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giovedì 17 novembre 2011

Sedotta E Abbandonata

Film italiano del 1964, è tra le opere meglio riuscite di Pietro Germi. Viene spesso paragonato al precedente film del regista Divorzio all'italiana, per via di alcuni fattori comuni, quali: il genere comico-grottesco, l'ambientazione in Sicilia, la tematica dell'assurdo pregiudizio dell'onore famigliare, la rabbiosa denuncia sociale verso la folle legislazione italiana.

Racconta la storia di Peppino, un giovanotto della piccola borghesia che aspira ad un posto negli impieghi statali, fidanzato alla figlia maggiore di un benestante, Matilde. La ragazza, addormenteta sia nel fisico che nel metafisico, non si acorge che il fidanzato seduce la sorella minore Agnese, graziosa studentessa che coltiva sogni di evasione sentimentale. La giovane rimane incinta, e la famiglia non impiegherà molto a scoprire l'accaduto. Questo il prologo che darà vita alla storia, per alcuni versi simile alla situazione della “Coscienza di Zeno” di Italo Svevo. Ma subentrerà immediatamente un fattore diversificante: il concetto di “onore”. L'autore non ci dice come ha potuto stabilirsi un sistema tanto compatto, dove niente e nessuno sfugge alla legge dell'onore. Ci descrive, però, un mondo chiuso, privo di spiritualità e di calore umano, immerso in una grettezza bestiale. Sedotta e abbandonata vuole essere una rappresentazione totale, e definitiva, di un costume e di una mentalità: è indicativa la rinuncia, rispetto a Divorzio all'italiana, ai congegni della commedia tradizionele e ad un personaggio come quello del Barone Cefalù (Marcello Mastroianni), che di quel costume e di quella mentalità si serviva per i suoi fini, con molto cinismo e non senza equivoche strizzatine d'occhio. Più che di commedia, si dovrebe palare di farsa acre e spietata, di crudo sarcasmo: l'unico “fattaccio” avviene nei primi cinque minuti di proiezione, e il resto non è che un grottesco e barocco rituale per riparare tale disgrazia.

Germi pone a protagonista del film lo straordinario Saro Urzì, impegnandolo senza sosta ed egregiamente in una unica nota urlata, fin nel letto di morte, nelle sua forsennata salvaguardia dell'onore famigliare: un personaggio, questo, che definisce senza mezze misure i guasti di una mentalità e di un costume. Un padre-padrone che è la versione grottesca di quello de Il ferroviere: una forsa della natura completamente in preda al proprio inconscio. La morte del patriarca, esaurito per la troppa energia prodigata, eleva il film ai vertici della tragedia.

Gli altri personaggi sono una serie di “ritrattini” eccellenti, spesso scolpiti fin dalla loro prima apparizione sullo schermo, di cui, i più azzeccati risultano essere, a parte il sanguinario Ursì, Matilde e il marescialo dei carabinieri.

Il ritmo incalzante, serrato, fittissimo, frenetico di tutto il film, dai frequenti risvolti corali di gusto picaresco, è evidente nell'altissimo, assordante, massacrante volume a cui è stata registrata tutta questa sequela di urla isteriche, di insulti, di sghignazzate. La stessa musica del Rustichelli, vivacissima ma sempre ossessiva, prova che Germi ha voluto frustare come divertire.

Il linguaggio impiegato da Germi raggiunge una virtuosistica perfezione in questa pellicola. Lo stile arioso delle immagini della Sicilia serve ad accentuarne la gradevolezza e godibilità. Una Sicilia però, esclusivamente preoccupata dagli affari privati e sentimentali delle famiglie in vista, travolta dalla follia erotica e dal pregiudizio d'onore. Viene completamente abbandonata quella visione della Sicilia molto più seria, che il regista in passato ci avaeva mostrato in In nome dela legge e Il camino della speranza.

L'uso dello zoom, accentuato dal grandangolo, stravolge ogni ricordo del découpage classico rispettato fino a Un maledetto imbroglio. Il racconto avanza vorticoso come un fiume in piena che abbatte ogni argine, sottolineando il perverso godimento del regista nel mettere in campo un bestiario che si abbandona senza ritegno all'eccesso, fino a rischiare il ridicolo, come nelle due scene degli incubi.

Il tema attaccato da Germi è quello riguardante l'articolo della legislazione italiana che attribuiva al matrimonio il potere di cancellare ogni precedente reato dell'uomo nei confronti della donna, dalla violenza al ratto. Il film è molto impegnato ma non abbastanza per rinunciare a gag e comicità. Questa caratteristica pregiudica la comprensione della tematica da parte del pubblico, che ride e non comprende la dremmaticità di quel che succede sullo schermo, non afferra la corretta fruizione del messaggio che il regista voleva trasmettere. Questo è forse l'unico vero difetto di un'opera che risulta essere una pietra miliare nel panorama cinematografico italiano, assolutamente non inferione (per qualità narative, padronanza del mezzo tecnico, abilità nel guidare e amalgamare la reciazione che Germi sottolinea di possedere) alle opere di mastri quali Visconti e Fellini.



Fonti:


Leonardo Autera, in “Bianco e Nero”, n. 2, Febbraio 1964.

Pietro Bianche, in “Il Giorno”, 1964.

Mario Soldati, “L'Europeo”, Milano, 15 Marzo 1964, ora in Id, Da spettatore, Milano, Mondadori, 1973.

Guido Fink, in “Cinema Nuovo”, n. 168, Marzo-Aprile 1964.

Tullio Kezich (1963), in Il Film Sessanta, Il Formichiere, Milano, 1979.

Lino Miccichè (a cura di), “Signore &Signiri” di Pietro Germi. Uno sguardo ridente sull'ipocrisia morbida, Lindau, Torino, 1997.

http://it.wikipedia.org/wiki/Sedotta_e_abbandonata

http://www.italica.rai.it/principali/multimedia/dvd/sedotta.htm

http://trovacinema.repubblica.it/film/sedotta-e-abbandonata/118417

http://guidatv.sky.it/guidatv/programma/film/commedia/sedotta-e-abbandonata_19638.shtml

"Anche se è amore non si vede", Ficarra & Picone registi di una spassosa commedia.

Ficarra e Picone con il film “Anche se è amore non si vede” si calano nuovamente nei panni di registi-attori, con una nuova commedia che apre le porte alla stagione dei cinepanettoni. La sceneggiatura scritta in collaborazione con Francesco Bruni e Fabrizio Testini è goliardica, divertente ricca di battute esilaranti, il film regala un Happy Hour piacevole pieno di naturale comicità .

Salvo e Valentino (Ficarra e Picone) originari del sud, per vivere girano con un bus turistico facendo da ciceroni ai gruppi in vacanza nella città di Torino. Caratterialmente opposti, Salvo è un single incallito sempre pronto a ingegnarsi per far capitolare tra le sue braccia le ragazze, mentre Valentino fedele ragazzo impegnato da anni con Gisella è sempre pronto a manifestare ossessivamente il suo amore per lei con gesti eclatanti e un po’ imbarazzanti, al punto da suscitarle il desiderio di lasciarlo.
Ma l’arduo compito spetterà proprio a Salvo, il quale cercherà di alleviare le pene dell’abbandonato Valentino, impegnato invece a “sistemare” l’amico farfallone…Entrambi ignari di tutto, tra malintesi, imprevisti e gelosie saranno coinvolti in rocambolesche situazioni a lieto fine… Spassosissima una delle scene finali dove un banchetto di matrimonio sembra diventare una parodia dei film di Bud Spencer e Terence Hill. Le protagoniste femminili Ambra Angiolini, Diane Fleri e Sascha Zacharias così diverse tra loro, riescono a rappresentare in modo divertente e colorato la personalità dei personaggi rendendo la pellicola fresca e mai volgare.

Trailer:
http://www.youtube.com/watch?v=BtC-K3nSYm8

La supremazia del maschilismo raccontata con lo stile di Pupi Avati ne “Il cuore grande delle ragazze”




Una storia bizzarra, quella de “Il cuore grande delle ragazze” di Pupi Avati, per certi versi straordinariamente fantastica e vivace anche se in fondo parla di una realtà di altri tempi che sembrano lontani ma che sono molto vicini a noi. Una storia reale, dunque, ambientata in un periodo storico altrettanto stravagante del quale vengono messe in evidenza la stupidità, l’insensatezza, l’avidità e l’arroganza di chi ha lo scettro in mano, dove sono sempre i più deboli a soccombere, come le donne e i miserabili. Una storia reale dove le azioni, molte delle quali appaiono esagerate e insensate, sono fatte di meschinità e miseria, dove il maschilismo ha sempre la supremazia, vuoi per il dongiovannismo mostrato da Carlino Vigetti (Cesare Cremonini), che ha fatto l’amore con tutte le belle ragazze della contrada, vuoi per il capofamiglia Orsi, con il fucile sempre a portata di mano, degno rappresentante di un periodo storico tristemente opprimente e oscurantista. Il periodo è quello dell’Italia fascista, appunto, dove la virilità e la forza sono gli stereotipi fondamentali imposti da un’ appropriata educazione imposta sin dalla tenera età (i balilla ne sono lo stereotipo), da cui non ci si può sottrarre e a cui i deboli devono soccombere. Il debole deve perdere, e anche morire (!), dinanzi al potente: lupus est homo homini affermazione di memoria plautiana e, più relativamente recente, hobbesiana. Una storia, accompagnata dalle bellissime musiche di Lucio Dalla, ambientata in un magnifico paesaggio agreste, fondamentalmente rurale, come lo era l’Italia di quel periodo, rustico, per certi versi anche bucolico, in cui i protagonisti appaiono rozzi, sudici, ovviamente più passionali che razionali, e alcuni anche spregevoli. La vicenda si svolge intorno alla diatriba tra un povero e debole contadino, mezzadro (Andrea Roncato), con tre figli, di cui uno è Carlino appunto, e un arrogante, miserabile e sporco proprietario terriero Sisto Orsi (Gianni Cavina), con due figlie bruttissime da sposare a tutti i costi, ed una terza figlia bellissima, adottiva, Francesca, (Micaela Ramazzotti) che viene scartata da quell’obiettivo. Questo invece viene messo in conto quando casualmente Carlino e Francesca si incontrano e si innamorano a prima vista.


Pupi Avati, attraverso la sua consolidata e oculata esperienza di regista, riesce a descrivere, accostandosi fondamentalmente alla metafora, un periodo storico i cui connotati sociali si ripetono sostanzialmente ancora oggi (purtroppo i fatti di cronaca recentissima dimostrano che il potere ha il predominio su tutto), anche se sotto altra forma, e lo fa divertendosi e facendo divertire il pubblico. Tra gli attori, tutti bravi, spicca la "romanaccia" Micaela Ramazotti, che con il suo modo di fare da "coatta" riesce a farsi apprezzare ancora una volta dopo la favolosa interpretazione de La prima cosa bella di Paolo Virzì. (Francesco Giuliano)

La passione amorosa è un moto rivoluzionario incontrollabile in "Cosa voglio di più"



Uno sguardo fulmineo, insignificante, banale scuote inconsapevolmente i sentimenti, ritenuti fino a quel momento saldi, di un uomo e una donna, li sconvolge, li spinge ad incontrarsi senza una motivazione razionale, senza un pretesto giustificatorio, senza un alibi consolatorio. Lui è un padre di due figli con una bella moglie che gli vuole bene, mentre Lei convive con un uomo che la adora e l’accontenta in tutto e per tutto. Sonofelici. Apparentemente? Forse? Eppure si cercano e scoprono di desiderarsi a vicenda. Si amano. Cosa li spinge a incontrarsi e a manifestare senza pudore alcuno l’innamoramento incontrollato e incontrollabile che l’una manifesta per l’altro, senza pudore, senza un attimo di esitazione, senza un barlume di incertezza? Né lui né lei potrebbero trarre giovamento dalla nascente relazione amorosa. È l’eros che si manifesta subdolamente, improvvisamente, immotivatamente in apparenza, e li spinge, come un grave sottoposto alla legge di gravità, ad avviare una rivoluzione in cui sono coinvolti solo e soltanto loro due. Né lui né lei riescono a contrastare questo moto rivoluzionario, che annulla qualunque razionalità. Cercano disperatamente di farlo ma non ci riescono. Soltanto la consapevolezza che non può esserci uno sbocco porta alla scelta obbligata della separazione definitiva. Un ben film, ben diretto da Silvio Soldini con attori protagonisti tutti bravissimi, Alba Rohrwacher, Giuseppe Battiston, Pierfrancesco Savino e Teresa Saponangelo.



Francesco Giuliano






Fonti: