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martedì 20 dicembre 2011

Nel film “La seconda notte di nozze” Pupi Avati descrive le diverse “maschere inossidabili” degli italiani.



Regia: Pupi Avati
Cast: Neri Marcorè, Antonio Albanese, Katia Ricciarelli, Marisa Merlini, Angela Luce, Mia Benedetta
Produttore: Antonio Avati
Anno produzione: 2005



Questo film è ambientato nell’Italia del dopoguerra e descrive le vicissitudini di una donna, Lilliana Vespero (Katia Ricciarelli), che rimasta vedova convive per necessità economica con un uomo che non sopporta il di lei figlio, Nino Ricci (Neri Marcorè). Questi, infatti, è un ladro, un cialtrone satanico, un nulla di buono per intenderci, che gli crea soltanto problemi e basta. Per questo Lilliana, spinta dall’affetto del figlio e anche dalle sue insistenze, decide a malincuore di ritornare nella sua terra, in Puglia, dove vive ancora il fratello del marito, Giordano Ricci (Antonio Albanese), mezzo demente, che però nella sua “demenza” manifesta con grande e profonda umanità l’altra faccia della medaglia, cioè l’ingenua volontà di fare “pulizia” dal lerciume diffuso e dall’immoralità imperante. Non è un caso che Pupi Avati descrive esaltandolo Giordano in senso metaforico, vale a dire come quello che viene chiamato a eliminare i pericoli ovvero a fare esplodere le bombe rimaste inesplose durante la guerra, contrapponendolo così alle azioni del nipote Nino, emerito lestofante .



In tutta la storia descritta nel film, Pupi Avati, con il suo consueto stile, con la dolcezza e con la gradevolezza che lo contraddistinguono nel raccontarla, questa storia che è la storia di tutti, mette in evidenza quelli che sono i diversi comportamenti peculiari che caratterizzano i componenti della nostra società: i lestofanti “furbi” da una parte e gli onesti “dementi” dall’altra. Pupi Avati, in sostanza, costruisce ed elabora i modi di fare e di agire, gli impulsi emotivi e gli atteggiamenti delle persone dando a questa parola il suo primitivo significato etimologico di maschera: i Latini dissero persona la maschera …, viso di cartone o di cera dipinto, di cui ci copre la faccia per non farsi conoscere o per rappresentare qualcosa, … portata sempre dagli attori nei teatri dell’antica Grecia e dell’Italia. Ovvero nel procedere della vita gli individui assumono dei comportamenti che derivano dal contesto in cui si trovano.



Molto bravi Antonio Albanese e Neri Marcorè che hanno saputo caratterizzare le due diverse facce contrapposte dei comportamenti individuali, ma brave anche Marisa Merlini (Eugenia Ricci) e Angela Luce (Suntina Ricci).


Fonti:





venerdì 16 dicembre 2011

"Aprile" un film sulla politica!

"Aprile" è un film diretto da Nanni Moretti e uscito nelle sale nel 1998. Nanni Moretti è autore anche del soggetto e della sceneggiatura, la fotografia del film è stata curata da Giuseppe Lanci, il montaggio da Angelo Nicolini, i custumi da Valentina Taviani e la scenografia da Marta Maffucci.
Nel Cast partecipa lo stesso Nanni Moretti, nel ruolo di se stesso, tra gli altri attori dobbiamo ricordare Silvio Orlando, Daniele Lucchetti, Angelo Barbaglio, Silvia Nono e Pietro Moretti.
Il film, ambientato tra il 1994 e il 1996, inizia con l' annuncio della vittoria elettorale di Silvio Berlusconi alle elezioni politiche. Nanni Moretti, interpretato da se stesso, rimane scoinvolto e decide di girare un documentario politico, progetto che poi accantonerà per un musical. Nel 1996, quando dopo le elezioni antipate Berlusconi sarà sconfitto il regista ritorna al suo primo progetto, per poi accantonarlo nuovamente.
Il film è interessante, racconta il rapporto tra il regista e la politica, Moretti nella pellicola indaga su se stesso e sulla politica italiana.

http://it.wikipedia.org/wiki/Aprile_(film)

Trailer su youtube:
http://www.youtube.com/watch?v=WwYcGpVO_Sw

Ne "La passione" la descrizione dell'attuale situazione politica nazionale

Regia e Sceneggiatyura: Carlo Mazzacurati.


Cast: Sivio Orlando, Cristiana Capotondi, Giuseppe Battiston, Stefania Sandrelli, Corrado Guzzanti, Marco Messeri.


Produzione: Domenicio Procacci


Anno produzione: 2010


Questo film presenta, ovviamente, diverse chiavi di lettura. Quella che mi è più congeniale corrisponde alla descrizione, in chiave mateforica, della situazione socio-politica dell'Italia, dove non c’è creatività, originalità, fantasia e dove la voce degli intellettuali è debole e priva di senso. Dove il grigiore, lo squallore e la sordidezza predominano. Dove sono il ricatto e il compromesso che muovono il motore della nazione. Che amara condizione! Gianni Dubois (Silvio Orlando) rappresenta con il suo aspetto, a volte simpatico, a volte buffo, a volte triste, a volte enigmatico, a volte ingenuo, un intellettuale della disorientata e litigiosa Sinistra italiana, divisa in mille rivoli, smarrita nel teatrino della politica, e incerta nelle scelte da fare, che non sa ascoltare i giovani, che non sa avanzare idee nuove, che è ancorata a trascorsi schematismi superati, lontani nel tempo, senza nessuno ancoraggio ai veri problemi sociali e istituzionali del tempo presente.


La storia raccontata nel film si svolge in un piccolo paese della Toscana, un borgo medievale ancora apparentemente intatto, dove tutto va a rotoli, dove il popolo che una volta rispondeva al richiamo di eventi come la celebrazione della Passione non è più presente, dove le case sono decrepite, dove le pregiate opere artistiche si degradano, dove il potere politico costituito si mostra cinico, ricattatore e arrogante e, tramite la sua sindachessa (Stefania Sandrelli) cerca, con ricatti miserabili e spregevoli, la realizzazione di certi obiettivi che ritiene possano richiamare e coinvolgere i paesani. Ma il pubblico vuole idee nuove, fresche e giovani non ancorate a vecchi e obsoleti schematismi che ripetono sempre la stessa sbobba. Ne è una prova il personaggio Flaminia Sbarbato (Cristiana Capotondi) che va a trovare con tanta gioia e molte aspettative il regista Dubois, ma che rimane delusa, si irrita e va via dopo avere ascoltato da questi una estemporanea storia, trita e ritrita, di un ipotetico film dalla fine incognita, che non ha niente di originale. Dubois risulta dunque un regista del tempo passato, bravo ma ormai dimenticato ed escluso dall’albero genealogico dei registi che, con i suoi ossessivi intercalari fastidiosi, simboleggia con grande bravura la situazione di ciò che oggi avviene nella nostra società. La Passione di Carlo Mazzacurati, dietro la rigenerante ilarità che suscita costantemente nello spettatore, nasconde il dramma dei nostri giorni, ma che con l’urlamento di un ragazzo vuole spronare i giovani di oggi ad alzare la testa per pensare al proprio futuro.


Bravi Giuseppe Battiston (Ramiro) e Corrado Guzzanti (Abbruscati), assieme a Marco Messeri (Del Ghianda) e Cristiana Capotondi. Ottima la regia.


Fonti:










lunedì 12 dicembre 2011

Il film “Unfacebook” di Stefano Simone, una metafora dei mali del nostro tempo.






Titolo: Unfacebook




Regia e Fotografia: Stefano Simone.




Sceneggiatura: Dargys Ciberio, Antonio Universi, Pia Conoscitore.




Musiche: Luca Auriemma.




Durata: 75 min. Anno di produzione: 2011. Patrocinato dal Comune di Manfredonia.



Cast: Paolo Carati, Giuseppe La Torre, Tonino Pesante, Fabio Valente, Tonino Potito, Filippo Totaro, Pia Conoscitore, Sabrina Caterino, Mimmo Nenna, Ivano Latronica, Grazia Orlando, Tecla Mione, Dino Mione.




In questi giorni mi è capitato di vedere il recentissimo film Unfacebook, un triller-horror diretto dal giovanissimo regista Stefano Simone e prodotto da una piccola casa di produzione indipendente la Jaws Entertainment. Il film è stato tratto da un racconto inedito Il prete di Gordiano Lupi della Casa editrice Il foglio letterario. Un triller, inquadrato nella cornice misteriosa di una cittadina della provincia pugliese, che sin dai primi fotogrammi suscita curiosità interesse e suspense nello spettatore per le immagini molto crude e drammatiche e scene molto violente, fino all’esasperazione più estrema, la cui brutalità schietta viene a fortiori catalizzata da una musica appropriata che fa ricordare i films di Dario Argento.
Guardando il film ho rilevato via via una direzione sciolta agile e straordinaria che non ha niente da invidiare ai mostri sacri del cinema italiano, tant’è che il regista dimostra di saper usare con oculatezza la didascalia avvalendosi di dialoghi molto striminziti ma comunque essenziali.
Stefano Simone dimostra di essere un regista profondo conoscitore del suo tempo e di avere una cultura elevata soprattutto sui temi socio-psicologici recenti e di servirsi della cinepresa in modo originale sfruttando come colori predominanti del film, il bianco e il blu, che sono i colori del social network Facebook. Il titolo del film Unfacebook lascia intendere questo riferimento, anche se quest’uso bicromatico di primo acchito fa pensare ad una scarsa qualità fotografica e dà un po’ di fastidio allo spettatore che, però, a poco a poco vi si abitua e comprende che è stata una scelta voluta, che caratterizza appropriatamente la pellicola. Un colpo di genio, non c’è che dire!
Nel film c’è una disamina sulla crisi odierna della Chiesa che non riesce più a raggiungere il suo scopo: il controllo e la salvezza dei fedeli attraverso la confessione. A tal proposito, Francesco Giuliano nel suo romanzo Come fumo nell’aria sostiene parlando dei fedeli che dopo la confessione molti ritornavano a comportarsi come sempre o forse peggio, tanto c’era l’assoluzione garantita con il palesamento dei peccati. Il prete (Giuseppe La Torre), protagonista del film, infatti, ascolta le confessioni dei suoi parrocchiani, ma questo lo porta ad una crisi interiore e ad uno sconforto personale. Egli medita su Il principe di Niccolò Machiavelli quando dice che gli ipocriti e gli astuti creano l’ira di Dio perché il peccato si rinnova e che il fine che giustifica i mezzi. È il comportamento dei fedeli che il prete non approva e che condanna, rendendosi conto che la confessione non risolve i loro problemi. Il prete tramite la confessione riesce a conoscere chi si comporta da puttana, chi è un pervertito, chi è un bastardo, chi è uno spacciatore di droga, e così via. Egli si convince che non serve a niente dare l’assoluzione dei peccati a questi individui malefici, per loro la soluzione migliore è la punizione divina. Da redentore si trasforma in loro carnefice a tal punto che fa diventare suo complice addirittura un bambino che ha assistito ad un omicidio. Lupi nel suo racconto sottolinea questa metamorfosi del prelato cui fa affermare, con cruda chiarezza che … noi preti siamo chiamati ad assolvere persone simili, e che, non mi sono fatto prete per assistere alla vittoria del male, ma per contrastarlo.
Egli decide di affidarsi a Dio che punisce per sempre.
Ma come fare?
Si aggiorna tramite una rivista specializzata sull’uso di internet e della posta elettronica di cui apprende il grande potere telematico. Si documenta sull’ipnosi e legge un libro sui Templari. Scopre che con l'ipnosi sia possibile entrare nella dimensione inconscia ed emotiva di un altro e per far questo il mezzo più appropriato sono i social networks che creano dipendenza seria ed invalidante, una vera e propria patologia, nota come Social Network addiction. Si rende conto che questa dipendenza ha sugli individui gli stessi effetti causati dall’uso di sostanze stupefacenti e, al tempo stesso, crea fisime e forti impulsi emotivi. Progetta, quindi, un programma sinistro, spietato, violento, sanguinario. Il confessionale diventa un luogo paragonabile a quello del Santo Uffizio, dove far confessare spontaneamente i peccati per i quali il verdetto finale è la morte.
Il prete capisce, in definitiva, come con la telematica si possa non solo governare la gente e la loro opinione, ma anche come con essa si possano strumentalizzare e trasformare per fini reconditi i giovani in automi. Invia, infatti, a qualcuno di questi delle e-mail con il link Vuoi fare parte dei Templari?. Questa domanda suscita curiosità nel giovane che conseguentemente ad un “click” si trova di fronte l’icona Armageddon, la battaglia finale tra il Bene e il Male, per la quale venivano usati come guerrieri i Templari. Il ragazzo in tal modo assume il ruolo di guerriero Templare con le conseguenze cruente che quest’assunzione comporta.




C’è dunque nel film un’analisi attenta e critica sui social network come Facebook, Twitter, MySpace, ecc., a cui si aggiungono le chat e gli sms, tant’è che il regista nel film fa dire alla psicologa (Pia Conoscitore) che il social network è come un luogo virtuale che dà ai giovani, in età compresa tra 12 e 18 anni, stimoli intensi e gratificanti che creano dipendenza e elevato grado di pericolo in quanto essi non riescono a distinguere il reale dal virtuale e ciò li porta ad una scompensazione emotiva dagli effetti devastanti.

Devo dire che ho trovato il film molto interessante e di grande attualità perché affronta il problema sia della decadenza della religione sia dell’uso non appropriato di internet che genera dipendenza. Della dipendenza ne parla il ricercatore Federico Tonioni nel suo saggio Quando internet diventa una droga. Ciò che i genitori devono sapere, mentre il critico culturale americano Lee Siegel nel suo recente libro Homo Interneticus. Restare umani nell’era dell’ossessione, addirittura disapprova l’uso della rete per i suoi effetti deleteri.










Federico Tonioni, Quando internet diventa una droga. Ciò che i genitori devono sapere, Einaudi




Lee Siegel, Homo Interneticus. Restare umani nell’era dell’ossessione, Piano B edizioni







Stefano Simone è nato a Manfredonia (FG) il 09/02/1986, dove inizia sin da piccolo a scrivere sceneggiature e girare cortometraggi (il primo all'età di 13 anni). Dopo aver frequentato il liceo socio-psico-pedagogico al "Roncalli" di Manfredonia, si trasferisce a Torino per studiare cinema all'istituto "Fellini", conseguendo il diploma di "Operatore della Comunicazione Visiva". I suoi cortometraggi: "Il delitto di classe"(1999); "Fear-paura"(2000); "Madre delle Tenebre"(2001); "Gli occhi del teschio"(2001); "Il gatto nero dalle grinfie di sciabola"(2005); "Istinto omicida"(2006); "Infatuazione" (2006); "L'uomo vestito di nero" (2007); "Lo storpio" (2007); "Contratto per vendetta" (2008); "Kenneth" (2008); "Cappuccetto Rosso" (2009). Lungometraggi: "Una vita nel mistero" (2010); "Unfacebook" (2011). Videoclip musicali:"Su Facebook" (2011).

venerdì 9 dicembre 2011

In "Midnight in Paris" di Woody Allen un ritorno al passato per ritrovare i sentimenti perduti.

Anche se questo è il blog del Cinema Italiano mi permetto di pubblicare la recensione dell'ultimo film (un vero gioiello!) di Woody Allen perché considero questo regista molto vicino al nostro modo di pensare.







Non c’è che dire, con questo film Woody Allen, come regista e sceneggiatore, ha superato se stesso perché porta a far fantasticare lo spettatore immergendolo in un mondo dove il surreale, l’immaginario, la bizzarria, il fiabesco diventano tangibili, idealmente materiali, e dove traspare la nostalgia per un mondo perduto antitetico al mondo di oggi in cui si contrappongono il sentimento e l’arido nozionismo, in cui emerge il contrasto tra il cuore e laragione, in cui si respingono l’emozione e l’insensibilità, dove non può esserci condivisione di due mondi diversi, due mondi quello reale, depressivo, squallido, urlato, angosciante, alienante, e quello surreale, esaltante, stimolante, fantastico, seducente, affascinante, appassionante.
Un film intelligente e stracolmo di humour, culturalmente elevato, con il quale Woody Allen ci mostra una teca di incontri suggestivi con artisti universalmente famosi, e ci dice come questa nostra società possa uscire dall’arida pedanteria, dalla gabbia degli stereotipi e dal pressappochismo sterile: basterebbe affidarsi al sentimento e a tutto ciò che crea emozioni.
Un film, con il quale, ancora una volta Woody Allen mette in risalto il “suo odio per la realtà”, arida, angosciante, deprimente, priva di senso, colma di vanità e di genericità e di mero formalismo, che inibisce ogni impulso emotivo di crescita individuale.
Gil, il protagonista (Owen Wilson), è uno sceneggiatore di film sui generis che si trova a Parigi con la sua futura sposa Inez (Rachel McAdams) e con i genitori di lei, che non vedono di buon occhio quel sognatore da strapazzo. Gil afferma di volere amare Inez e per questo di volerla sposare perché con lei condivide “i piatti della cucina indiana, ma non tutti”, e perché gli piace far sesso con lei o almeno è questo che lascia intendere. Gil è attratto, anzi innamorato di Parigi, dai suoi angoli suggestivi, dal fascino dei suoi palazzi, dall’atmosfera che si respira soprattutto quando piove. È la città dove vorrebbe vivere dopo il matrimonio. Inez, al contrario, vuole ritornare nella sua terra d’origine, gli Stati Uniti, e vivere là dove è nata.



Gil vive in due dimensioni, quella reale che non apprezza e quella immaginaria che lo fa trasvolare nel passato, nella Parigi di circa un secolo fa che per lui è un periodo di sogno. Mentre Inez è particolarmente attratta dal suo vecchio amico Paul (Michael Sheen), che segue ovunque vada. Paul è inviso a Gil sia perc hé è simpatico a Inez sia perché è un sapientone presuntuoso che spesso prende delle cantonate madornali.
Gil è un sognatore, che fa un salto nel passato, allo scoccare della mezzanotte mentre cammina per le strade di Parigi, e invitato a salire su un’auto viene trasportato nella Montparnasse bohémien, esattamente negli anni venti del ventesimo secolo - i cosiddetti “Anni folli” -, che egli raffigura come un mondo incantato e magico perché ritiene che "il passato non è affatto morto, anzi non è nemmeno passato."
In questa atmosfera, dove “l’attesa del piacere è essa stessa un piacere”, Gil incontra, come per incanto, i mostri sacri della cultura mondiale di quel periodo, tra cui lo scrittore Francis Scott Fitzgerald (Tom Hiddleston) e la sua futura moglie Zelda Sayre Fitzgerald (Alison Pill), anch’ella scrittrice, Ernest Hemingway (Corey Stoll), e pittori surrealisti e anticonformisti, come Salvador Dalì (Adrien Brody), Pablo Picasso (Marcial Di Fonzo Bo), Henry Matisse (Ives-Antoine Spoto), Man Ray (Tom Cordier), Luis Buñuel (Adrien de Van) – quest’ultimo addirittura mostra, a futura memoria, stupore nei confronti del suo stesso film L’angelo Sterminatore. Incontra pure la poetessa Gertrude Stein (Kathy Bates), Gert per gli amici, alla quale Gil consegna un suo manoscritto per averne un parere disinteressato e, nella cui casa, incontra Adriana (Carillon Cotillard), modella prima di Pablo Picasso e poi di Amedeo Modigliani, con la quale in fase di innamoramento Gil fa un altro salto nel passato, quello della Belle Èpoque, al ristorante Maxim’s dove, innanzi ad un disinibito can-can, incontra Henri de Toulouse-Lautrec (Vincen Menjou Cortes) in compagnia di Degas (Francois Rostain) e Gauguin (Olivier Rabourdin). Gil, in questi frangenti, frequenta e si innamora di Adriana. Interrompe la relazione con Inez facendo finalmente contenti i genitori di lei, ma poi per una discordanza di vedute lascia anche Adriana. Nella solitudine mentre una sera passeggia lungo la Senna incontra la bella Gabrielle (Lea Seydoux), una ragazza che aveva conosciuto al “Mercato delle pulci” e con la quale suggella opinioni e idee condivise in quell’atmosfera che lui aveva sempre sognato: Parigi sotto la pioggia lungo la Senna.
La musica jazz, tanto osannata come sempre nei film di Woody Allen, concorre enfaticamente ed efficacemente alla ricostruzione di quelle atmosfere surreali, stupendamente incantevoli, meravigliosamente stupefacenti, fatate della Parigi di quegli anni, con dei pezzi suonati da uno dei più grandi clarinettisti jazz e bravo anche come sassofonista, Sidney Bechett, e con composizioni di un maestro elegante, sofisticato e arguto come Cole Porter.



Woody Allen sceglie Parigi perché, negli anni che seguirono la prima guerra mondiale, Parigi diventa una città ricercata e cosmopolita che attrae, come una calamita i pezzetti di ferro, gli artisti più geniali e estroversi che nella loro forsennata analisi caratterizzano que“gli anni folli”, epoca aurea dell’arte e della letteratura di cui il regista dimostra con questo film di essere profondamente conoscitore e emotivamente innamorato. È, dunque, la Parigi della musica jazz, irrequieta e instancabile fabbrica di creatività, da cui emerge un anelito di pace dopo i tragici traumi prodotti dalla sanguinosa guerra, dove si riscopre il sogno, e da cui affiora un caleidoscopio di stili presenti nelle opere dei dadaisti e dei surrealisti che cercano inconsciamente di risvegliare le coscienze con l’ironia e con l’immaginazione che va oltre la realtà.
Il film, il quarantaduesimo di Woody Allen, è stato presentato al sessantaquattresimo Festival del cinema di Cannes 2011 e anche al Torino Film Festival 2011.







Fonti:



http://www.palazzodiamanti.it/855/la-mostra
http://www.palazzodiamanti.it/859/catalogo
http://www.palazzodiamanti.it/856/opere-in-mostra
http://it.wikipedia.org/wiki/Sidney_Bechet
http://it.wikipedia.org/wiki/Cole_Porter

mercoledì 7 dicembre 2011

"Io sono un autarchico", l' esordio alla regia di Nanni Moretti.

"Io sono un autarchico" è girato nel 1976 prima in presa diretta e solo successivamente ristampato in 16 millimetri. Il film segna l' esordio alla regia di un lungometraggio di Nanni Moretti.
Moretti è autore anche del soggetto, della sceneggiatura e del montaggio, delle musiche si è occupato Franco Piersanti e della fotografia Fabio Sposini.
Nel Cast ha partecipato lo stesso Nanni Moretti con un gruppo di attori alle prime armi. Tra questi possiamo ricordare Fabio Traversa, Beniamino Placido, Alberto Abruzzese e Franco Moretti.
La trama tratta la storia di Michele, uomo sposato con un figlio , ma  mantenuto dal anziano padre. Michele che passa il suo tempo dedicandosi al teatro sperimentale va in crisi quando viene abbandonato dalla moglie.
La trama si sviluppa intrecciandosi tra le vicende personali di Michele e quelle della sua compagnia teatrale.
Il film, inizialmente snobbato da pubblica e critica (Moretti era sconosciuto al tempo) è discreto e negli anni successivi sarà anche rivalutato dalla stessa critica.

Fonti:
Trailer:

lunedì 5 dicembre 2011

L’alienazione fa perdere il senso dalla vita nel film “Somewhere” di Sofia Coppola




La società opulenta, da una parte, impingua facendoli arricchire e, dall’altra, spoglia completamente gli uomini di successo di tutti quei valori per i quali i nostri avi hanno tanto lottato e sofferto. In definitiva li estranea, li rende diversi, li porta da un’altra parte. Altrove. Somewhere. È questo il tema e il titolo del film di Sofia Coppola. Un tema complesso anche se oggi è molto trascurato dove traspare la scontentezza per una società che non è consona all’uomo, alle sue necessità essenziali, al senso della vita, in cui tutto appare immobile, apatico, senza senso, senza parole.
Sesso senza amore, Eros senza Psiche, Amore senza Anima, monotonia nello scorrere della vita di tutti i giorni, desideri non naturali e non necessari soddisfatti, squallore, desolazione sociale, superficialità, solitudine e ancora tanto altro nella vita di un uomo che ha molto successo e che possiede tutto ciò che la civiltà opulenta dei paesi post-industrializzati possa offrire, ma che ha il vuoto dentro di sé e attorno a sé. Un attore famoso Johnny (Stephen Dorff) che svolge una vita, programmata nei minimi particolari, e basata sul superfluo, sul capriccio, sulla bizzarria e sullo sfogo degli istinti sessuali, con tante sottili e curate attenzioni, ma priva di significato e di quell’affetto di cui istintivamente si sente il bisogno, cioè di quell'affetto che, in termini epicurei, è un desiderio semplice, spontaneo, genuino, naturale e necessario, originario. Un desiderio quello dell’affetto che esplode nell'animo di Johnny - così si chiama il protagonista - dal momento in cui è "costretto" ad accudire per un certo periodo la figlia undicenne Cleo (Elle Fanning), la quale manifesta quella genuinità sentimentale e spontanea nei confronti del padre caratteristica di quell'età. Sente Johnny, allora, il bisogno di evadere da quel modo di essere, che si era costruito forse senza volerlo, e avverte la necessità riempire il vuoto che ha, cocendo e mangiando un pentolone di spaghetti, e di acquistare quel vero senso della vita che lui non ha mai posseduto o che ha dimenticato e di cui, adesso, colpevole l'amore della figlia, sente inevitabilmente la necessità. Sente il bisogno naturale di trovare Psiche, l’Anima perduta. Significativamente espressiva e molto efficace, a proposito, è l’ultima scena del film, nella quale scende dal suo supertecnologico bolide nero e lo abbandona nella strada deserta.
Brava, anche questa volta dopo il successo di "Lost in traslation", la regista Sofia Coppola che ha molto bene diretto Stephen Dorff e tutti gli altri attori con una sceneggiatura essenziale ma efficace, e che non rinnega le sue origini italiane facendo comparire nel film attori italiani, come Nino Frassica, Valeria Marini, Simona Ventura, Laura Chiatti.




Il film è stato prodotto dal padre Francis Ford Coppola.


Fonti:


venerdì 2 dicembre 2011

"Un Giorno in Pretura", un film di Steno.

"Un Giorno in Pretura" è un film diretto da Steno e uscito nelle sale nel 1953. Il soggetto e la sceneggiatura dei vari episodi del film sono stati preparati in collaborazione dallo stesso Steno, da Alberto Sordi,  da Giancarlo Viganori, da Lucio Fulci e da Alessandro Continenza. La fotografia è stata curata da Mario Scarpelli, il montaggio da Giuliana Attenni e le musiche da Armando Trovayoli.
Il cast è ricco di giovani attori che negli anni successivi trionferanno nelle sale cinematrografiche, vi partecipano Alberto Sordi, Peppino De Filippo, Walter Chiari, Sofia Loren, Tania Weber e tanti altri.
Il film è composto da 5 episodi:
"Il Ladro di  Gatti": un anziano viene citato in tribunale per aver rubato un gatto.
"I Coniugi Ponticelli": un commerciante, dal carattere severo e conservatore, viene accusato dalla moglie di abbandono del tetto coniugale e portato a giudizio. Riuscirà a salvarsi dalle accuse dimostrando l' infedeltà della sua stessa consorte.
"Don Michele, Anna e il biliardo":Un Prete viene trascinato in tribunale con l' accusa di aver generato una rissa in un Club, l' uomo, pur difendendo la sua buona fede ammette le sue colpe e il tentativo di scagionarlo di Anna, una prostituta, risulterà inutile.
"Nando Mericoni, l' americano": Nando, interpretato da Alberto Sordi, finisce in pretura accusato di atti osceni, colpevole di essersi fatto il bagno completamente nudo in una marana. Si difenderà spiegando di seguire la moda U.S.A.
"Gloriana": una star del cinema, ormai caduta in disgrazia, viene accusata di adescamento e ubriachezza molesta.

Il film, senza essere un capolavoro, risulta gradevole e interessante, sicuramente consigliato.

giovedì 1 dicembre 2011

Un grido di allarme per salvare la famiglia e la scuola il film “Scialla!” di Francesco Bruni



Scialla!, che in gergo romanesco significa stai sereno, è un film che fin dalle prime battute manifesta una sua peculiare originalità, ed è un film che dimostra come il cinema italiano di questi ultimi anni si stia svegliando da quel letargo, da cui per diverso tempo non è riuscito a destarsi, e stia mostrando creatività, fantasia e novità nella narrazione della fabula. Il regista Francesco Bruni - alla sua prima esperienza come regista dopo avere curato la sceneggiatura di film italiani famosi e di grande successo di pubblico, come La bella vita, Ovosodo, Io e Napoleone, La prima cosa bella, I viceré in collaborazione con Roberto Faenza, per citarne soltanto alcuni -, è riuscito ad affrontare un tema attualissimo in modo molto divertente e ilare, seppur accennando agli aspetti sociali e agitati riguardanti la famiglia e i rapporti inesistenti tra padri e figli, e concernenti anche la scuola e i rapporti illusori tra insegnanti e studenti. In definitiva il film parla della famiglia moderna che avendo perso la sua composizione originale non affronta il problema educativo dei figli delegando in questo la scuola che, a sua volta, non riesce neppure ad affrontare il problema formativo dei giovani. Il regista intrattiene su questi temi lo spettatore inducendolo prima a sorridere e anche spesso a ridere e, poi, a riflettere sul futuro che i figli stanno ereditando dai padri. E quello stesso spettatore, alla fine del film, si alza dalla poltrona del cinema molto soddisfatto dopo aver gustato fino in fondo e senza distrarsi neppure per un attimo il susseguirsi della trama raccontata: un figlio, Luca (un bravissimo Filippo Scicchitano), che ritrova inaspettatamente il padre Bruno Beltrame, scrittore di biografie (un eccellente Fabrizio Bentivoglio), di cui non aveva sentito mai parlare, - neppure un cenno aveva avuto dalla madre - ed un padre che inconsapevolmente scopre un figlio che non sapeva di avere, un figlio ancora adolescente molto disorientato che mostra di non possedere dei punti di riferimento e di aver vissuto sino ad allora come una nave, senza timone, alla deriva in un mare profondamente agitato, che mostra di non conoscere nelle persone i ruoli che questi ricoprono, e che usa un linguaggio per niente affine alla lingua italiana Il titolo del film “Scialla!”, infatti, sta a lanciare anche un grido d’allarme sull’uso della lingua che possiamo ritrovare nelle parole del linguista Tullio De Mauro (già ministro della pubblica istruzione), il quale sostiene che Il 71% della popolazione si trova al di sotto del livello minimo di lettura e comprensione di un testo scritto di media difficoltà, il 5% non è neppure in grado di decifrare lettere e cifre, un altro 33% sa leggere ma riesce a decifrare solo testi di primo livello su una scala di cinque ed è a forte rischio di regressione nell’analfabetismo . Un ulteriore 33% si ferma a testi di secondo livello. Non più del 20%, quindi, possiede le competenze minime per orientarsi e risolvere, attraverso l’uso appropriato della lingua italiana, situazioni complesse e problemi della vita sociale quotidiana.
Luca, tuttavia, anche se disorientato mostra maturità di fronte a certe scelte: rifugge dallo spaccio e dall’uso della droga e da cattive compagnie, ma in un momento di debolezza, convinto dai suoi due amici, si lascia trasportare in una situazione da cui gli sembra difficile uscire mostrando paura mista a terrore e sconforto. Scopre nel suo “futuro” padre una figura carismatica per i suoi ex studenti e un punto di riferimento per se stesso che lo porterà fuori da quella circostanza ingarbugliata e violenta, scopre così che la scuola e il sapere che essa trasmette è un mezzo che porta alla conoscenza. E qui risalta una critica nei confronti della scuola che si preoccupa di fare acquisire delle competenze agli studenti trascurando la conoscenza della loro personalità e della loro intima essenza senza le quali l'apprendimento è negato.



Bellissima e significativa, a tal proposito, è la scena inconsueta con la quale è Luca a dire al proprio consiglio di classe di bocciarlo e fargli ripetere l’anno, per non fargli perdere buona parte della conoscenza che lo studio di quel percorso scolastico gli permetterà di acquisire. Un inversione di ruoli che dimostra ciò che gli studenti vogliono dalla scuola e che la scuola non riesce a dargli.
La bravura del regista Francesco Bruni si manifesta nell’aver usato la macchina da presa in modo magistrale, con la quale pian piano fa emergere tra i due protagonisti, Bruno Beltrame e Luca, i contrasti reali che esistono tra i giovani e gli adulti, tra linguaggio classico e linguaggio gergale, tra genitori e figli. Come uno scienziato che nel suo laboratorio esegue una ricerca scrupolosa che lo porta gradualmente all’agognata scoperta, così il regista fa affiorare, con un susseguirsi di azioni e avvenimenti a volte inaspettati, gradualmente l’affetto latente che esiste tra padre e figlio e la scoperta da parte di Luca dell'esistenza e della distinzione dei ruoli che contraddistinguono un padre da un figlio, un insegnante da uno studente, la famiglia dalla scuola.
Il messaggio che il regista vuole dare è che, per risollevare la nostra società dal baratro profondo in cui versa, bisogna ridare alla famiglia e alla scuola i ruoli che queste due istituzioni fondamentali formative ed educative hanno perso completamente, così come ha fatto il regista Ivan Cotroneo nel suo recentissimo film La kriptonite nella borsa. La convinzione comune che è condivisa anche da me è che non ci può essere una vera e corretta formazione della personalità individuale senza la famiglia e la scuola.



Nel cast ci sono anche Barbora Bobulova, Giuseppe Guarino, Arianna Scommegna, Prince Manujibeva e altri.