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giovedì 3 maggio 2012

Nel film “Il primo uomo” di Gianni Amelio l’analisi cruda dell’assurdità umana.

Titolo: Il primo uomo (Le premier homme) Regia: Gianni Amelio Soggetto e sceneggiatura: Gianni Amelio Produzione: Italia, Francia, Algeria, 2011 Cast: Jean Gamblin, Nino Jouglet, Catherine Sola, Maya Sansa, Denis Podalydès, Nicolas Giaraud, Ulla Baugué, […] Questo film di Gianni Amelio è tratto dal romanzo Le Premier Homme, Il primo uomo, di Albert Camus, da cui il regista estrapola i punti salienti facendo rivisitare al protagonista Jean Cormery (da adulto magistralmente l’interpretato da Jacques Gablin, e da bambino da Nino Jouglet) la propria vita attraverso i sentimenti, i turbamenti e le emozioni scoperti e provati sin dalla sua infanzia. Protagonista che, nel desiderio di ritrovare la tomba del padre scomparso prematuramente “… per servire un paese che non era suo …”, durante la Prima Guerra Mondiale, ritorna dalla Francia, dove è diventato uno scrittore famoso, nel suo paese natio, l’Algeria, per ritrovare gli amici dell’infanzia. Albert Camus incominciò a scrivere questo libro già quarantaseienne, dopo aver ricevuto qualche anno prima il premio Nobel per la letteratura, ma non riuscì a terminarlo a causa della morte prematura che lo colse subito dopo. In esso lo scrittore, considerato un filosofo esistenzialista ateo accanto a Jean-Paul Sartre, evidenzia – attraverso la povertà, gli stenti, le sofferenze, la severità e il rigore della nonna dispotica e dura che esercita il dominio su tutta la famiglia, ecc. -, le vicissitudini di un bambino che rappresenta "… il germoglio dell'uomo che sarà!" così come lo definisce il suo professore Bernard (Denis Podalydès) e rotea attorno al concetto dell'assurdità umana “come condizione alienante e reale, non come necessità o unica via”, che rappresenta un problema esistenziale che si può risolvere soltanto con la solidarietà umana. Lo stesso problema lo affronta anche Woody Allen quando nel suo recente e grazioso film To Rome with love cita il “mito di Sisifo” che è un saggio di Camus. La bravura di Amelio in questo film sta appunto nell’aver fatto comprendere allo spettatore, attraverso la figura del protagonista Jean Cormery, uomo di straordinaria levatura morale e civile e attraverso un’analisi introspettiva del suo modo di essere e di pensare, la scoperta che fa l’uomo appunto della sua incomprensibile assurdità. Nel contempo l’abilità di Amelio sta anche nell’aver fatto intuire che solo attraverso la presa di coscienza di questo suo misero e squallido stato può sorgere uno stimolo intellettuale che lo può indurre a scoprire nuove vie per la risoluzione di questo profondo e annoso problema. È questo problema dell’assurdo che induce gli uomini alle liti fratricide, ai contrasti e alle divisioni di pensiero in generale e che li domina come un dio malefico che “ne fa allo stesso tempo degli schiavi e dei ribelli, delle vittime e dei carnefici”. Gianni Amelio come nella maggior parte dei suoi film, tra cui il pluripremiato Lamerica sul miraggio italiano degli albanesi e, il vincitore del Leone d’Oro 1998, Così ridevano
sull’emigrazione degli anni ’50 dal sud al nord, anche in questo osserva la realtà nella sua crudezza e asprezza umanamente irrisolvibili.