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domenica 27 ottobre 2013

In “La vita di Adele” Kerchiche presenta l’amore nella sua naturale, genuina e pura nudità

Titolo: La vita di Adèle
Titolo originale: La Vie d'Adèle
Regia: Abdellatif Kerchiche
Sceneggiatura: Abdellatif Kerchiche, Ghalya Lacroix
Produzione: Francia 2013

Cast: Adèle Exarchopoulos, Léa Seydoux, Salim Kechiouche, Mona Walravens, Jeremie Laheurte, Alma Jodorowski, Aurélien Recoing, Catherine Salée, Fanny Mourin, Benjamin Siksou, Sandor Funtek, […]
Il regista Abdellatif Kerchiche in “La vita di Adele”, con una eccezionale maestria e con dei continui primi piani per tutta la durata del film efficaci a mettere in evidenza il pathos degli attori,  fotografa la vita più intima, cioè la vita interiore, sentimentale, emotiva  che è posta nell’anima di due donne, quella della giovanissima Adele (la bravissima Adèle Exarchopoulos) e quella di Emma (Léa Seydoux), presentando il loro incontro nella loro genuina diversità e nella loro naturale nudità, come le chiome di due alberi dai colori diversi che mosse dal vento si sfiorano delicatamente. Mostra il loro amore, che sgorga spontaneo con tutta la naturalezza, la purezza e la nudità che esso possiede, l’amore come un legame invisibile, incorporeo che le congiunge in un solo corpo, senza distacco, che le orienta nella vita, che le dà forza, che le conferisce equilibrio, che le soddisfa pienamente e che le rende serene. Mostra la coppia sdraiata dormiente sul letto che diventa eterea come come un quadro sublime da paragonare a Il bacio” di Gustav Klimt.
Non appena questo legame, tuttavia, viene spezzato qualunque ne sia la causa, subentra il distacco, la mancanza, e il dolore che questa produce si manifesta in maniera violenta e continua senza possibilità alcuna di rimedio.
Adèle frequenta l’ultimo anno del Liceo “Pasteur” dove studia Letteratura, ha una vita apparentemente tranquilla in una famiglia tradizionalista ed aspira a specializzarsi per diventare maestra d’asilo. Un giorno viene colpita dalla lettura in classe di un passo de “La vita di Marianna” di Marivaux  che induce Adèle a mascherare i propri sentimenti concedendosi a Thomas (Jeremie Laheurte) con il quale ha un rapporto effimero. Adèle, infatti, incontra e conosce Emma, una ragazza dallo sguardo languido più grande di lei, un’artista pittrice e grafica, amante della filosofia, dai capelli color viola, disinibita e trasgressiva, proveniente da una famiglia anticonformista, che le si presenta appunto come una novella Antigone, la fanciulla dissidente della tragedia di Sofocle che si oppose alle leggi umane credendo che esse contrastassero con quelle divine a costo della vita. Dalle discussioni con Emma, Adèle comprende di trovarsi in una società e quindi in una famiglia che, con i suoi pregiudizi, i suoi stereotipi e le sue regole, la tiene come in una gabbia, in cui non riesce fondamentalmente ad essere se stessa, anche se lei, come qualunque altro essere sulla terra non può resistere ad un “vizio” intrinseco, così come l’acqua che nasce con un peso che l’assoggetta ad una legge naturale, la legge di gravità.  L’età adolescenziale, in cui si trova Adèle, è una fase difficile della vita, è il punto di transizione dall’infanzia all’età adulta, una terra di confine misteriosa che rende incerto il cammino, che fa sentire il vuoto dentro che non si sa come riempire. Adèle per questo non riesce a svincolarsi dagli stereotipi e dai pregiudizi dei genitori e dei compagni di scuola. Al contrario, Emma è disinvolta, evoluta, non compromessa, si sente libera, e in questo suo essere, coinvolge Adèle e ci riesce raggiungendo assieme a lei l’empireo. Emma, tuttavia, perde questa sua libertà a discapito della sua coscienza, perché si lascia sopraffare compromettendosi con le consuetudini e la prassi che la società impone, con la conseguenza del suo disfacimento fisico e morale come le donne rappresentate da Schiele, lasciando Adele nella solitudine più triste e angosciosa. Emerge, dunque, con forza l’angoscia sartriana secondo cui l’individuo, uomo o donna che sia, si illude di vivere nella “… libertà, che si rivela nell'angoscia …” e che si caratterizza “… con l'esistenza di quel niente che si insinua tra i motivi e l'atto …”, che si ritrova, sotto altra forma nell’incipit di “Demian” di Hermann Hesse che così recita “Volevo solo cercare di vivere / ciò che spontaneamente veniva da me. / Perché fu tanto difficile?”.

La vita di Adèle” (premiato come migliore film con la Palma d’Oro al Festival di Cennes 2013) è un film caratterizzato, oltre che dai primi piani straordinari e singolari, anche da un continuo ricorso a cene conviviali, dove prevale il piatto “spaghetti alla bolognese” ,che fanno pensare al “Convivio” di Platone dove i convenuti consumando cibo e vino dialogano al fine di ricercare la verità. Quella verità che il regista cerca con questo capolavoro cinematografico.
Abdellatif Kerchiche ha già vinto il premio Opera Prima Luigi De Laurentis alla 57^ Mostra del Cinema di Venezia con il film “Tutta colpa di Voltaire” (2000), il premio Cesar con “La schiva” (2003) e il premio Speciale della Giuria alla Mostra di Venezia 2007 con il film “La graine e le mulet”.

sabato 26 ottobre 2013

Il sogno di Peppino non è ancora tramontato

"Aut. Il sogno di Peppino. Attualizzare Impastato"  
Sceneggiatura: Giulio Bufo
Cast: Giulio Bufo, Federico Ancona

Questo è il titolo di uno spettacolo eccezionale, straordinario, ben costruito, interessante per il tema trattato da “far accapponare la pelle”, che ieri sera è stato presentato al circolo Hemingway di Latina dal suo autore Giulio Bufo, anche interprete indiscusso della figura di Peppino Impastato, il giovane siciliano che si è sacrificato (fu assassinato il 9 maggio 1978 per una strana coincidenza con il giorno dell’uccisione di Aldo Moro) per aver creduto in un sogno, quello di combattere la mafia e sconfiggerla con l’arma delle parole e della forza dell’onestà intellettuale.
Lo spettacolo inizia sentendo dei passi pesanti che si avvicinano al palco e che richiamano alla mente dello spettatore “I cento passi” (2000), il famoso film di Marco Tullio Giordana, dove la frase prepotentemente pronunciata da Peppino (Luigi Lo Cascio) introduce chiaramente l’ambiente familiare e ambientale in cui è nato e vissuto  il giovane “Mio padre, la mia famiglia, il mio paese! Io voglio fottermene! Io voglio scrivere che la mafia è una montagna di merda! Io voglio urlare che mio padre è un leccaculo! Noi ci dobbiamo ribellare. Prima che sia troppo tardi! Prima di abituarci alle loro facce! Prima di non accorgerci più di niente! . Quell’ambiente, la Sicilia, regione ricca di odori, sapori e colori, tra i quali il rosso, colore del sangue e della passione e dell’amore e della fierezza, colore diffusissimo che predomina su tutti gli altri in quanto si presenta in vario modo. È il colore dell’arancia frutto succoso e prelibato, è il colore del fuoco dell’Etna che sfavilla dalla sua bocca e che scorre lentamente esprimendo la passione insita nel carattere del suo popolo, e poi è anche il colore della mafia, quel colore rosso di fiumi di sangue che scorrono nella coscienza di chi non fa niente per evitarli, sin dai tempi della strage della Portella della ginestra, a Piana degli Albanesi, avvenuta durante la festa del lavoro il primo maggio del 1947 nella nascente Repubblica italiana.
I passi con cui l’attore si approssima sulla scena sono accompagnati dalla canzone (di Ombretta Colli)  “Facciamo finta che … tutto va ben/ tutto va ben/facciamo finta che tutto va ben  ...” che fa risaltare l’indifferenza della gente comune verso il problema mafioso in cui è immersa e che respira ogni giorno, e da cui emerge il pensiero unico “… che il povero sia in fondo un gran signore/ che il servo stia assai meglio del padrone/ che le persone anziane stian benone/ che i giovani abbian sempre... un'occasione …”.
 L’autore/attore manifesta, in questo spettacolo una bravura eccezionale avendo saputo mettere in evidenza l'energia, la voglia di costruire, la fantasia, il dolore e il coraggio, in definitiva la voce di Peppino che  ha disobbedito con i suoi modi di essere e di pensare al potere costituito, sia partitico sia religioso, colluso e che ha osato credere in un ideale fortemente insito nella coscienza umana che è quello di combattere lo strapotere, l’arroganza, la violenza, e sfidare un mondo squallido, disumano, privo di valori, la “mafiopoli” che si nutre di chi trae la linfa vitale (benefici, favori, proventi, raccomandazioni, ecc.) da essa medesima, con l'illusione di cambiarlo. Giulio Bufo fa emergere, durante lo spettacolo, il crudele conflitto di Peppino con il padre, mafioso pure lui, evidenziando come la mafia entrando subdolamente dentro l’anima di un individuo la possa trasformare, stravolgere, facendole assumere una maschera di vergogna, di disonestà e di meschinità indelebile. Al tempo stesso, fa risaltare il senso di disonore che Peppino vive e soffre e che cerca di lottare con tutte le sue forze sino alla morte. Uno spettacolo che ogni cittadino italiano dovrebbe vedere sia per non dimenticare la storia recente sia per valutare attentamente tutto ciò che avviene quotidianamente a livello politico ed economico sotto i suoi occhi.


<<Dopo l'esordio di questo spettacolo "Aut (n.d.r. la radio di peppino). Il Sogno di Peppino. Attualizzare Impastato", nel dicembre 2011, alla presenza di Giovanni Impastato, il fratello di Peppino, dopo essere stato rappresentato il 10 maggio 2013 a Cinisi, all'interno dei Casa Badalamenti/Casa 9 Maggio, avendo come pubblico i compagni storici di Peppino come Salvo Vitale e Faro Di Maggio, dopo essere stato rappresentato in diverse situazioni da centri sociali occupati a scuole e di fronte ai parenti delle vittime di mafia pugliesi, per "Aut" con il tour "Peppino In Movimento" giunge il momento di andare verso il Nord Italia, coprendo tappe fondamentali di un percorso di teatro e militanza scopo primo dell'autore Giulio Bufo.

"Aut-Il sogno di Peppino" è uno spettacolo che riscopre il Peppino Impastato rivoluzionario. Cogliendo il collegamento della mafia con il sistema capitalistico, riscopre lo spirito politico della vita militante di Peppino, rendendo lo spettacolo stesso intrinsecamente militante. "Quella vita, fatta di ribellione, di denuncia, di lotta e di coraggio ritorna sulla scena quasi in punta di piedi, in disordine, con la freschezza di un giovane sognatore la cui vita sarà causa della sua morte".
L'attore in scena canta con l'accompagnamento del flauto di Federico Ancona: "Facciamo finta che tutto va bene!". Perché troppo spesso è questo l'atteggiamento di molti di fronte ai delitti e alle nefandezze della mafia e del sistema politico corrotto.
Ed è questo ciò che Peppino ha combattuto per tutta la sua vita e Giulio Bufo, attraverso l'arte della parola, la gestualità e la sua singolare capacità vocale, cerca di fare lo stesso in teatro oggi. Lo spettacolo ha la capacità di sollecitare domande, riflessioni, e di portare una maggiore consapevolezza negli occhi degli spettatori.
Il grido del personaggio è rivolto alle coscienze, su di esse vuole suscitare una presa di posizione e l'assunzione di una speranza che possa dare corpo ad un'utopia per le nuove generazioni." (da Teatro.org). Le lotte sociali di Peppino, la sua partecipazione a fianco delle occupazioni dei contadini contro la costruzione della terza pista dell'aeroporto di Punta Raisi, richiamano le lotte dei No Tav e quelle del No Mous. 
Lo spettacolo, allora, trae il proprio significato politico dalla riflessione di Impastato, attualizzandola alle lotte del presente ed avvicinandolo alla gente che continua a portare avanti certe battaglie. Quelle per i diritti di cittadinanza, della libera circolazione, per la tutela del territorio, per la creazione di spazi sociali occupati e liberati dal mercato, per il diritto ad un esistenza dignitosa, per le lotte dei beni comuni e della collettivizzazione di essi.>>

sabato 19 ottobre 2013

Le cause della crisi di una coppia vengono radiografate nel “L’ultima foglia” di Leonardo Frosina

Titolo: L’ultima foglia
Regia: Leonardo Frosina
Soggetto e sceneggiatura: Leonardo Frosina
Produzione: Italia, 2013-10-18
Prodotto da: Josei (Barbara Bruni, Manila Mazzarini, Silvia Ricciardi)

Cast: Fabrizio Ferracane, Giorgia Cardaci, Kristina Cepraga, Alfio Sorbello, Ninni Bruschetta, Andra Bolea, Cristina Puccinelli, […]
Una coppia come tante altre, dalla vita apparentemente normale che si svolge in una città, Roma, una Roma esotica, diversa, periferica, sconosciuta, lontana dai luoghi classici noti e frequentati. Non c’è il Colosseo, non c’è Piazza Navona, non c’è la Fontana di Trevi, non c’è la Cupola né si intravede. Al loro posto ci sono, pilastri, travi e architravi cementizi attraverso cui si intravedono sprazzi di cielo solcato da aerei, o si scorge un susseguirsi di palazzi senz’anima, in mezzo ai quali si intravedono gasometri scheletriti a testimoniare il degrado sociale che testimonia il conseguente abbandono sentimentale. Strade popolate da auto senza pedoni che manifestano una Roma di periferia senza storia, e quindi, senza anima.
In questo ambiente, il regista Leonardo Frosina colloca magistralmente il film L’ultima foglia, sua opera prima, il cui titolo richiama l’autunno e il sentore di malinconia che questo avvolge. “L’ultima foglia - dice il regista -,  nasce dalla esigenza di raccontare una sorta di indolenza sentimentale che sempre più spesso si verifica nei rapporti. Vari fattori condizionano le coppie di oggi, primo fra tutti la precarietà del lavoro e di conseguenza l’instabilità economica …”. A ciò si aggiunge la lontananza forzata dei protagonisti dai loro luoghi di origine, dagli affetti e dai ricordi infantili e della gioventù che essi conservano indelebili nel loro animo. Lei, Rossana (Giorgia Cardaci) è una musicista di violino in cerca di lavoro. Lui, Zeno (Fabrizio Ferracane) è, invece, un metronotte dipendente di una società diretta da un capo dispotico e arrogante (Ninni Bruschetta), che legge “O capitano, mio capitano” di Walt Whitman, ma che dimostra di non avere alcuna umanità nei confronti dei propri dipendenti. A poco a poco, mentre la pellicola scorre, lo spettatore avverte, dallo scorrere del tempo relativistico (per Rossana il tempo scorre lentamente, causa il suo non far niente forzato, mentre per Zeno, invece, il tempo passa velocemente), dagli sguardi, dalle espressioni che vogliono dire ciò che è indicibile o che è difficile a dirsi, dallo smarrimento espresso dagli occhi, dalle paure recondite, dai lunghi silenzi esasperati, dai comportamenti strani, dai dialoghi monosillabici, un incipiente crisi del rapporto coniugale, ma senza ancora averne la certezza. Perché Rossana e Zeno, talvolta, si cercano, fanno sesso, dimostrano di averne tanta voglia, i loro corpi si toccano, si spremono, si avviticchiano, si sfogano. E per questo ci si chiede se Rossana e Zeno ancora si amano o il loro è soltanto sfogo sessuale o abbandono dettato da istinto ipocrita. Nel loro rapporto c’è, infatti, una stasi sentimentale, un travaglio interiore, che si coglie dalle variazioni di comportamento repentino, tant’è che Rossana, avendo scoperto di essere incinta, stenta di comunicare questo evento al marito, ma quando glielo manifesta - “… aspetto un figlio, ma tanto non mi senti …” - coglie in un attimo nella espressione di Zeno, un non sentire, un’indifferenza istintiva che la fa piangere e allontanarsi da lui di corsa. Rossana soffre la solitudine e vive in una città che non ama, una città che la “fa sentire estranea”. Zeno, pur lavorando, anche lui vive in una città, “in cui essere uomini … non è facile”. Una città, allora, che piuttosto che aggregare, disgrega, separa ciò che invece dovrebbe tenere unito. Una città che in Rossana e Zeno crea situazioni diverse tra le quali non c’è intersezione, non esiste un punto di incontro. E questa diversità porta il rapporto a sgretolarsi definitivamente, ad annullare i sentimenti dell’uno verso l’altro, creando in ciascuno di loro un vuoto dentro incolmabile. Un allontanamento che si fa sempre più greve, catalizzato dalla comparsa, nella vita di Zeno, di una bellissima bionda rumena, Ela (Kristina Cepraga), una barista, la cui conoscenza è catalizzata dal suo amico e compagno di lavoro, il brioso ed estroverso Tom (Alfio Sorbello).
Come finirà quando Zeno scoprirà che Rossana ha partorito? La nascita del figlio farà ricucire il rapporto sentimentale interrotto? E il rapporto tra Zeno ed Ela come finirà? Domande a cui soltanto la visione del film potrà dare una risposta.

Il regista è stato molto bravo nell’aver saputo distinguere il carattere della donna da quello dell’uomo, a essere stato capace di fare esprimere agli attori il travaglio interiore che la storia esigeva, e ha saputo scandire il tempo usando il “time lapse” essenziale per evidenziare la sensazione relativistica del tempo.
La fotografia ha usato colori cupi per meglio evidenziare la sofferenza dei personaggi, Rossana e Zeno, immersi nelle loro beghe sentimentali, e colori pieni di luminosità per risaltare i momenti di amore passionale tra Ela e Zeno. Il tutto accompagnato da brani musicali efficaci a coinvolgere emotivamente lo spettatore.
Gli attori hanno mostrato una bravura eccezionale messa in risalto soprattutto dalla gestualità, dalla espressività degli atteggiamenti immersi in silenzi molto eloquenti. Bravissima è apparsa, tra tutti, Giorgia Cardaci a cui è stato assegnato il Premio di migliore attrice al RIFF 2013 – Rome Independent Film Festival e al Film Spray 2013 – Festival dei film invisibili a Firenze. In quest’ultimo Festival è stato assegnato anche il Premio per la migliore fotografia a Sandro Magliano. Il film ha partecipato anche a Randance Film Festival di Londra, 2013.

venerdì 18 ottobre 2013

Con “Una piccola impresa meridionale” Papaleo lancia un messaggio per risollevare le sorti del paese Italia.

Titolo: Una piccola impresa meridionale
Regia: Rocco Papaleo
Sceneggiatura: Walter Lupo, Rocco Papaleo
Musica: Rita Marcotulli
Produzione: Italia, 2012

Cast: Rocco Papaleo, Riccardo Scamarcio, Borbora Bovulova, Sarah Felberbaum, Claudia Potenza, Giovanni Esposito, Giampiero Schiano, Mela Esposito, Giuliana Lojodice, Giorgio Colangeli, […]
I temi del film sono molto attuali e il suo impianto è coerente, esente da contraddizioni e senza sbavature. Il soggetto riguarda lo status quo del paese Italia, con l’immobilismo imperante, la mancanza di lavoro, il sostentamento dei figli disoccupati grazie alla pensione dei genitori, la mancanza di iniziativa e di cooperazione, l’ipocrisia, il condizionamento sociale, i pregiudizi della gente, l’ottusità della religione che piuttosto che unire lacera i rapporti sociali, le leggi aride, senza anima, che non tengono conto dei rapporti affettivi interpersonali, l’abbandono degli edifici ormai fatiscenti, come quello del faro spento che si erge maestoso su una costa incantevole e che permette una visione panoramica del mare da favola. Sono quegli stessi edifici che, sparsi un po’ ovunque lungo tutta la penisola, portano su di essi i segni indelebili di fatiche e di lotte che gli abitanti hanno affrontato per la conquista di ciò che oggi gradualmente si sta perdendo, la libertà dal bisogno. Situazioni e comportamenti attualissimi che oggi si vivono quotidianamente. Il film, tuttavia, trasmette un messaggio di speranza, o meglio dà una ricetta, un input in definitiva, di come si possano risollevare le sorti del paese Italia. La cooperazione e l’impegno di tutti i cittadini basati sul rispetto reciproco, sull’amore e sull’accettazione di comportamenti contrari agli stereotipi imperanti e condizionanti, con la istituzione di un’impresa, una piccola srls (e da qui il titolo del film), con la quale risollevare le sorti dell’Italia e quindi di tutti. Impresa che nel film si impegna a restaurare il vecchio faro abbandonato e a ridargli il suo vecchio splendore che può essere gustato dal mare stando su una barca.
Le meravigliose musiche di Rita Marcotulli, che bene si innestano nel film con il susseguirsi dei vari quadri, accompagnano con diletto lo spettatore per tutta la visione del film, i cui protagonisti (interpretati da bravi attori come Rocco Papaleo, Riccardo Scamarcio, Borbora Bovulova, Giuliana Lojodice, Giorgio Colangeli) però non riescono a possedere e quindi a trasmettere l’”anima”, il pathos che il ruolo datogli esigeva. Per questo il film, pur valido nei contenuti, nel complesso delude un po’.

sabato 5 ottobre 2013

“Anni felici” descrive una storia d’amore in un’atmosfera di incipiente trasgressione sociale

Titolo: Anni felici
Regia: Daniele Luchetti
Sceneggiatura: Sandro Petraglia, Stefano Rulli, Daniele Luchetti, Caterina Venturini
Produzione: Italia, Francia, 2013

Cast: Kim Rosi Stuart, Micaela Ramazzotti, Martina Gedeck, Samuel Garofalo, Niccolò Calvagna, Benedetta Bucellato, Pia Engleberth, […]

Era il 1974, anno in cui ci fu il referendum sul divorzio che sancì, contrariamente alla posizione ecclesiastica intransigente e bigotta, il superamento dell’ipocrisia coniugale dando ai coniugi la facoltà di sciogliere definitivamente il matrimonio, dando un colpo netto al “divorzio all’italiana”. Quell’anno, dunque, segnò il primo passo verso la trasgressione sessuale manifesta, verso la dichiarazione aperta di omosessualità, verso il femminismo e verso la liberazione dal conformismo, quando ancora l’Italia si trovava nel mezzo di un contesto sociale molto difficile e triste a causa del terrorismo dilagante, iniziato qualche anno prima con la strage di Piazza Fontana, alla Banca Nazionale dell’Agricoltura, a Milano. Il regista Daniele Luchetti dirige questa pellicola “Anni felici”, che non risente affatto di quell’atmosfera terrificante, raccontando una storia dai tratti autobiografici, una storia d’amore difficile ambientata proprio nell’anno dal quale la società si avvia alla conquista dell’autenticità espressiva e della libertà che fino ad allora era stata repressa, quella dell’amore. Il fulcro di questo film appare la trasgressione nei suoi diversi connotati, quello artistico mostrato da Guido (Kim Rossi Stuart), artista d’avanguardia oltre che docente all’Accademia delle Belle Arti che cerca di sfondare nel campo dell’arte, quella extraconiugale della moglie Serena (Micaela Ramazzotti) che, inizialmente aggrappata all’amore coniugale, scopre gradualmente e per caso sia il femminismo che l’omosessualità vivendola come un fatto naturale.
Luchetti, che è stato autore di film importanti e di grande successo come “Il portaborse” con Silvio Orlando (1991), “La scuola” (1995) ancora con Silvio Orlando, “Mio fratello è figlio unico” con Riccardo Scamarcio e Elio Germano (2007) dal romanzo di PennacchiIl fascio comunista” ambientato a Latina, “La nostra vita” (2010) con Elio Germano, e che ha sempre saputo attrarre il pubblico con le sue storie ordinarie e realistiche, con questo film non riesce ad essere convincente perché non costruisce quel pathos caratteristico che fa immedesimare lo spettatore alle sue storie, né tanto meno lo sono gli attori principali Kim Rossi Sturt e Micaela Ramazzotti.