Berlino 2009) e il film “La separazione”, premio Oscar 2011 come miglior film straniero (che ha ricevuto anche un David di Donatello, un Cesar, e 4 premi al Festival di Berlino).

domenica 17 novembre 2013

La storia d’Italia dal boom economico fino all’era berlusconiana raccontata con brio nel”L’ultima ruota del carro”

Titolo: L’ultima ruota del carro
Regia: Giovanni Veronesi
Soggetto e Sceneggiatura: Giovanni Veronesi, Ugo Chiti, Filippo Bologna, Ernesto Fioretti
Produzione: Italia, 2012
Cast: Elio Germano, Richy Memphis, Alessandra Mastronardi, Virginia Raffaele, Sergio Rubini,Alessandro Haber, Massimo Wertmü ller,Ubaldo Pantani, Dalila Di Lazzaro, Luis Molteni, […]


 
L’ultima ruota del carro”, film che ha aperto fuori concorso il Festival Internazionale del Cinema di Roma 2013, è una commedia esilarante, spassosa, con un sentore ironico della politica, che diverte lo spettatore continuamente e lo tiene attento per tutta la sua durata. Basato sulla storia recente dell’Italia, esattamente quella che va dal 1967 fino all’era berlusconiana, cioè quella che va dal boom economico fino alla decadenza economica, etica, morale e politica dell’Italia, esso descrive le virtù, personificate soprattutto da Ernesto (Elio Germano), da sua moglie Angela (Alessandra Mastronardi) e dal suo amico pittore (Alessandro Haber), e i vizi, personificati fondamentalmente da Giacinto (Richy Memphis) e dal truffaldino Fabrizio Del Monte (Sergio Rubini). In questo lasso di tempo ci sono le Brigate rosse, c’è l’omicidio di Aldo Moro, c’è l’ascesa al potere dei socialisti e quindi di Bettino Craxi e del suo esilio ma, accanto a queste nefaste turpitudini, ci sono la vittoria del Mondiali dell’Italia del 1982 e  le vicissitudini di una delle tanti famiglie normali, di cui non si parla mai appunto perché “normali”. Il titolo deriva da una frase detta all’inizio del film dal padre (Massimo Wertmüller)  - Tu in questa famiglia sei l’ultima ruota del caro, capito?” - al figlio Ernesto quando si accorge dalla pagella scolastica che questi non è portato per lo studio. Per questo lo avvia al lavoro. Da quel momento e in quel lungo arco di tempo, inizia la descrizione delle traversie di Ernesto che, per il suo carattere, la sua integrità morale e per la sua grande umanità, risulta essere un italiano che esce dal coro, si allontana da quei “todos caballeros”, cioè da quegli stereotipi che i mass media oggi propagandano insistentemente e li emargina, e che dimostra di essere anche un marito fedele. Per questo Ernesto risulta essere un eroe del nostro tempo come Antonio Pane (Antonio Albanese), “L’intrepido” (2013) di Gianni Amelio, che sottolinea con forza e vigore che di tutti gli Italiani non si può fare lo stesso fascio e che ce n’è una buona parte che è onesta, lavora e paga le tasse, e vive in una famiglia “normale”, con le sue gioie e i suoi dolori. È nell’essere semplice, onesto, integerrimo, lavoratore, amante della famiglia, anche pauroso, l’essere eroe del nostro tempo! Essere cioè quello che un tempo veniva considerato un uomo “normale”. Giovanni Veronesi dopo il suo capolavoro “Manuale d’amore" (2005) con il quale si guadagnò il Nastro d’Argento per la migliore sceneggiatura, realizza “L’ultima ruota del carro”, il suo film migliore, con il quale si confronta con i più grandi registi della commedia all’italiana, quali sono stati Monicelli, Scola e Risi.  

Richy Memphis, Alessandra Mastronardi (nomination Nastro d’Argento 2012 come migliore attrice non protagonista del film “To Rome with Love” di Woody Allen), Virginia Raffaele, Sergio Rubini, Alessandro Haber, molto bravi affiancano un bravissimo Elio Germano che in questo film ha superato se stesso.

giovedì 14 novembre 2013

Si respira aria di ‘ndrangheta nel film di Fabio Mollo “Il Sud è niente”

Titolo: Il Sud è niente
Regia: Fabio Mollo
Sceneggiatura: Fabio Mollo, Josella Porto
Produzione: Italia/Francia 2013

Cast: Miriam Karlkvist, Vinico Marchioni, Valentina Lodovini, Andrea Bellisario, Alessandra Costanzo, Giorgio Musumeci, […]

L’immobilismo, il dire e il non dire, il vestito di rabbia di cui non ci si può spogliare, l’incapacità di resistere ad un mostro invisibile, il parlare con sguardi colmi di cinismo, le metafore feroci e ricche di significato aggressivo, l’annientamento della personalità, la sfiducia insita nei comportamenti (“… il sud è niente e niente succede … non siamo niente …”), la voce del silenzio che si fa violenza, la violenza che veste ogni cosa e che si coglie nel saluto e nei gesti, nei regali, nei convenevoli, nelle azioni “amichevoli”, il rapporto ambiguo tra mafia e Chiesa, l’assenza di ribellione ai violenti, la speranza di un riscatto che non verrà mai, la voglia di lasciare tutto, la rinuncia dei vecchi di riscattarsi assieme alla voglia di restare dei giovani che vogliono lottare per una società migliore, tutto questo e altro emerge in questo lungometraggio, opera prima del regista calabrese Fabio Mollo, un racconto di “realismo magico”.
Dice il regista “Il Sud è niente è la storia di un Sud che è più emozionale che geografico”, dove Grazia (Miriam Karkvist) ricerca disperatamente il fratello, la cui scomparsa è immersa nel silenzio del padre Cristiano (Vinicio Marchioni) e della nonna (Alessandra Costanzo) che, durante una visita al figlio e alla nipote, prepara come dolci “gli ossi dei morti”, manifestando metaforicamente che qualunque cosa si tenti di fare al Sud risulta inefficace e inutile.
La ricerca continua del fratello, materiale ma anche sentimentale, incomincia nel mare e termina col mare dello Stretto di Messina, dove come in  un grembo materno Grazia si ribella, riceve la linfa vitale di “ritrovare se stessa e scoprire la sua identità” e  di lottare “per riprendere possesso del proprio futuro e riportare speranza là dove prima non c’era altro che silenzio”. E questa ribellione  richiama alla mente “I cento passi” (2000), il film di Marco Tullio Giordana, dove la frase prepotentemente pronunciata da Peppino (Luigi Lo Cascio) introduce chiaramente l’ambiente familiare e ambientale in cui nascono e vivono i giovani del Sud “Mio padre, la mia famiglia, il mio paese! Io voglio fottermene! Io voglio scrivere che la mafia è una montagna di merda! …  Noi ci dobbiamo ribellare. Prima che sia troppo tardi! Prima di abituarci alle loro facce! Prima di non accorgerci più di niente!
Nel film, che è condotto magistralmente da Fabio Mollo, si coglie anche un cenno sul rapporto ambiguo tra mafia e Chiesa, messo in risalto dalla eterogenea partecipazione alla processione del santo patrono del paese, rapporto che recentemente è descritto pure da Nicola Gritteri e Antonio Nicaso nel saggio “Acqua Santissima”.
Bravissima è risultata nel suo primo impegno cinematografico la ventunenne italo-svedese Miriam Kalrkvist. Eccellente la partecipazione di Vinicio Marchioni.
La sceneggiatura del film ha partecipato alle selezioni del Festival de Cannes- Cinefondation 2011, al Berlinale Talent Project Market 2011, al Festival di Torino – Torino Film Lab 2010 e al Festival di Roma – NCN 2010.
Il film uscirà nelle sale il 28 novembre 2013.

sabato 9 novembre 2013

Cercare “Il mondo fino in fondo” vuol dire vivere la diversità in piena libertà

Titolo: Il mondo fino in fondo
Regia: Alessandro Lunardelli
Sceneggiatura: Alessandro Lunardelli, Vanessa Picciarelli
Musiche originali: Pasquale Catalano
Paese: Italia, 2013

Cast: Luca Marinelli, Filippo Scicchitano, Barbora Bobulova, Camilla Filippi, Cesare Serra, Alfredo Castro, Manuela Martelli, […]
Dall’analisi di questo film “Il mondo fino in fondo”, il primo lungometraggio di Alessandro Lunardelli, emerge un reticolo di relazioni  e di scelte straordinarie, imprevedibili, inconsuete, che un diciottenne, Davide (Filippo Scicchitano), intraprende per scoprire  il senso della vita e le naturali inclinazioni che stanno riposte nel suo animo e che tendono ad esplicitarsi liberamente. Ma l’ambiente in cui vive, Agro una cittadina del nord Italia, non glielo permette. Non ci vogliono, infatti, inibitori come il padre, o gli abitanti con cui ha rapporti, perché questi con la loro presenza soltanto e con le loro “certezze”  impediscono a Davide la libertà di scegliere sulla base delle proprie tendenze sessuali e di vivere la sua vita senza impedimento alcuno. Davide, di fatto, comprende di trovarsi in una società e, quindi, in una famiglia che, con i suoi pregiudizi, i suoi stereotipi, i suoi dogmi, e le sue regole, lo tiene come in una gabbia, in cui non riesce fondamentalmente ad essere se stesso. Come avviene in “La vita di Adèle” (2013) di Abdellatif Kerchiche, dove Adèle incontra Emma, così casualmente, Davide incontra Andy (Cesare Serra), un giovane cileno ecologista. Dentro di sé avviene qualcosa di misterioso, di incomprensibile, che lo stravolge e lo coinvolge. Come una calamita che attrae i pezzetti di ferro, così Andy attrae Davide. E lo attrae a tal punto che Davide, approfittando della carta di credito che gli ha prestato il fratello Loris (Luca Marinelli), lo insegue fino alla fine del mondo, in Patagonia, nel Cile, la patria del grande poeta Pablo Neruda (Mi piaci quando taci perché sei come assente, …) , dove ancora si avvertono i postumi violenti della violenta dittatura di Pinochet, e dove Andy si è recato, come dice lui, per “morire” dinanzi al ghiacciaio di san Rafael, un gigante che con la sua altezza di 200 metri si sfalda a poco a poco riversandosi sul mare. Uno spettacolo eccezionale che fa comprendere quanto la Natura sia bella, travolgente e da rispettare. “Ci sono luoghi che chiamano in sé in modo strano e irrituale. Ti mettono nel mirino e con il loro fascino svuotano lentamente ogni resistenza all’abbandono” dice a riguardo il regista. Davide va a cercare Andy inspiegabilmente? Per amore si può andare fino alla fine del mondo e la spiegazione, forse stranamente, la si può trovare nell’equazione di Dirac che è l’equazione più bella della fisica che sancisce il seguente principio: “Se due sistemi interagiscono tra loro per un certo periodo di tempo e poi vengono separati, non possono più essere descritti come due sistemi distinti, ma in qualche modo, diventano un unico sistema. In altri termini, quello che accade a uno di loro continua ad influenzare l’altro, anche se distanti chilometri o anni luce”. Ovviamente, sulla base di ciò, viene spontaneo, estrapolando tale principio e applicandolo alle relazioni umane, affermare che “Se due persone interagiscono tra loro per un certo tempo in cui si verifica l’instaurarsi dei sentimenti reciproci di amicizia o di amore, e poi vengono separate, esse non possono essere descritte come due persone distinte ma, in qualche modo diventano un’unica persona. In altre parole, quello che accade a una di loro continua ad influenzare l’altra, anche se distanti chilometri o anni luce”. “Le storie dovrebbero iniziare in un altro modo senza far male a nessuno” e,  invece, Loris è costretto a recarsi alla ricerca del fratello, lasciando la moglie incinta e affrontando diverse peripezie pericolose, finché lo trova e scopre che  Davide è gay. “Sono gay, Loris” gli dice di botto Davide superando definitivamente la paura di esplicitare a un componente della sua famiglia, il fratello maggiore, la sua naturale diversità e mostrando di aver acquisito quella libertà che gli era negata nel paesino dove era nato e cresciuto. Loris, ovviamente, per necessità è costretto a vivere in un ambiente di “diversi” e di ecologisti dove conosce Ana (Manuela Martelli). Là si accorge che dal punto di vista umano costoro non sono così “diversi” dagli altri, anzi lottano con coraggio per la difesa dell’ambiente, tant’è che ad un certo punto Loris percepisce che nel rapporto con il fratello la sua vita è cambiata e anche il suo modo di pensare quando afferma che  “Io non sono come voi, ma non sono contro di voi”.
Il film nell’incipit risulta condotto in modo un po’ frettoloso tale da disorientare inizialmente lo spettatore (la rapidità, ad esempio, della scena in cui compare Barbora Bovulova confonde), mentre per il resto dimostra una sceneggiatura ben costruita e la bravura del regista nell’uso della macchina da presa. Bravi sono risultati anche i due protagonisti principali, Luca Martinelli e Filippo Scicchitano, già noti al grande pubblico del cinema per essere stati protagonisti in film di successo rispettivamente in “La solitudine dei numeri primi” (2010) di Saverio Costanzo, e in “Scialla” (2011) di Francesco Bruni. Il film “Il mondo fino in fondo” è stato presentato fuori concorso nella sezione autonoma e parallela del Festival Internazionale del Cinema di Roma (2013) “Alice nella città”.

venerdì 1 novembre 2013

“Sole a catinelle” per trasmettere un po’ di ottimismo e di vigoria all’italica gente

Titolo: Sole a catinelle
Regia: Gennaro Nunziante
Sceneggiatura: Gennaro Nunziante, Checco Zalone
Produzione: Italia, 2013
Cast:  Checco Zalone, Aurore Erguy, Miriam Dalmazio, Robert Dancs, Ruben Aprea, Valeria Cavalli, Orsetta De Rossi, Matilde Caterina, Augusto Zucchi, […]

Un film “Sole a catinelle” ben congegnato, esilarante, piacevole, rilassante, che esprime bellezza e gradevolezza sin dalle sue prime immagini, tant’è che alla fine vien la voglia di rivederlo per le continue risate che genera e per il conseguente effetto terapeutico che ha sullo spettatore, effetto molto importante e necessario soprattutto in questo periodo in cui la cronaca gli propina continuamente sempre le stesse cose e gli stessi personaggi, come se chi ha perso il lavoro e non lo trova, chi è disoccupato o chi non ha i soldi per campare non abbia la stessa importanza se non di più. Ridere fa bene alla salute” e trovare, oggi, un pretesto che faccia ridere risulta fondamentale. Recentemente, infatti, è stato scoperto che, durante la risata, dal cervello di un individuo vengono prodotte delle sostanze chimiche, classificate come ormoni, chiamate “endorfine”. Queste hanno proprietà antidolorifiche e la loro azione si avvicina a quella della morfina (per questo l’end-orfina ha la stessa desinenza della m-orfina) e dell’oppio, che contiene oltre alla morfina anche la codeina e la tebaina, sostanze appartenenti al gruppo degli alcaloidi anch’esse con proprietà analgesiche. La scoperta empirica degli effetti benefici della risata fatta dai nostri antenati, di cui quel detto proverbiale ne è una prova, circa quattro anni orsono è stata provata sperimentalmente ed è per questo che le endorfine vengono chiamate anche “ormoni della felicità”. Per tutto questo si è sviluppata una branca della psicologia, detta gelotologia (dal greco gelos, riso, e logos, discorso), che studia la risata e tutte le applicazioni terapeutiche di questa che inducono a curare un individuo depresso. La risata, assieme a tutto ciò che permette la produzione di endorfine, quindi contribuisce al mantenimento della salute di un individuo e, in caso di malattia, tende a indurlo ad un rapido miglioramento umorale alleviandone l’effetto depressivo. La risata è, dunque, un’azione nervosa a portata di mano di tutti che può essere generata raccontando barzellette in compagnia di un gruppo di amici briosi o provocata dalla visione di un film comico o dalla lettura di un libro umoristico o di tutto ciò che può farci sentire bene. Ridere, allora, permette di vedere la vita da un altro punto di vista, quello ottimista, che ci fa osservare il bicchiere sempre mezzo pieno e non mezzo vuoto, ci fa prendere gli avvenimenti, buoni o brutti che siano, sempre col giusto umore, ci fa dimenticare le preoccupazioni e affrontare i problemi con più tenacia, ci fa acquisire serenità e rilassatezza e, quindi, raggiungere quel senso di atarassia e aponia di stampo epicureo. In definitiva la locuzione latina “Faber est suae quisque fortunae”, ovvero “Ognuno è artefice della propria sorte”, sta ad indicare in particolare anche questo: la propria condotta di vita dipende appunto da noi stessi!

 “Sole a catinelle” è un film che fa ridere per tutta la sua durata ed è, per quanto detto sopra, che è consigliabile andarlo a vedere. È un film dove, ancora una volta Checco Zalone nella sua comica “rozzezza” brillante ed espressiva ha rifatto centro con il suo ottimistico fascino. È un film intelligente e spiritoso che utilizza la risata, una verace risata vorace, per discutere dei problemi del lavoro e della famiglia. Un film semplice e profondo al tempo stesso per i temi affrontati: la crisi economica che crea disoccupazione, la disoccupazione che disgrega le famiglie, la scuola che è impotente di fronte a certe problematiche e ne affida l’inefficace soluzione a professionalità esterne che non hanno niente a che fare con la formazione dell’individuo, le frodi fiscali commesse da imprenditori disonesti, i ricchi che si arricchiscono con operazioni illegali alle spalle della povera gente che diventa sempre più povera, l’ipocrisia dilagante dei cosiddetti vip, l’azione dei poteri forti attraverso le logge massoniche, la quale  influenza la politica e l’economia a loro vantaggio. Un film però che riversa sul pubblico ottimismo e intraprendenza.
Laureato in giurisprudenza ma dedito allo spettacolo, Zalone ha uno spiccato senso dell’umorismo geniale e una creatività che sono manifestamente e indiscutibilmente insuperabili. Zalone, il regista Gennaro Nunziante e il produttore Pietro Valsecchi hanno costituito un trio vincente che fa divertire e che, al tempo stesso, fa fare anche ottimi incassi. “Non c’è due senza tre”, dice il proverbio e, infatti, dopo “Cado dalle nubi” (2009) e il grande successo  di  “Che bella giornata” (2011), ecco questo nuovo film strabiliante, “Sole a catinelle”, semplice e profondo, dove scorrono volti giovani, freschi e belli, simpatici e attraenti, come quelli di Aurore Erguy (Zoe Marin), di Miriam Dalmazio (Daniela), di Valeria Cavalli (Juliette Marin) e, soprattutto, quello di Robert Dancs (Nicolò), una giovanissima rivelazione che non ha niente da invidiare ai piccoli “geni” dei film americani.

domenica 27 ottobre 2013

In “La vita di Adele” Kerchiche presenta l’amore nella sua naturale, genuina e pura nudità

Titolo: La vita di Adèle
Titolo originale: La Vie d'Adèle
Regia: Abdellatif Kerchiche
Sceneggiatura: Abdellatif Kerchiche, Ghalya Lacroix
Produzione: Francia 2013

Cast: Adèle Exarchopoulos, Léa Seydoux, Salim Kechiouche, Mona Walravens, Jeremie Laheurte, Alma Jodorowski, Aurélien Recoing, Catherine Salée, Fanny Mourin, Benjamin Siksou, Sandor Funtek, […]
Il regista Abdellatif Kerchiche in “La vita di Adele”, con una eccezionale maestria e con dei continui primi piani per tutta la durata del film efficaci a mettere in evidenza il pathos degli attori,  fotografa la vita più intima, cioè la vita interiore, sentimentale, emotiva  che è posta nell’anima di due donne, quella della giovanissima Adele (la bravissima Adèle Exarchopoulos) e quella di Emma (Léa Seydoux), presentando il loro incontro nella loro genuina diversità e nella loro naturale nudità, come le chiome di due alberi dai colori diversi che mosse dal vento si sfiorano delicatamente. Mostra il loro amore, che sgorga spontaneo con tutta la naturalezza, la purezza e la nudità che esso possiede, l’amore come un legame invisibile, incorporeo che le congiunge in un solo corpo, senza distacco, che le orienta nella vita, che le dà forza, che le conferisce equilibrio, che le soddisfa pienamente e che le rende serene. Mostra la coppia sdraiata dormiente sul letto che diventa eterea come come un quadro sublime da paragonare a Il bacio” di Gustav Klimt.
Non appena questo legame, tuttavia, viene spezzato qualunque ne sia la causa, subentra il distacco, la mancanza, e il dolore che questa produce si manifesta in maniera violenta e continua senza possibilità alcuna di rimedio.
Adèle frequenta l’ultimo anno del Liceo “Pasteur” dove studia Letteratura, ha una vita apparentemente tranquilla in una famiglia tradizionalista ed aspira a specializzarsi per diventare maestra d’asilo. Un giorno viene colpita dalla lettura in classe di un passo de “La vita di Marianna” di Marivaux  che induce Adèle a mascherare i propri sentimenti concedendosi a Thomas (Jeremie Laheurte) con il quale ha un rapporto effimero. Adèle, infatti, incontra e conosce Emma, una ragazza dallo sguardo languido più grande di lei, un’artista pittrice e grafica, amante della filosofia, dai capelli color viola, disinibita e trasgressiva, proveniente da una famiglia anticonformista, che le si presenta appunto come una novella Antigone, la fanciulla dissidente della tragedia di Sofocle che si oppose alle leggi umane credendo che esse contrastassero con quelle divine a costo della vita. Dalle discussioni con Emma, Adèle comprende di trovarsi in una società e quindi in una famiglia che, con i suoi pregiudizi, i suoi stereotipi e le sue regole, la tiene come in una gabbia, in cui non riesce fondamentalmente ad essere se stessa, anche se lei, come qualunque altro essere sulla terra non può resistere ad un “vizio” intrinseco, così come l’acqua che nasce con un peso che l’assoggetta ad una legge naturale, la legge di gravità.  L’età adolescenziale, in cui si trova Adèle, è una fase difficile della vita, è il punto di transizione dall’infanzia all’età adulta, una terra di confine misteriosa che rende incerto il cammino, che fa sentire il vuoto dentro che non si sa come riempire. Adèle per questo non riesce a svincolarsi dagli stereotipi e dai pregiudizi dei genitori e dei compagni di scuola. Al contrario, Emma è disinvolta, evoluta, non compromessa, si sente libera, e in questo suo essere, coinvolge Adèle e ci riesce raggiungendo assieme a lei l’empireo. Emma, tuttavia, perde questa sua libertà a discapito della sua coscienza, perché si lascia sopraffare compromettendosi con le consuetudini e la prassi che la società impone, con la conseguenza del suo disfacimento fisico e morale come le donne rappresentate da Schiele, lasciando Adele nella solitudine più triste e angosciosa. Emerge, dunque, con forza l’angoscia sartriana secondo cui l’individuo, uomo o donna che sia, si illude di vivere nella “… libertà, che si rivela nell'angoscia …” e che si caratterizza “… con l'esistenza di quel niente che si insinua tra i motivi e l'atto …”, che si ritrova, sotto altra forma nell’incipit di “Demian” di Hermann Hesse che così recita “Volevo solo cercare di vivere / ciò che spontaneamente veniva da me. / Perché fu tanto difficile?”.

La vita di Adèle” (premiato come migliore film con la Palma d’Oro al Festival di Cennes 2013) è un film caratterizzato, oltre che dai primi piani straordinari e singolari, anche da un continuo ricorso a cene conviviali, dove prevale il piatto “spaghetti alla bolognese” ,che fanno pensare al “Convivio” di Platone dove i convenuti consumando cibo e vino dialogano al fine di ricercare la verità. Quella verità che il regista cerca con questo capolavoro cinematografico.
Abdellatif Kerchiche ha già vinto il premio Opera Prima Luigi De Laurentis alla 57^ Mostra del Cinema di Venezia con il film “Tutta colpa di Voltaire” (2000), il premio Cesar con “La schiva” (2003) e il premio Speciale della Giuria alla Mostra di Venezia 2007 con il film “La graine e le mulet”.

sabato 26 ottobre 2013

Il sogno di Peppino non è ancora tramontato

"Aut. Il sogno di Peppino. Attualizzare Impastato"  
Sceneggiatura: Giulio Bufo
Cast: Giulio Bufo, Federico Ancona

Questo è il titolo di uno spettacolo eccezionale, straordinario, ben costruito, interessante per il tema trattato da “far accapponare la pelle”, che ieri sera è stato presentato al circolo Hemingway di Latina dal suo autore Giulio Bufo, anche interprete indiscusso della figura di Peppino Impastato, il giovane siciliano che si è sacrificato (fu assassinato il 9 maggio 1978 per una strana coincidenza con il giorno dell’uccisione di Aldo Moro) per aver creduto in un sogno, quello di combattere la mafia e sconfiggerla con l’arma delle parole e della forza dell’onestà intellettuale.
Lo spettacolo inizia sentendo dei passi pesanti che si avvicinano al palco e che richiamano alla mente dello spettatore “I cento passi” (2000), il famoso film di Marco Tullio Giordana, dove la frase prepotentemente pronunciata da Peppino (Luigi Lo Cascio) introduce chiaramente l’ambiente familiare e ambientale in cui è nato e vissuto  il giovane “Mio padre, la mia famiglia, il mio paese! Io voglio fottermene! Io voglio scrivere che la mafia è una montagna di merda! Io voglio urlare che mio padre è un leccaculo! Noi ci dobbiamo ribellare. Prima che sia troppo tardi! Prima di abituarci alle loro facce! Prima di non accorgerci più di niente! . Quell’ambiente, la Sicilia, regione ricca di odori, sapori e colori, tra i quali il rosso, colore del sangue e della passione e dell’amore e della fierezza, colore diffusissimo che predomina su tutti gli altri in quanto si presenta in vario modo. È il colore dell’arancia frutto succoso e prelibato, è il colore del fuoco dell’Etna che sfavilla dalla sua bocca e che scorre lentamente esprimendo la passione insita nel carattere del suo popolo, e poi è anche il colore della mafia, quel colore rosso di fiumi di sangue che scorrono nella coscienza di chi non fa niente per evitarli, sin dai tempi della strage della Portella della ginestra, a Piana degli Albanesi, avvenuta durante la festa del lavoro il primo maggio del 1947 nella nascente Repubblica italiana.
I passi con cui l’attore si approssima sulla scena sono accompagnati dalla canzone (di Ombretta Colli)  “Facciamo finta che … tutto va ben/ tutto va ben/facciamo finta che tutto va ben  ...” che fa risaltare l’indifferenza della gente comune verso il problema mafioso in cui è immersa e che respira ogni giorno, e da cui emerge il pensiero unico “… che il povero sia in fondo un gran signore/ che il servo stia assai meglio del padrone/ che le persone anziane stian benone/ che i giovani abbian sempre... un'occasione …”.
 L’autore/attore manifesta, in questo spettacolo una bravura eccezionale avendo saputo mettere in evidenza l'energia, la voglia di costruire, la fantasia, il dolore e il coraggio, in definitiva la voce di Peppino che  ha disobbedito con i suoi modi di essere e di pensare al potere costituito, sia partitico sia religioso, colluso e che ha osato credere in un ideale fortemente insito nella coscienza umana che è quello di combattere lo strapotere, l’arroganza, la violenza, e sfidare un mondo squallido, disumano, privo di valori, la “mafiopoli” che si nutre di chi trae la linfa vitale (benefici, favori, proventi, raccomandazioni, ecc.) da essa medesima, con l'illusione di cambiarlo. Giulio Bufo fa emergere, durante lo spettacolo, il crudele conflitto di Peppino con il padre, mafioso pure lui, evidenziando come la mafia entrando subdolamente dentro l’anima di un individuo la possa trasformare, stravolgere, facendole assumere una maschera di vergogna, di disonestà e di meschinità indelebile. Al tempo stesso, fa risaltare il senso di disonore che Peppino vive e soffre e che cerca di lottare con tutte le sue forze sino alla morte. Uno spettacolo che ogni cittadino italiano dovrebbe vedere sia per non dimenticare la storia recente sia per valutare attentamente tutto ciò che avviene quotidianamente a livello politico ed economico sotto i suoi occhi.


<<Dopo l'esordio di questo spettacolo "Aut (n.d.r. la radio di peppino). Il Sogno di Peppino. Attualizzare Impastato", nel dicembre 2011, alla presenza di Giovanni Impastato, il fratello di Peppino, dopo essere stato rappresentato il 10 maggio 2013 a Cinisi, all'interno dei Casa Badalamenti/Casa 9 Maggio, avendo come pubblico i compagni storici di Peppino come Salvo Vitale e Faro Di Maggio, dopo essere stato rappresentato in diverse situazioni da centri sociali occupati a scuole e di fronte ai parenti delle vittime di mafia pugliesi, per "Aut" con il tour "Peppino In Movimento" giunge il momento di andare verso il Nord Italia, coprendo tappe fondamentali di un percorso di teatro e militanza scopo primo dell'autore Giulio Bufo.

"Aut-Il sogno di Peppino" è uno spettacolo che riscopre il Peppino Impastato rivoluzionario. Cogliendo il collegamento della mafia con il sistema capitalistico, riscopre lo spirito politico della vita militante di Peppino, rendendo lo spettacolo stesso intrinsecamente militante. "Quella vita, fatta di ribellione, di denuncia, di lotta e di coraggio ritorna sulla scena quasi in punta di piedi, in disordine, con la freschezza di un giovane sognatore la cui vita sarà causa della sua morte".
L'attore in scena canta con l'accompagnamento del flauto di Federico Ancona: "Facciamo finta che tutto va bene!". Perché troppo spesso è questo l'atteggiamento di molti di fronte ai delitti e alle nefandezze della mafia e del sistema politico corrotto.
Ed è questo ciò che Peppino ha combattuto per tutta la sua vita e Giulio Bufo, attraverso l'arte della parola, la gestualità e la sua singolare capacità vocale, cerca di fare lo stesso in teatro oggi. Lo spettacolo ha la capacità di sollecitare domande, riflessioni, e di portare una maggiore consapevolezza negli occhi degli spettatori.
Il grido del personaggio è rivolto alle coscienze, su di esse vuole suscitare una presa di posizione e l'assunzione di una speranza che possa dare corpo ad un'utopia per le nuove generazioni." (da Teatro.org). Le lotte sociali di Peppino, la sua partecipazione a fianco delle occupazioni dei contadini contro la costruzione della terza pista dell'aeroporto di Punta Raisi, richiamano le lotte dei No Tav e quelle del No Mous. 
Lo spettacolo, allora, trae il proprio significato politico dalla riflessione di Impastato, attualizzandola alle lotte del presente ed avvicinandolo alla gente che continua a portare avanti certe battaglie. Quelle per i diritti di cittadinanza, della libera circolazione, per la tutela del territorio, per la creazione di spazi sociali occupati e liberati dal mercato, per il diritto ad un esistenza dignitosa, per le lotte dei beni comuni e della collettivizzazione di essi.>>

sabato 19 ottobre 2013

Le cause della crisi di una coppia vengono radiografate nel “L’ultima foglia” di Leonardo Frosina

Titolo: L’ultima foglia
Regia: Leonardo Frosina
Soggetto e sceneggiatura: Leonardo Frosina
Produzione: Italia, 2013-10-18
Prodotto da: Josei (Barbara Bruni, Manila Mazzarini, Silvia Ricciardi)

Cast: Fabrizio Ferracane, Giorgia Cardaci, Kristina Cepraga, Alfio Sorbello, Ninni Bruschetta, Andra Bolea, Cristina Puccinelli, […]
Una coppia come tante altre, dalla vita apparentemente normale che si svolge in una città, Roma, una Roma esotica, diversa, periferica, sconosciuta, lontana dai luoghi classici noti e frequentati. Non c’è il Colosseo, non c’è Piazza Navona, non c’è la Fontana di Trevi, non c’è la Cupola né si intravede. Al loro posto ci sono, pilastri, travi e architravi cementizi attraverso cui si intravedono sprazzi di cielo solcato da aerei, o si scorge un susseguirsi di palazzi senz’anima, in mezzo ai quali si intravedono gasometri scheletriti a testimoniare il degrado sociale che testimonia il conseguente abbandono sentimentale. Strade popolate da auto senza pedoni che manifestano una Roma di periferia senza storia, e quindi, senza anima.
In questo ambiente, il regista Leonardo Frosina colloca magistralmente il film L’ultima foglia, sua opera prima, il cui titolo richiama l’autunno e il sentore di malinconia che questo avvolge. “L’ultima foglia - dice il regista -,  nasce dalla esigenza di raccontare una sorta di indolenza sentimentale che sempre più spesso si verifica nei rapporti. Vari fattori condizionano le coppie di oggi, primo fra tutti la precarietà del lavoro e di conseguenza l’instabilità economica …”. A ciò si aggiunge la lontananza forzata dei protagonisti dai loro luoghi di origine, dagli affetti e dai ricordi infantili e della gioventù che essi conservano indelebili nel loro animo. Lei, Rossana (Giorgia Cardaci) è una musicista di violino in cerca di lavoro. Lui, Zeno (Fabrizio Ferracane) è, invece, un metronotte dipendente di una società diretta da un capo dispotico e arrogante (Ninni Bruschetta), che legge “O capitano, mio capitano” di Walt Whitman, ma che dimostra di non avere alcuna umanità nei confronti dei propri dipendenti. A poco a poco, mentre la pellicola scorre, lo spettatore avverte, dallo scorrere del tempo relativistico (per Rossana il tempo scorre lentamente, causa il suo non far niente forzato, mentre per Zeno, invece, il tempo passa velocemente), dagli sguardi, dalle espressioni che vogliono dire ciò che è indicibile o che è difficile a dirsi, dallo smarrimento espresso dagli occhi, dalle paure recondite, dai lunghi silenzi esasperati, dai comportamenti strani, dai dialoghi monosillabici, un incipiente crisi del rapporto coniugale, ma senza ancora averne la certezza. Perché Rossana e Zeno, talvolta, si cercano, fanno sesso, dimostrano di averne tanta voglia, i loro corpi si toccano, si spremono, si avviticchiano, si sfogano. E per questo ci si chiede se Rossana e Zeno ancora si amano o il loro è soltanto sfogo sessuale o abbandono dettato da istinto ipocrita. Nel loro rapporto c’è, infatti, una stasi sentimentale, un travaglio interiore, che si coglie dalle variazioni di comportamento repentino, tant’è che Rossana, avendo scoperto di essere incinta, stenta di comunicare questo evento al marito, ma quando glielo manifesta - “… aspetto un figlio, ma tanto non mi senti …” - coglie in un attimo nella espressione di Zeno, un non sentire, un’indifferenza istintiva che la fa piangere e allontanarsi da lui di corsa. Rossana soffre la solitudine e vive in una città che non ama, una città che la “fa sentire estranea”. Zeno, pur lavorando, anche lui vive in una città, “in cui essere uomini … non è facile”. Una città, allora, che piuttosto che aggregare, disgrega, separa ciò che invece dovrebbe tenere unito. Una città che in Rossana e Zeno crea situazioni diverse tra le quali non c’è intersezione, non esiste un punto di incontro. E questa diversità porta il rapporto a sgretolarsi definitivamente, ad annullare i sentimenti dell’uno verso l’altro, creando in ciascuno di loro un vuoto dentro incolmabile. Un allontanamento che si fa sempre più greve, catalizzato dalla comparsa, nella vita di Zeno, di una bellissima bionda rumena, Ela (Kristina Cepraga), una barista, la cui conoscenza è catalizzata dal suo amico e compagno di lavoro, il brioso ed estroverso Tom (Alfio Sorbello).
Come finirà quando Zeno scoprirà che Rossana ha partorito? La nascita del figlio farà ricucire il rapporto sentimentale interrotto? E il rapporto tra Zeno ed Ela come finirà? Domande a cui soltanto la visione del film potrà dare una risposta.

Il regista è stato molto bravo nell’aver saputo distinguere il carattere della donna da quello dell’uomo, a essere stato capace di fare esprimere agli attori il travaglio interiore che la storia esigeva, e ha saputo scandire il tempo usando il “time lapse” essenziale per evidenziare la sensazione relativistica del tempo.
La fotografia ha usato colori cupi per meglio evidenziare la sofferenza dei personaggi, Rossana e Zeno, immersi nelle loro beghe sentimentali, e colori pieni di luminosità per risaltare i momenti di amore passionale tra Ela e Zeno. Il tutto accompagnato da brani musicali efficaci a coinvolgere emotivamente lo spettatore.
Gli attori hanno mostrato una bravura eccezionale messa in risalto soprattutto dalla gestualità, dalla espressività degli atteggiamenti immersi in silenzi molto eloquenti. Bravissima è apparsa, tra tutti, Giorgia Cardaci a cui è stato assegnato il Premio di migliore attrice al RIFF 2013 – Rome Independent Film Festival e al Film Spray 2013 – Festival dei film invisibili a Firenze. In quest’ultimo Festival è stato assegnato anche il Premio per la migliore fotografia a Sandro Magliano. Il film ha partecipato anche a Randance Film Festival di Londra, 2013.