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venerdì 25 maggio 2012

“Il richiamo” di Stefano Pasetto è una metafora per allontanarsi dalla vita frenetica e caotica del nostro tempo.

Titolo: Il richiamo Regia: Stefano Pasetto Sceneggiatura: Stefano Pasetto, Veronica Cascelli Produzione:Italia, Argentina 2011 Cast: Sandra Ceccarelli, Francesca Inaudi, César Bordòn, Guillermo Pfening, […]
Stefano Pasetto esordisce con questo film nel quale manifesta una certa dimestichezza con la macchina da presa ma anche qualche disomogeneità e incongruenza sequenziale. “Il richiamo” è una metafora molto adatta ai nostri tempi, la cui modernità non lascia spazio alla nostra vera natura esistenziale e ci costringe a vivere in una gabbia disumana e stressante, dove l’affetto, l’amore, i sentimenti genuini sono stati riposti, come in una casa, in un soffitto polveroso e abbandonato. Un mondo in cui non c’è spazio per l’ancestrale rapporto con la natura, non c’è spazio per le attenzioni genuine, non c’è spazio per il calore umano, non c’è spazio per quel bellissimo ballo sensuale che è il tango, non c’è spazio per tutti quei valori semplici naturali sinceri la cui espressione e manifestazione conferisce gioia e attimi di felicità. Le scene iniziali inquadrano la folla, tanti uomini e tante donne che percorrono le strade di Buenos Aires caotica e frenetica come tante formiche che non si capisce dove vadano e con quale finalità. Fiumi di gente che va in un senso e fiumi di gente che va in senso opposto, che si lascia trasportare senza un timone dagli eventi. In questo quadro triste e disumano che crea un disagio impossibile e invivibile, Pasetto inquadra la vita di due donne Lucia e Lea. Lucia (Sandra Ceccarelli), è una donna matura introversa, semplice nel vestire, dal portamento signorile e dall’espressione triste, fa l’hostess ed ha una passione per il pianoforte, ma è insoddisfatta e stressata dal marito Bruno (César Bordòn), un medico allergolo che la vuole tutta per sé e che crede di amarla pur lasciandosi trasportare dalle effusioni amorose di una collega. Lea (Francesca Inaudi) è, invece, una giovane donna estroversa, sbarazzina, sempre sorridente, gioiosa e iperbolica nel vestire, dalla mentalità libera, soddisfatta, avulsa dal vincolo del matrimonio. Sobria l’una, briosa l’altra. Come avviene per istinto naturale, per caso e anche per necessità inconscia, “il richiamo” le fa incontrare, le fa scoprire, le fa innamorare. Si instaura un legame innaturale e incerto che contrariamente a ciò che si pensa porterà i suoi buoni frutti. Lea, ad un certo punto, lascia lo squallido lavoro che la costringe a stare in un macello industriale per polli e si reca, per un lavoro di ricerca che aveva sempre sognato di fare, in Patagonia, l’estremo lembo dell’America Meridionale dove ancora, per il suo clima, il territorio è affascinante e incontaminato. Lucia, consapevole di essere affetta di una malattia incurabile lascia tutto, lavoro e marito, e segue Lea. Come la barca “Il richiamo”che è fatta per stare in mare, così la vita di ognuno è fatta per essere vissuta in mezzo alla natura e alla sua rigenerante bellezza e con chi ami e ti ama veramente. Questo ritorno alle origini e questo trasporto del vero sentimento produce il “miracolo”.

venerdì 18 maggio 2012

Con il film “100 metri dal paradiso” Raffaele Verzillo si inventa una storia surreale in cui sacro e profano vanno a braccetto.

Titolo: 100 metri dal paradiso Regia: Raffaele Verzillo Soggetto e Sceneggiatura: Raffaele Verzillo e Stefano Mainetti Produzione: Italia, 2012 Cast: Domenico Fortunato, Jordi Mollà, Giulia Bevilacqua, Giorgio Col angeli, Lorenzo Richelmy, Ralph Palka, Angelo Orlando, Milena Miconi, Enzo Garinei, Pier Francesco Corona, […] Il regista casertano Raffaele Verzillo in questo film mette in evidenza il suo estro originale e creativo di commediografo già vissuto e maturato con la serie televisiva Un medico in famiglia 7. Costruisce, infatti, con questa pellicola dal titolo “100 metri dal paradiso” un film molto divertente per niente volgare, pacchiano, dai connotati surreali per il tema affrontato. Mostra infatti della Chiesa, con un procedere rispettoso e per niente offensivo, più che il carattere religioso che la dovrebbe contraddistinguere, un carattere diverso, laico, quasi aconfessionale direi, più da organizzazione imprenditoriale, da azienda, che vuole propagandare e diffondere la fede cattolica utilizzando “santini interattivi” o cose di questo genere. Il monsignore Angelo Paolini (Domenico Fortunato), che si interessa di comunicazioni sociali dello Stato pontificio, cerca di usare qualunque espediente, a suo parere lecito, che serva a rendere più “moderna” e più allettante la Chiesa data la crisi imperante delle coscienze verso il credo cattolico. Con stratagemmi che non sono consoni ai dettami evangelici, in cui si rimescolano continuamente sacro e profano come quando si mescola un solido in polvere in acqua,, questo simpatico e per certi versi rivoluzionario prelato le inventa tutte per far in modo che le aspirazioni sportive di un suo amico fraterno Mario Guarazzi (Jordi Mollà
), che vuole che il figlio Tommaso (Lorenzo Richelmy), atleta molto bravo nei 100 metri, partecipi alle Olimpiadi, si concilino con le aspirazioni di quest’ultimo che vuole farsi frate a tutti i costi. Questa scelta, infatti, avrebbe impedito al giovane di partecipare alle gare internazionali facendo cadere il padre nella disperazione e nella depressione. Monsignor Paolini ha, allora, un’idea originale, che è quella di formare una squadra di atleti preti sparsi per il mondo sotto l’egida del Vaticano, al fine di consentire al giovane Tommaso di partecipare alle Olimpiadi e soddisfare così le aspirazioni del genitore. Un’idea in cui si integrano spirito e corpo, anima e impegno. Ci riuscirà?

giovedì 3 maggio 2012

Nel film “Il primo uomo” di Gianni Amelio l’analisi cruda dell’assurdità umana.

Titolo: Il primo uomo (Le premier homme) Regia: Gianni Amelio Soggetto e sceneggiatura: Gianni Amelio Produzione: Italia, Francia, Algeria, 2011 Cast: Jean Gamblin, Nino Jouglet, Catherine Sola, Maya Sansa, Denis Podalydès, Nicolas Giaraud, Ulla Baugué, […] Questo film di Gianni Amelio è tratto dal romanzo Le Premier Homme, Il primo uomo, di Albert Camus, da cui il regista estrapola i punti salienti facendo rivisitare al protagonista Jean Cormery (da adulto magistralmente l’interpretato da Jacques Gablin, e da bambino da Nino Jouglet) la propria vita attraverso i sentimenti, i turbamenti e le emozioni scoperti e provati sin dalla sua infanzia. Protagonista che, nel desiderio di ritrovare la tomba del padre scomparso prematuramente “… per servire un paese che non era suo …”, durante la Prima Guerra Mondiale, ritorna dalla Francia, dove è diventato uno scrittore famoso, nel suo paese natio, l’Algeria, per ritrovare gli amici dell’infanzia. Albert Camus incominciò a scrivere questo libro già quarantaseienne, dopo aver ricevuto qualche anno prima il premio Nobel per la letteratura, ma non riuscì a terminarlo a causa della morte prematura che lo colse subito dopo. In esso lo scrittore, considerato un filosofo esistenzialista ateo accanto a Jean-Paul Sartre, evidenzia – attraverso la povertà, gli stenti, le sofferenze, la severità e il rigore della nonna dispotica e dura che esercita il dominio su tutta la famiglia, ecc. -, le vicissitudini di un bambino che rappresenta "… il germoglio dell'uomo che sarà!" così come lo definisce il suo professore Bernard (Denis Podalydès) e rotea attorno al concetto dell'assurdità umana “come condizione alienante e reale, non come necessità o unica via”, che rappresenta un problema esistenziale che si può risolvere soltanto con la solidarietà umana. Lo stesso problema lo affronta anche Woody Allen quando nel suo recente e grazioso film To Rome with love cita il “mito di Sisifo” che è un saggio di Camus. La bravura di Amelio in questo film sta appunto nell’aver fatto comprendere allo spettatore, attraverso la figura del protagonista Jean Cormery, uomo di straordinaria levatura morale e civile e attraverso un’analisi introspettiva del suo modo di essere e di pensare, la scoperta che fa l’uomo appunto della sua incomprensibile assurdità. Nel contempo l’abilità di Amelio sta anche nell’aver fatto intuire che solo attraverso la presa di coscienza di questo suo misero e squallido stato può sorgere uno stimolo intellettuale che lo può indurre a scoprire nuove vie per la risoluzione di questo profondo e annoso problema. È questo problema dell’assurdo che induce gli uomini alle liti fratricide, ai contrasti e alle divisioni di pensiero in generale e che li domina come un dio malefico che “ne fa allo stesso tempo degli schiavi e dei ribelli, delle vittime e dei carnefici”. Gianni Amelio come nella maggior parte dei suoi film, tra cui il pluripremiato Lamerica sul miraggio italiano degli albanesi e, il vincitore del Leone d’Oro 1998, Così ridevano
sull’emigrazione degli anni ’50 dal sud al nord, anche in questo osserva la realtà nella sua crudezza e asprezza umanamente irrisolvibili.