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mercoledì 22 gennaio 2014
Violenza e amore sono gli ingredienti del film “C’era una volta a New York” di James Gray
Titolo: C’era una volta
a New York
Titolo originale: The
immigrant
Regia: James Gray
Sceneggiatura: James
Gray, Ric Menello
Produzione: USA 2013
Cast: Marion Cotillard,
Joaquin Phoenix, Jeremy Renner, Dagmara Dominiczyk, Angela Sarafyan, Jicky
Schnee, Yelena Solovey, Ilia Volok, Dee
Dee Luxe, Dylan Hartigan, […]
“C’era una volta a New
York” è un film che descrive l’America, in particolare, come si desuma dal
titolo, New York, agli inizi del secolo scorso e che affronta il tema annoso dell’immigrazione,
che si ripete puntualmente in diverse parti del mondo ma che si differenzia sia
nel tempo che nello spazio. Tema che è arricchito della miseria umana, della
solitudine che si prova nel mettere piede in una terra straniera, della
disperazione che costringe gli individui
a commettere atti che ledono la dignità personale, della corruzione e dello sfruttamento
dell’uomo nei confronti del più debole, della donna in particolare. Il film
inizia con la scena che inquadra gli immigrati sbarcati a Ellis Island, anticamera per accedere in America, che
vogliono dare un senso alla loro vita con la speranza di realizzare una vita
migliore. In migliaia provengono
dall’Europa, negli anni che seguono la fine della prima guerra mondiale che
aveva mietuto molte vittime e aveva esternato una violenza inaudita anche sulla
popolazione civile. Cosi come, ai tempi nostri, vengono in Europa tutti quei
poveracci, chiamati extracomunitari, dai loro paesi martoriati dalla guerra, paesi
come la Siria, l’Egitto, quelli del centro Africa, etc. etc.. Tra questi
immigrati si distingue una bella giovane donna polacca, Ewa Cybulski (Marion
Cotillard) che, assieme alla sorella Magda (Angela Sarafyn), vuole una vita
migliore di quella già vissuta nella miseria e nella violenza, dato che i
genitori sono stati decapitati senza motivo, durante la guerra, dai soldati. Fanno
ambedue la fila per la visita medica a Ellis Island. Purtroppo la sorella Magda
viene inviata in ospedale perché affetta da tubercolosi e lei, ritenuta donna
senza morale dato che sulla nave è stata violentata, deve essere rispedita in
Europa. In sua difesa sopraggiunge Bruno Weiss (Joaquin Phoenix), un uomo misterioso
e ambiguo che, pagando gli agenti profumatamente, la libera portandola con sé.
Da questo momento in poi, il film prende risvolti imprevedibili, con un
susseguirsi di colpi di scena che cambiano continuamente, che non danno nulla
di scontato e che lasciano lo spettatore in un continuo stato d’attesa. Ewa in
un primo momento si affida, anima e corpo, a Bruno che, nello squallore più
estremo, la sfrutta, poi decide di fuggire, ma non trova nessuno che l’aiuti, neppure
gli zii che, immigrati molti anni prima, godono di un’ottima posizione
economica, né tantomeno il prete da cui va a confessare i peccati commessi. Quest’ultimo
piuttosto che aiutarla, la redarguisce con appellativo di peccatrice. Vano e infausto
risulta anche l’intervento a suo favore del nuovo spasimante, il prestigiatore sfortunato Orlando (Jeremy Renner).
Il film si svolge in
una atmosfera che ricalca molto bene quella dell’inizio del secolo scorso ed elabora
un discorso che mette in risalto le condizioni disumane dei disperati e dei diseredati
che, come avviene ai giorni nostri, vengono vituperati e maltrattati nei paesi
ospitanti, ma evidenzia che il male viene accentuato soprattutto perché al
mondo esistono gli intrallazzatori, i corruttori e i corrotti. Temi questi
molto cari al regista James Gray che mette sempre in evidenza il labile
confine che esiste tra il bene e il male, così come ha fatto nel suo film d’esordio
“Little Odessa” (1994), e ancora in "The Yards" (2000) e ne “I padroni della
notte” (2007).
Marion Cotilalrd offre
un ritratto realistico e umano di Ewa Cybulski con la sua indiscussa bravura che,
in questo caso, non eguaglia quella magistrale marcata come interprete di Edith
Piaf nel film “La vie en rose” (2006) di Olivier Dahan.
Ottima anche la scelta
di Joaquin Phoenix che con il suo sguardo penetrante e ambiguo sostiene bene la
parte di Bruno Weiss e che non si distacca da ciò che costituisce il perno centrale
attorno a cui ruotano i film di Gray.
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