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sabato 21 giugno 2014
ADHD – Rush Hour, un film che affronta un tema importante per la collettività
Titolo:
ADHD – Rush Hour
Regia
e sceneggiatura: Stella Savino
Prodotto
da: Andrea Stucovitz
Musiche:
Walter Fasano
Consulente
scientifico: Stefano Canali
Co-produzione:
Italia, Germania, 2012
Distributore:
Micromega
Patrocinio:
Regione Puglia – Giù le mani dai bambini
Questo
documentario ADHD (Attention-Deficit/Hyperactivity
Disorder, cioè Disturbo da Deficit di
Attenzione/Iperattività) trae il titolo da un’anormalità neuro-chimica,
un disturbo evolutivo dell’autocontrollo,
secondo cui milioni di bambini al mondo sono considerati malati. La sinossi del
film recita - La comunità
scientifica dibatte e si divide da più di 50 anni su cosa sia l’ADHD veramente.
La vostra diagnosi dipenderà esclusivamente dal medico che incontrerete sulla
vostra strada. Di certo c’è che i test di laboratorio e i criteri utilizzati
per la diagnosi sono limitati e la cura farmacologica non è senza conseguenze:
l’atomexina produce allucinazioni, gravi danni epatici e tendenze suicide, e il
metilfenidato è un’anfetamina, classificata dalla DEA (Drug Enforcement
Administration) nello stesso gruppo dei narcotici, insieme con l’eroina, la
morfina e la cocaina. L’ONU parla di emergenza sanitaria, denuncia e lancia
l’allarme ADHD “il Consiglio invita le nazioni a valutare la possibile
sovrastima dell’ADHD e frenino l’uso eccessivo del metilfenidato (Ritalin).
Negli Stati Uniti è stata diagnosticata l’ADHD nei bambini di appena un anno”.-
Il
film si svolge in un viaggio tra Europa e USA, tra laboratori di genetica e
Brain Imaging, tra aule universitarie e scuole elementari, dove il dibattito
scientifico si realizza ascoltando la voce dei protagonisti. Tra questi
troviamo il dottor Leif Elinder, pediatra svedese che dubita, in seguito agli
effetti collaterali del Ritalin, dell’efficacia di quel tipo di trattamento, o
il prof. Stefano Canali, docente universitario di Storia della Medicina e
Bioetica, il quale, citando, in una sua lezione all’interno di un’aula
universitaria romana, Franz
Joseph Gall (1796),
Alexander Crichton (1798)
e George Frederick Still (1902),
sottolinea il fatto che nel corso della storia molte malattie neurologiche sono
comparse e scomparse con la medesima velocità, come ad esempio l’omosessualità,
che era considerata una malattia. A loro si alternano le storie di bambini come
Zache, dieci anni, di Miami, che ha ricevuto la diagnosi di ADHD al primo anno di asilo, oppure di adolescenti,
come Armando, diciannove anni, studente romano del terzo anno delle scuole
superiori, che - essendogli stato diagnosticato l’ADHD all’età di dieci anni -,
è sottoposto da ben nove anni a cura farmacologica, la quale gli produce, tra
gli effetti collaterali, lo sdoppiamento della personalità. Storie che si
intercalano con i travagli interiori, le angosce e i patimenti raccontati dalle
rispettive madri.
A
tutte queste voci si unisce anche quella di Lindsay, venticinque anni, che vive
a New York, laureata, che ricevette la prima diagnosi di ADD (Attention Deficit
Disorder) a ventuno anni (la diagnosi dell’ADHD o ADD, da sempre definita nel
DSM o Manuale Diagnostico Disordini Psichiatrici, come disturbo dell’età
evolutiva, colpisce oggi anche gli adulti).
La
regista Stella Savino, napoletana, laureata in Letteratura Francese, racconta che nel 2008, leggendo “Il Corriere
del Mezzogiorno”, le capitò un articolo in cui si parlava del farmaco Ritalin
come cura dell’ADHD. Volle approfondire l’argomento su Internet, dove scoprì
che questa malattia negli USA aveva un’incidenza dell’11 % mentre in Italia
soltanto dell’1 %, e che la relativa diagnosi non richiede analisi cliniche ma
si basa soltanto sulla valutazione non metodologicamente scientifica di un
ipotetico deficit di attenzione o di iperattività. Il divario molto ampio tra quei valori
percentuali e l’assenza di dati analitici oggettivi la spinse ad indagare
sull’argomento pensando di sollevare delle questioni in merito. Rivolgendosi a
consulenti, come il citato prof. Stefano Canali, venne a conoscenza che personaggi
come Picasso, Roosevelt, Einstein e altri, nella loro infanzia avevano mostrato
deficit di tal natura che, però, non gli aveva impedito di diventare uomini
straordinari e famosi.
Per
questo Stella Savino, con un’esperienza
professionale maturata, sin dal 2003, nel mondo del documentario come
assistente alla regia e montatrice, ha scritto e dedicato questo film “alle nostre
madri”. Un film che risulta coraggioso per il tema affrontato e che ritiene necessario
per la collettività. Un film dall’alto valore pedagogico che contiene alcune
indicazioni implicite, e cioè quella di non lasciarsi trasportare acriticamente
ed emotivamente da diagnosi che potrebbero risultare non essenziali per i figli,
e quella di valutare attentamente gli effetti collaterali che l’assunzione di taluni
farmaci potrebbe produrre sull’organismo.
It will come rush hour?
A
tal proposito, ritornano utili e significative le seguenti citazioni estratte
dal romanzo “L’intrepido alchimista”, (Senso Inverso edizioni,2014): “Bisogna rifuggire dalla magia e
dall’ignoranza, che ci tengono prigionieri del presente, che per loro mezzo
rimane statico, immobile e rende l’uomo perennemente schiavo” … “Siamo noi che costruiamo la realtà. Se
nell’uomo regna la stupidità e l’ignoranza, è evidente che la realtà non potrà
essere migliore, è una conseguenza inevitabile”.
Il
film sarà nelle sale a partire da giovedì 26 giugno.
Francesco
Giuliano
lunedì 17 marzo 2014
In “Smetto quando voglio” un'idea su come si vince lo stato di precariato intellettuale
Titolo: Smetto quando voglio
Regia: Sydney Sibilia
Sceneggiatura: Valerio Attanasio, Andrea Garello, Sydny Sibilia
Genere: commedia
Produzione: Italia, 2014
Cast: Edoardo Leo, Valeria Solarino, Valerio Aprea, Paolo Calabresi, Libero De Rienzo, Pietro Sermonti, Lorenza Lavia, Neri Marcorè, Stefano Fresi, [...]
Questo film "Smetto quando voglio", il primo
lungometraggio del giovane regista salernitano Sydney Sibilia, è una
commedia, geniale nella conduzione che appare scorrevole ed essenziale,
originale e singolare nella sceneggiatura, esilarante e coinvolgente per lo
spettatore. Esso tratta un tema attualissimo, quello dei precari intellettuali
esistenti nel nostro paese, a cui è negata ogni possibilità lavorativa. Nessuno
li reclama né il mondo della ricerca né il mondo della manovalanza spicciola. Un’amara
realtà drammatica che vivono i giovani del nostro tempo quotidianamente. Tant’è!
E la storia ivi raccontata lo dimostra.
Pietro Zinni (Edorado Leo), un bravo
ricercatore universitario, viene licenziato per mancanza di fondi, venendo a
perdere cinquecento euro mensili (!) che gli davano la possibilità di
sopravvivere e di sostenere, ma non in modo esaustivo, tutte le spese
condominiali della casa dove abita assieme alla sua compagna Giulia (Valeria Solarino) che fa l’assistente
sociale. Nell’impossibilità di trovare lavoro, essendo neurobiologo, all’insaputa
di Giulia, inventa un elaborato processo chimico che gli consente di produrre,
partendo da una sostanza naturale, l’eugenolo, una nuova droga, che ha il
vantaggio di essere “legale”, dato che la molecola prodotta non è contenuta
nell’elenco ministeriale delle droghe illegali. Per fare questo e per il
conseguente spaccio coinvolge altri suoi colleghi, anche loro ricercatori
precari che si arrangiano con dei miseri lavori non confacenti alle loro
rispettive professionalità, Mattia (Valerio Aprea), Andrea (Pietro Sermonti),
Arturo (Paolo Calabresi), Bartolomeo
(Libero de Rienzo), Alberto (Stefano Fresi), Giorgio (Lorenzo Lavia). Un gruppo
di amici, “i magnifici sette” si potrebbe dire, con competenze varie che vanno
dalla macroeconomia all’antropologia, dalle lettere classiche alla’archeologia,alla
chimica, che si adoperano magnificamente mettendo in campo le rispettive
conoscenze e abilità professionali. Entrano tutti, ovviamente, in una spirale
dove il successo risulta immediato ma urta con gli interessi del locale boss, un
trafficante di droga, violento e brutale, soprannominato Murena (Neri Marcorè),
anche lui una volta ricercatore precario.
Quando si entra in questa spirale è
possibile smettere quando si vuole? Allo spettatore l’ardua risposta.
“Smetto quando voglio”,
oltre ad essere un film divertente, ha un’alta valenza educativa in quanto e,
anche se in maniera spiritosa, mostra il dramma attuale vissuto dai giovani
intellettuali del nostro paese che si giocano anche ciò che c’è di più sacro in
un individuo: la libertà, pur di continuare a “campare”.
Francesco Giuliano
martedì 18 febbraio 2014
Sorrentino conquista Londra
Un nuovo trionfo per Paolo Sorrentino, gli regista napoletano, con il suo capolavoro, "La Grande Bellezza" vince anche il premio Bafta, il principale riconoscimento cinematografico inglese come miglior film straniero.
Sorrentino è il primo italiano a vincere il premio (che è stato assegnato a Londra nello scorso fine settimana) dopo massimo Troisi, che già defunto aveva trionfato nel 1994 il "Postino".
Si alimentano così le speranze per la notte degli Oscar e una ampia parte della critica cinematografica inglese e americana considera come reali le possibilità di un trionfo a Los Angeles.
C'è spazio per sognare.
http://stanzedicinema.com/tag/paolo-sorrentino/
http://www.elantepenultimomohicano.com/2013/04/la-grande-bellezza-trailer.html
https://www.facebook.com/pages/Paolo-Sorrentino/179611012120846?ref=hl
Sorrentino è il primo italiano a vincere il premio (che è stato assegnato a Londra nello scorso fine settimana) dopo massimo Troisi, che già defunto aveva trionfato nel 1994 il "Postino".
Si alimentano così le speranze per la notte degli Oscar e una ampia parte della critica cinematografica inglese e americana considera come reali le possibilità di un trionfo a Los Angeles.
C'è spazio per sognare.
Paolo Sorrentino, vincitore Londra del Premio Bafta |
La Grande Bellezza, l' ultimo film di Paolo Sorrentino |
http://www.elantepenultimomohicano.com/2013/04/la-grande-bellezza-trailer.html
https://www.facebook.com/pages/Paolo-Sorrentino/179611012120846?ref=hl
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giovedì 13 febbraio 2014
La Mossa del Pinguino. Claudio Amandola esordisce alla regia.
"La Mossa del Pinguino" è una commedia prodotta nel 2013 e in uscita nelle sale il 6 Marzo del 2014, il vede alla regia un esordiente, nel ruolo, Claudio Amendola; nel cast partecipano Ricky Memphis, Francesca Inaudi, Eduardo Di Leo e Ennio Fantastichini.
La trama racconta l' avventura di quattro uomini che ormai prossimi alla mezza età insoddisfatti e scontenti decidono di inseguire il sogno olimpico dopo aver scoperto una disciplina particolare come il Curling.
Ci riusciranno, ma solo dopo roccambolesche avventure.
Il film è divertente, ma banale, si tratta della classica commedia a lieto fine, prima di pretese intellettuali.
Ecco il Trailer
La trama racconta l' avventura di quattro uomini che ormai prossimi alla mezza età insoddisfatti e scontenti decidono di inseguire il sogno olimpico dopo aver scoperto una disciplina particolare come il Curling.
Ci riusciranno, ma solo dopo roccambolesche avventure.
Il film è divertente, ma banale, si tratta della classica commedia a lieto fine, prima di pretese intellettuali.
Ecco il Trailer
Claudio Amendola, La Mossa del Pinguino |
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La leggenda del Santo Bevitore.
"La Leggenda del Santo Bevitore" è un bellissimo film del 1988, diretto da Ermanno e ispirato a un racconto del grandissimo scrittore austriaco Joseph Roth.
Il romanziere scrisse il racconto durante gli ultimi giorni della sua vita, mentre completamente alcolista aspettava la morte un albergo dei poveri di Parigi.
Il Film ha vinto numerosi premi, tra i quali ricordiamo due Leoni d' Oro a Venezia e vari David di Donatello e Nastri d' Argento.
La trama racconta di ultimi giorni della vita Andreas Kartack, un uomo povero, onesto e alcolizzato che riesce a terminare la sua esistenza degnamente grazie alla generosità di alcuni benefattori.
Olmi riesce a descrivere mirabilmente la mistica fine di Andreas e a riproporci il sogno di quella morte umana di Joseph Roth tanto desiderata da trasformarsi in un libro meraviglioso libro.
La Leggenda del Santo Bevitore, Ermanno Olmi |
Foto di Proprietà di:
http://www.ivid.it/fotogallery/ismod_index.php?i_section=detail&i_categoria=1&i_id=289602
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mercoledì 12 febbraio 2014
Sorrentino arriva l' Endosement di Tornatore
Sono molti a credere che Paolo Sorrentino abbia possibilità reali di vincere il premio Oscar per miglior film in lingua straniera, tra in tanti c'è né uno un po` più speciale degli altri:
Giuseppe Tornatore, il regista di tanti capolavori, tra i quali possiamo ricordare "Nuovo Cinema Paradiso" vincitore del Oscar nel 1990.
Il regista siciliano ha dichiarato in una intervista rilasciata nel mese di Gennaio "sono molto contento e credo che Paolo Sorrentino con "La Grande Bellezza" abbia molte possibilità".
Aumenta intanto l' attesa per la notte degli Oscar e presto scopriremo se un italiano tornerà a trionfare negli States.
Giuseppe Tornatore, il regista di tanti capolavori, tra i quali possiamo ricordare "Nuovo Cinema Paradiso" vincitore del Oscar nel 1990.
Il regista siciliano ha dichiarato in una intervista rilasciata nel mese di Gennaio "sono molto contento e credo che Paolo Sorrentino con "La Grande Bellezza" abbia molte possibilità".
Aumenta intanto l' attesa per la notte degli Oscar e presto scopriremo se un italiano tornerà a trionfare negli States.
La Grande Bellezza, Paolo Sorrentino |
Giuseppe Tornatore |
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"Razza Bastarda", l' esordio alla regia di Alessandro Gassmann
La carriera di regista di Alessandro Gassmann inizia con un film drammatico "Razza Bastarda" che racconta la dura e porca vita alcuni immigrati rumeni nella periferia romana.
"Razza Bastarda" si ispira a un testo teatrale realizzato nel 1984 da un autore cubano, Renato Poivold , ambientato negli anni 60 nel Bronx e portato a Broadway da Robert De Niro per 6 settimane.
Gassmann ha spiegato nella conferenza stampa di presentazione che alcune periferie, nel caso il quartiere casilino a Roma, ormai assomigliano terribilmente alla periferia americana di quegli anni.
La trama racconta la drammatica vicenda di Roman (interpretato dallo stesso Alessandro Gassmann) che arrivato in Italia da 30 anni vive una vita fatta di spaccio e piccola delinquenza. L'unica cosa che riesce a regalargli felicità è l'amore per il figlio, Nicu (Giovanni Ansaldo) al quale vorrebbe regalare una esistenza migliore, allo stesso tempo Nicu si vergogna del padre che cerca di nascondere alla fidanzatina.
"Razza Bastarda" è un film triste e emozionante, dove si intrecciano affetto e criminalità; giustizia sociale e delitto. Alessandro Gassmann riesce a raccontare l' amore degli emarginati e a farci domandare cosa sia davvero la cattiveria.
Alessandro Gassmann, il Regista di "Razza Bastarda" |
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martedì 11 febbraio 2014
Carlo Virzi, il fratello musicista
Carlo Virzi è stato per 4 anni il cantante e chitarrasta del gruppo Snaporaz, una band livornese di musica Indi-Rock che ha ottenuto un grande successo tra gli appassionati del genere.
Carlo Virzi è anche l' Autore delle musiche di tutti i film del fratello Paolo e il Regista due film di basso successo: "l'Estate del mio Primo Bacio" e il "Più Grande di Tutti".
Di lui apprezzo soprattutto la collaborazione con il fratello nella realizzazione di quei film come Ovosodo hanno avuto una parte importante all'interno della commedia italiana e che fanno di loro una delle famiglie più importanti della nostra cultura cinematografica.
Carlo Virzi è anche l' Autore delle musiche di tutti i film del fratello Paolo e il Regista due film di basso successo: "l'Estate del mio Primo Bacio" e il "Più Grande di Tutti".
Di lui apprezzo soprattutto la collaborazione con il fratello nella realizzazione di quei film come Ovosodo hanno avuto una parte importante all'interno della commedia italiana e che fanno di loro una delle famiglie più importanti della nostra cultura cinematografica.
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"Il Capitale Umano", il Nord-est secondo Virzi
L' uscita nelle sale del "Capitale Umano", l`ultimo film di Paolo Virzi, avvenuta nelle sale nel Gennaio del 2014, è stata accompagnata da numerose polemiche.
Nella sua ultima opera il regista torinese si ispira a un omonimo libro Stephen Amidon e racconta un Nord-Est decaduto e corrotto, dove la coscienza è muta di fronte ai peccati della avarizia.
Buona parte della comunità brianzola ha attaccato duramente il regista considerandolo colpevole di realizzare una visione distorta della loro terra e a mio parere dimenticando che il film non descrive una verità assoluta, ma solo un aspetto di una realtà complessa,
Virzi è bravissimo a descrivere un dramma e una decadenza territoriale che non deve però farci dimenticare quella parte di capitalismo sano e produttivo che ancora tiene in piedi il nostro paese.
Nella sua ultima opera il regista torinese si ispira a un omonimo libro Stephen Amidon e racconta un Nord-Est decaduto e corrotto, dove la coscienza è muta di fronte ai peccati della avarizia.
Buona parte della comunità brianzola ha attaccato duramente il regista considerandolo colpevole di realizzare una visione distorta della loro terra e a mio parere dimenticando che il film non descrive una verità assoluta, ma solo un aspetto di una realtà complessa,
Virzi è bravissimo a descrivere un dramma e una decadenza territoriale che non deve però farci dimenticare quella parte di capitalismo sano e produttivo che ancora tiene in piedi il nostro paese.
Il regista Paolo Virzi |
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Un Italiano agli Oscar
Sette anni dopo l' ultima Nomination di Cristina Comencini e quattordici anni dopo il trionfo di Roberto Benigni, un altro italiano è in corsa per il Premio Cinematografico più importante: l' Oscar.
Paolo Sorrentino si presenta a Los Angeles con la candidatura al Premio per miglior Film straniero, forte del trionfo ai Golden Globe. Lo fa con una pellicola, "La Grande Bellezza" descrive una Roma allo stesso tempo mistica e moderna, popolare e poetica e lo fa con cast di attori italiani.
Per aggiudicarsi l' Oscar dovrá superare film di grande livello come la produzione cambogiana "The Missing Picture" e la belga "The Broken Circle Breakdown".
Chissà se il rilancio del Made in Italy non debba passare per il Cinema.
Paolo Sorrentino si presenta a Los Angeles con la candidatura al Premio per miglior Film straniero, forte del trionfo ai Golden Globe. Lo fa con una pellicola, "La Grande Bellezza" descrive una Roma allo stesso tempo mistica e moderna, popolare e poetica e lo fa con cast di attori italiani.
Per aggiudicarsi l' Oscar dovrá superare film di grande livello come la produzione cambogiana "The Missing Picture" e la belga "The Broken Circle Breakdown".
Chissà se il rilancio del Made in Italy non debba passare per il Cinema.
La Grande Bellezza |
La Grande Belleza, Locandina in spagnolo |
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giovedì 6 febbraio 2014
I parenti serpenti riemergono da “I segreti di Osage County”
Titolo: I segreti di Osage County
Titolo originale: August: Osage County
Regia: John
Wells
Sceneggiatura:
Tracy Letts
Produzione: USA 2013
Cast: Meryl Streep, Julia Roberts, Ewan McGregor, Chris
Cooper, Juliette Lewis, Abigail Breslin, Benedict Cumberbatch, Margo Martindale, Dermot Mulroney, Sma Shepard, Misty
Upham, Will Coffey, […]
Le prime
immagini del film “I segreti di Osage County” (2013) ritraggono un paesaggio
dell’Oklahoma, immenso, secco, caldissimo, asfissiante, spoglio di alberi, che
ben si adatta alla citazione del drammaturgo T.S. Eliot, premio Nobel per la
Letteratura (1948), fatta dal vecchio poeta Beverly Weston (Sam Shepard)
che abita, in una casa di quel territorio desolato, assieme alla moglie Violet
Weston (Meryl Streep). Non è un caso che sia stato citato il grande poeta
americano che ha scritto diversi poemi, tra cui “Gli uomini vuoti” da cui, parafrasando
alcuni versi “gli occhi non sono
qui/ qui
non vi sono occhi/ in questa valle di
stelle morenti/ in questa valle vuota/
questa mascella spezzata dei nostri regni
perduti/ in quest'ultimo dei luoghi
d'incontro/ noi brancoliamo insieme/
evitiamo di parlare/ ammassati su questa riva del tumido fiume/ privati della vista, a meno che/ gli occhi non ricompaiano/ come la stella perpetua/ rosa di molte foglie/ del regno di tramonto della morte/ la
speranza soltanto/ degli uomini vuoti.”,
si evince la premessa del dramma che si svolgerà nel film. Un’anticipazione
questa che lascia presagire i momenti funesti e ricchi di travaglio interiore
che gravitano attorno a Violet, malata di tumore alla bocca, che fuma in modo
insensato e si rifornisce continuamente di psicofarmaci come se fossero
caramelle. Continui sproloqui e pesanti scenate con il marito Beverly
evidenziano il suo precario stato di salute mentale e la sua scarsa sensibilità,
o meglio la sua aridità d’animo come l’ambiente in cui vive. A dirla con le
parole di Ian McWan, tratte dal romanzo “Bambini nel tempo” tra moglie e marito “Ormai non esisteva più alcun conforto reciproco,
alcun contatto, non un gesto d’amore. L’antica intimità, il consolidato assioma
in base al quale loro due stavano dalla stessa parte, non valeva più.
Rimanevano avvinghiati al loro smarrimento e taciti rancori incominciarono a
crescere”,
tant’è che Beverly per la sua spiccata
sensibilità e per la perdita della capacità di sopportare la moglie scompare. Ovviamente, Violet avvisa
le tre figlie Barbara (Julia Roberts), Karen (Juliette Lewis) e Ivy (Julianne
Nicholson) della scomparsa del marito, il cui corpo sarà ritrovato subito dopo esanime nel lago dove si recava spesso a
pescare. Un evento funesto che determina il ricongiungimento di tutti i
componenti della famiglia, compresa la sorella Mattie Fae
Aiken (Margo
Martindale) con il
marito Charlie Aiken (Chris Cooper), una specie di ritorno al passato,
da cui deriva una miscellanea di fatti tra presente e passato dove “Il tempo presente e il tempo passato sono forse
presenti entrambi nel tempo futuro. E il tempo futuro è contenuto nel tempo
passato”
proferendo sempre le parole del citato T.S. Eliot nei “Quattro quartetti”.
Dagli incontri e
dagli scontri che si susseguono, si viene a creare tra i vari parenti, quei “parenti
serpenti” che descrive magnificamente e
con grande accuratezza nell’omonimo film (1992) Mario Monicelli, un’emulsione
di sentimenti opposti, anche di amore e di odio, inibiti e repressi da cui
emergono dei “segreti” terribili che, aggiunti ad un comportamento
esageratamente opprimente di Violet, determinano una tale diaspora che Violet perderà
anche Ivy l’unica figlia che fino ad allora era rimasta con lei, e rimarrà
sola, accompagnata dalla badante indiana, cheyenne, Johanna Monevata (Misty Upham), l’unica
donna, tra tutte, che mostrerà di possedere e salvaguardare tutti quei valori
umani ancestrali che sono stati persi per sempre dalla società moderna.
Il film,
magistralmente diretto da John Wells e
tratto dall’opera teatrale “August: Osage County”, che ha vinto il Premio
Pulitzer (edita da BUR – Rizzoli), ha visto due magnifiche attrici, Meryl Steep
e Julia Roberts, che ancora una volta hanno mostrato tutta la loro bravura
tant’è che la prima ha ottenuto la nomination come migliore attrice
protagonista sia al Premio Oscar 2014 che al Golden Globes 2014, mentre la
seconda ha avuto, oltre ai premi citati prima, anche la nomination come
migliore attrice non protagonista al BAFTA (British Academy of Film and Television Art) 2014.
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venerdì 31 gennaio 2014
Il film “La gente che sta bene” di Patierno non ha l’effetto sperato e un po’ delude
Titolo: La gente che
sta bene
Regia: Francesco
Patierno
Soggetto: Federico Baccomo
Sceneggiatura: Francesco
Patierno, Federico Baccomo, Federico
Favot
Produzione: Italia 2014
Cast: Claudio Bisio,
Margherita Buy, Diego Abatantuono, Jennipher Rodriguez, Laura Baldi, Matteo
Scalzo, Carlo Buccirosso, Carlotta Giannone, […]
Questo film, tratto
dall’omonimo romanzo di Federico Baccomo, edito da Marsilio, descrive la vita e
le peripezie di un avvocato milanese Umberto Dorloni (Claudio Bisio), né
penalista, né civilista, ma tutto fare a suo insindacabile giudizio, che mostra
il suo carattere cinico e sprezzante dei sentimenti altrui. Un avvocato come
lui cosa fa? Parla, parla, parla! E Dorloni parla sempre, esprime le sue opinioni
in modo continuo e opprimente tale da contrastare quelle della moglie Carla
(Margherita Buy) che, non sopportando le imposizioni del marito nei suoi
confronti ed impossibilitata ad esprimersi apertamente, se ne distacca anche se
per un breve periodo. Dorloni non riesce neppure a fare presa sui figli. È un
grande egoista e un carrierista senza turbamenti e senza incertezze che, quando
si tratta di licenziare qualcuno alle sue dipendenze, lo fa dicendo che bisogna
guardare al futuro, essere ottimisti. Ma come si sa, in questo periodo di crisi
economica, quello che oggi succede ai dipendenti, domani capita ai dirigenti. E
così avviene. Dorloni, in un batter d’occhio, si trova in mezzo ad una strada. Potrebbe
riacquistare il ruolo perduto presso un’altra
società, di cui fa parte un altro avvocato con il suo stesso modo di essere,
Patrizio Piazzesi (Diego Abatantuono), ma una crisi di coscienza lo fa
rinsavire. “La gente che sta bene” parla della perdita dei valori della nostra
società caratterizzata da un degrado morale senza precedenti, che crede
soltanto nel Dio-denaro, ma è un film che non esprime carattere, è ossessivo e tedioso, tant’è che attori come la Buy e
Abatantuono ne escono perdenti. Non regge il confronto, ovviamente, con “La
grande bellezza” (2013) di Paolo Sorrentino, né con “Il capitale umano” di Paolo
Virzì (2014), senza parlare poi dell’ultimo capolavoro di Martin Scorsese “The
wolf of Wall Street” (2013), tutti film che affrontano gli stessi temi
magnificamente.
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martedì 28 gennaio 2014
Il film “Tutta colpa di Freud” è una commedia briosa che fa presa sul pubblico
Titolo: Tutta colpa di
Freud
Regia: Paolo Genovese
Soggetto: Paolo
Genovese, Leonardo Pieraccioni, Paola Mammini
Sceneggiatura: Paolo
Genovese
Produzione: Italia 2014
Giudizio: ◊ ◊ ◊
Cast: Marco Giallini,
Anna Foglietta, Vittoria Puccini, Alessandro Gasman, Laura Adriani, Vinicio
Marconi, Claudia Gerini, Edoardo Leo, Maurizio Mattioli, Paolo Calabresi, Alessia
Barela, Gianmarco Tognazzi, Daniele Liotti,[…]
Tratto dall’omonimo
romanzo di Paolo Genovese (edito da Mondadori), questo film "Tutta colpa di Freud" appartiene a quel
genere di commedia italiana, spiritosa e briosa, molto gradita dal pubblico
italiano. Genovese che ne è anche il regista, con un cast eccellente di attori
che si muovono agilmente e che coprono magnificamente le parti loro assegnate, in modo intelligente e originale affronta, senza mai essere volgare e osceno e senza usare il consueto
linguaggio scurrile di alcuni film nostrani, il problema dell’identità sessuale,
o meglio quello dell’omosessualità, da cui risulta che questa non si può cambiare per decisione
razionale del soggetto; esamina con garbo, anche, l’infatuazione classica di
una spontanea diciottenne nei confronti di un cinquantenne sposato, dei suoi “sogni … immagini
riflesse, … specchio d'acqua
immobile”, che “svaniscono provandoli a toccare”, come recitano alcuni versi della bella canzone “Tutta colpa di
Freud” di Daniele Silvestri, che viene cantata durante alcune scene del film e
durante i titoli di coda.
Il film nel suo
evolversi sostiene con forza che l’instaurarsi dell’innamoramento non può
essere orientato dal settore in cui lavora una donna, perché non si hanno effetti
di riuscita (“L'amore ha
i denti, i denti mordono. Fanno male, lasciano cicatrici. E quelle cicatrici
non svaniscono più...”), ma che esso dipende da tutti quei fattori emotivi
e sentimentali che sorgono spontanei e che non possono essere repressi quando
si incontra la persona “giusta”. Inoltre, il film mette sul primo piano il ruolo
del padre che dovrebbe mantenere questo ruolo sempre, rinunciando a quella tendenza del
momento che lo indirizza a comportarsi da amico nei confronti dei propri figli.
Tutto viene sintetizzato
in alcuni versi della su citata canzone di Silvestri “… Degli incontri imprevisti,/ delle scelte
sbagliate, / dei dolori
pregressi, dei peccati commessi
una sera d'estate, / delle mille
promesse mancate. …”. Nel film, Marco Giallini ricopre
il ruolo magnifico di uno psicologo, Francesco, padre di tre figlie: Marta (Vittoria
Puccini), la figlia romantica, Emma (Laura Adriani), la figlia diciottenne e,
infine, Sara, la figlia lesbica (Anna Foglietta, che recita la sua parte
magnificamente).
Genovese va ricordato soprattutto
per il film “Una famiglia perfetta” (2012) con Sergio Castellitto per l’originalità
del tema affrontato e per il cast di attori splendidi: Claudia Gerini, Marco
Giallini e Carolina Crescentini.
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mercoledì 22 gennaio 2014
Violenza e amore sono gli ingredienti del film “C’era una volta a New York” di James Gray
Titolo: C’era una volta
a New York
Titolo originale: The
immigrant
Regia: James Gray
Sceneggiatura: James
Gray, Ric Menello
Produzione: USA 2013
Cast: Marion Cotillard,
Joaquin Phoenix, Jeremy Renner, Dagmara Dominiczyk, Angela Sarafyan, Jicky
Schnee, Yelena Solovey, Ilia Volok, Dee
Dee Luxe, Dylan Hartigan, […]
“C’era una volta a New
York” è un film che descrive l’America, in particolare, come si desuma dal
titolo, New York, agli inizi del secolo scorso e che affronta il tema annoso dell’immigrazione,
che si ripete puntualmente in diverse parti del mondo ma che si differenzia sia
nel tempo che nello spazio. Tema che è arricchito della miseria umana, della
solitudine che si prova nel mettere piede in una terra straniera, della
disperazione che costringe gli individui
a commettere atti che ledono la dignità personale, della corruzione e dello sfruttamento
dell’uomo nei confronti del più debole, della donna in particolare. Il film
inizia con la scena che inquadra gli immigrati sbarcati a Ellis Island, anticamera per accedere in America, che
vogliono dare un senso alla loro vita con la speranza di realizzare una vita
migliore. In migliaia provengono
dall’Europa, negli anni che seguono la fine della prima guerra mondiale che
aveva mietuto molte vittime e aveva esternato una violenza inaudita anche sulla
popolazione civile. Cosi come, ai tempi nostri, vengono in Europa tutti quei
poveracci, chiamati extracomunitari, dai loro paesi martoriati dalla guerra, paesi
come la Siria, l’Egitto, quelli del centro Africa, etc. etc.. Tra questi
immigrati si distingue una bella giovane donna polacca, Ewa Cybulski (Marion
Cotillard) che, assieme alla sorella Magda (Angela Sarafyn), vuole una vita
migliore di quella già vissuta nella miseria e nella violenza, dato che i
genitori sono stati decapitati senza motivo, durante la guerra, dai soldati. Fanno
ambedue la fila per la visita medica a Ellis Island. Purtroppo la sorella Magda
viene inviata in ospedale perché affetta da tubercolosi e lei, ritenuta donna
senza morale dato che sulla nave è stata violentata, deve essere rispedita in
Europa. In sua difesa sopraggiunge Bruno Weiss (Joaquin Phoenix), un uomo misterioso
e ambiguo che, pagando gli agenti profumatamente, la libera portandola con sé.
Da questo momento in poi, il film prende risvolti imprevedibili, con un
susseguirsi di colpi di scena che cambiano continuamente, che non danno nulla
di scontato e che lasciano lo spettatore in un continuo stato d’attesa. Ewa in
un primo momento si affida, anima e corpo, a Bruno che, nello squallore più
estremo, la sfrutta, poi decide di fuggire, ma non trova nessuno che l’aiuti, neppure
gli zii che, immigrati molti anni prima, godono di un’ottima posizione
economica, né tantomeno il prete da cui va a confessare i peccati commessi. Quest’ultimo
piuttosto che aiutarla, la redarguisce con appellativo di peccatrice. Vano e infausto
risulta anche l’intervento a suo favore del nuovo spasimante, il prestigiatore sfortunato Orlando (Jeremy Renner).
Il film si svolge in
una atmosfera che ricalca molto bene quella dell’inizio del secolo scorso ed elabora
un discorso che mette in risalto le condizioni disumane dei disperati e dei diseredati
che, come avviene ai giorni nostri, vengono vituperati e maltrattati nei paesi
ospitanti, ma evidenzia che il male viene accentuato soprattutto perché al
mondo esistono gli intrallazzatori, i corruttori e i corrotti. Temi questi
molto cari al regista James Gray che mette sempre in evidenza il labile
confine che esiste tra il bene e il male, così come ha fatto nel suo film d’esordio
“Little Odessa” (1994), e ancora in "The Yards" (2000) e ne “I padroni della
notte” (2007).
Marion Cotilalrd offre
un ritratto realistico e umano di Ewa Cybulski con la sua indiscussa bravura che,
in questo caso, non eguaglia quella magistrale marcata come interprete di Edith
Piaf nel film “La vie en rose” (2006) di Olivier Dahan.
Ottima anche la scelta
di Joaquin Phoenix che con il suo sguardo penetrante e ambiguo sostiene bene la
parte di Bruno Weiss e che non si distacca da ciò che costituisce il perno centrale
attorno a cui ruotano i film di Gray.
domenica 19 gennaio 2014
Roberto Faenza in “Anita B.” narra la lotta di una giovane donna contro lo strapotere del maschio
Titolo: Anita B.
Regia:
Roberto Faenza
Soggetto: Edith Bruck
Produzione: Italia,
USA, Ungheria, 2014
Cast: Eline Powell,
Robert Sheehan, Andrea Osvart, Antonio Cupo, Nico Mirallegro, Clive Riche, Guenda Gloria, Moni Ovadia, Jane
Alexander, […]
Il film è tratto dal romanzo "Quanta stella c'è nel
cielo" di Edith Bruck e racconta le vicissitudini di Anita (Eline Powell),
una ragazza ebrea, di origine ungherese, internata, assieme ai genitori, nel
campo di sterminio di Auschwitz durante la seconda guerra mondiale, e per
fortuna scampata all’eccidio, a differenza dei genitori. Subito dopo la guerra
(1945), Anita viene accolta nella casa della zia Monika (Andrea Osvart), in Cecoslovacchia, dove
le è fatto divieto assoluto di parlare del passato e delle inaudite violenze
che gli ebrei hanno sofferto nei campi di sterminio nazisti. Vedendo il film emergono
conseguentemente due posizioni, a cui lo spettatore è chiamato a rispondere. Sarà preferibile non ricordare il passato, annullarlo
come se nulla fosse avvenuto, per non far soffrire ulteriormente chi è
sopravvissuto alle atrocità naziste e per non far angosciare i nascituri o i
neonati, opinione questa sostenuta dalla zia Monika, oppure il
passato non dovrà essere cancellato, anche se il ricordo ripristina nell’animo della
gente il dolore sofferto, per evitare che si riverifichi l’orrenda barbarie
dei nazisti sofferta dagli scampati, che è la posizione di Anita?
Un’altra domanda che lo spettatore si pone, durante lo
scorrere della pellicola, è quella relativa all’attaccamento e alla simpatia che
si instaurano tra un uomo e una donna. Dove sta il confine tra il sentimento
che si chiama amicizia - quello che
Anita sente per David (Nico Micallegro) - e quello che si chiama amore, che determina il
concepimento di un figlio conseguente al rapporto sessuale tra Anita e Eli
(Robert Sheehan), il fratello dello zio Aron (Antonio Cupo), con il quale la
ragazza divide la stanza da letto? E un’altra domanda ancora che il film pone
allo spettatore: Può una madre abortire contro la sua volontà per soddisfare le
pretese del padre? Meno male che a questo mondo non sempre il male predomina sul
bene, così come è avvenuto purtroppo durante il triste periodo che ha visto l’Europa
insanguinata per colpa della violenza nazista e dell’ignoranza fascista. Capita
talvolta che, quando si è persa ogni
speranza, si incontrano persone positive, caratterizzate cioè da profonda umanità e grande sensibilità,
come il medico ginecologo (Clive Riche), che danno aiuto e vigore a chi si
trova dinanzi a gravi impedimenti.
Anita, pur essendo giovane, dimostra di avere una forza d’animo
eccezionale e determinata che cerca, così come Sabina nel film “Prendimi l’anima”
(2003) diretto dallo stesso regista, di far emergere la propria identità lottando
strenuamente contro i pregiudizi e lo strapotere del maschio.
sabato 11 gennaio 2014
Mediocrità e squallore sono i caratteri dell’italica gente descritti dal film “Il capitale umano” di Paolo Virzì
Titolo: Il capitale umano
Regia: Paolo Virzì
Soggetto: Amidon Stephen
Sceneggiatura: Francesco Bruni, Francesco Piccolo, Paolo Virzì
Produzione: Italia, Francia, 2014
Cast: Fabrizio Bentivoglio, Valeria Bruni Tedeschi, Fabrizio Gifuni, Valeria
Golino, Matilde Gioli, Luigi Lo Cascio, Giovanni Anzaldo, Guglielmo Pinelli,
Gigio Alberti, Bebo Storti, Vincent Nemeth, Pia Engleberth, Nicola Cnetonze, […]
Andando a vedere questo film, e non avendo ancora letto il libro “Human
capital”, dello scrittore americano Stephen Amidon, da cui è tratto, ho essenzialmente
scoperto che ogni individuo, quando è in vita possiede in
sé un “capitale umano” che non è lo stesso per tutti ma è variabile, dipende
cioè dallo stato sociale di appartenenza, dall’età, dal “merito”, dalla sua
speranza di vita. Anzi, esso si differenzia e dipende da alcune peculiarità
individuali che variano da individuo a individuo, in quanto per la sua determinazione
si tiene conto del lavoro che egli svolge, della qualità e della quantità di
ciò che produce, del ceto sociale, del ruolo che occupa nella società, etc.
etc.. Per cui un pensionato o cameriere, ad esempio, possiedono un bassissimo
capitale umano pressoché nullo, soprattutto se appartengono ad un ceto sociale
molto basso. Da ciò risulta che, anche se in uno stato come il nostro vige l’assioma
che tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge, viene contraddetto uno
dei fondamentali principi su cui si basa uno stato così detto “democratico”.
“Il capitale umano” è l’undicesimo
film di PaoloVirzì, dopo una costellazione di successi a partire da “La bella vita”
(1994), e a seguire da “Ferie d’agosto” (1996), “Ovosodo” (1997), “Baci e
abbracci” (1999), "My name is Tonino" (2002) “Caterina va in città” (2003), "N (Io
e Napoleone)" (2006), "Tutta la vita davanti" (2008), "La prima cosa bella" (2010),
per finire con “Tutti santi giorni” (2012). A differenza dei precedenti film,
in cui Virzì descrive ed elabora, con perspicacia, bravura e ardire, i ritratti
comici e meno comici particolari del variopinto carattere della gente italica, ne
“Il capitale umano” (il migliore in assoluto tra i suoi ottimi film) sottolinea,
con una professionalità tale che lo porta ai massimi livelli tra i registi
italiani attuali, i tratti distintivi molto diffusi, i quali in circa un
ventennio si sono consolidati nella maggior parte della gente, e cioè un’ima mediocrità
da far paura, un’avidità sfrenata, un arrivismo incontrollabile per raggiungere un prestigio sociale squallido e
insensato, privo di valori, di punti di riferimento certi e indiscutibili e anche
di umanità. Soprattutto, emerge la perdita dei legami culturali con il passato
(non è un caso che in un gruppo di lavoro viene messa in discussione anche l’importanza
di uno scrittore come Luigi Pirandello, premio Nobel 1934 per la Letteratura,
mentre viene dato risalto ad un coro canoro) di “… un popolo che distrugge i resti del proprio passato … soffoca la
propria anima, annienta la propria identità, si svuota di significato, non può
acquisire i valori umani a fatica conquistati nel tempo dai suoi progenitori,
rimane privo di sentimenti (dal racconto “IV – Hydra” de “I sassi di Kasmenai”
ed. Il foglio, 2008). E per evidenziare
questi caratteri salienti contrassegnati di elevata negatività, il regista crea,
con grande maestria e oculatezza, personaggi come quello dell’immobiliarista Dino
Ossola (Fabrizio Bentivoglio), figura molto caricata sino all’inverosimile, o come
quello dell’imprenditore Giovanni Bernaschi (Fabrizio Gifuni), o ancora come
quella del professore intellettualoide Donato Russomanno (Luigi Lo Cascio),
facendoli muovere in uno spettacolare teatrino del non senso, dove la donna
matura, tra cui Carla Bernaschi (Valeria Bruni Tedeschi) o la psicologa Roberta
Morelli (Valeria Golino), appare molto debole, poco determinante, e succube
dell’uomo. Diciamo, però, che una speranza di cambiamento di rotta da questo
disumano status quo, dove a soccombere sono sempre i meno furbi e i più deboli
e dove il ricco o il furbo diventano sempre più ricchi, Virzì lo ripone nei
giovani che cercano di ribellarsi ad esso, come cerca di fare Serena Ossola (Matilde
Gioli).
“Il capitale umano” è film dai connotati particolari con una
sceneggiatura originale, dove la stessa storia viene vista da tre visuali
diverse (quella di Dino, quella di Carla e quella di Serena), che si inquadra egregiamente
tra il genere noir e la commedia italiana.
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mercoledì 8 gennaio 2014
“Col fiato sospeso” è un film denuncia sulla sicurezza di alcuni laboratori di ricerca universitari
Titolo: Col fiato
sospeso
Regia: Costanza
Quatriglio
Sceneggiatura: Costanza
Quatriglio
Produzione: Italia 2013
Cast: Alba Rohrwacher,
Anna Balestrieri, Michele Riondino, Gaetano Aronica
Un film “Col fiato
sospeso”, trasmesso su RaiTre in seconda serata, ieri, è condotto dalla brava
regista palermitana Costanza Quatriglio con lo stile del documentario, anche se non è un documentario nel
senso stretto della parola, dove molte immagini sostituiscono con sagacia ed
efficacia le parole. Il cast è costituito da pochissimi attori, tra cui spicca
in primissimo piano la bravissima Alba Rohrwacher, che interpreta la
parte di Stella, una studentessa
universitaria, laureanda in farmacia che per la sua tesi viene inserita in un
laboratorio sperimentale per svolgere il relativo lavoro di ricerca
sovvenzionato da un’industria farmaceutica. Stella viene subito attratta dallo
studio della chimica, una materia affascinante e coinvolgente, che incanta e
che al tempo stesso intimidisce, che come in una tela del ragno l’afferra e non
la molla più, e che per certi aspetti è misteriosa. Questa materia, che affonda
le sue radici nell’antica alchimia, a Stella forse, come a Primo Levi, nel suo
racconto “Idrogeno” tratto da “Il sistema periodico”, “… rappresentava una
nuvola indefinita di potenze future, che avvolgeva il mio avvenire in nere
volute lacerate da bagliori di fuoco. Come Mosè, da quella nuvola attendevo la
mia legge, l’ordine in me, attorno a me e nel mondo. … per dragare il ventre
del mistero”. La studentessa lavora in quel laboratorio, attratta dalle
continue scoperte che fa, dalla mattina alla sera ininterrottamente, andando
incontro inconsapevolmente a dei rischi seri, in generale, ma, in particolare, a
dei rischi latenti per la salute, così come racconta ancora Primo Levi “… Ci fu
un’esplosione, piccola ma secca e rabbiosa. … a me tremavano un po’ le gambe;
provavo paura retrospettiva, e insieme una certa sciocca fierezza, per aver
confermato un’ipotesi, e per aver scatenato una forza della natura. Era proprio
idrogeno…” . Poco alla volta, però, Stella si rende conto che il laboratorio di
chimica è insalubre e tutto il tempo ivi trascorso le può essere nocivo, tant’è
che qualche volta è presa da svenimenti. L’evento, però, viene sottovalutato
come tante altre volte, perché “il concetto di veleno è connesso con la quantità” gli dice il suo
professore. Trascurando il fatto che composti, come il benzene o l’amianto o
come qualunque altra sostanza incognita ivi prodotta, altamente cancerogeni o
potenzialmente tali, dovrebbero essere usati con le dovute precauzioni e con le
adeguate attrezzature che un laboratorio di ricerca, degno di questo nome,
dovrebbe avere. “Sarà stata una strana coincidenza” le verrà detto, “perché la
causa del suo malore non potrà essere addossata al laboratorio, perché in esso
ci lavorano anche figli degli stessi docenti universitari”. La sua amica Anna (Anna
Balestrieri) cerca invano di
convincerla di lasciare quella ricerca e quindi di allontanarsi da quel
laboratorio. Tale scelta la porterà ad un amaro epilogo, lo stesso toccato, prima
di lei, ad un dottorando di ricerca, Emanuele (voce narrante Michele
Riondino), il cui nome si collega ad Emanuele Patané, il giovane morto di tumore
ai polmoni nel 2003, che aveva già
percorso la sua stessa strada.
Questo è un film-denuncia sulla conduzione di taluni
laboratori di ricerca universitari, in
cui non si tiene conto della salubrità ambientale e del rispetto di tutte
quelle norme esistenti in Italia da circa un sessantennio e successive integrazioni,
secondo cui gli studenti italiani sono equiparati per ciò che riguarda i tempi
di lavoro e il rispetto delle norme di sicurezza a tutti gli altri lavoratori.
Il film è stato presentato al Festival del Cinema di Venezia
2013.
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domenica 5 gennaio 2014
Il film “American Hustle” basato su fatti realmente accaduti è stato concepito in chiave pirandelliana
Titolo: American Hustle – L’apparenza inganna
Titolo originale : American Hustle
Regia: David O. Russell
Sceneggiatura: David O. Russell, Eric Warren Singer
Produzione: USA 2013
Cast: Christian
Bale, Amy Adams, Bradley Cooper, Robert De Niro,Jeremy Renner, Jennifer
Lawrence, Jack Huston, Louis C.K., Michael Peña, Alessandro Nivola, Adrian
Martinez, Elisabeth Rohm, […]
Come sosteneva il
grande Luigi Pirandello, premio Nobel per la Letteratura (1934) “non ci
fermiamo alle apparenze, ciò che inizialmente ci faceva ridere adesso ci farà
tutt'al più sorridere”, questo film “American Hustle (trad. Caos americano) –
L’apparenza inganna” gioca continuamente con “il sentimento del contrario”, che
è congruo in modo parossistico con l’umorismo quale strumento che mette a nudo
la fragilità umana in tutti i sensi. Il film, prendendo lo spunto da fatti realmente accaduti negli Stati
Uniti a partire dal 1978, tratta di un indagine poliziesca (FBI) che portò, con
l’aiuto di una coppia di abilissimi truffatori all’arresto di alcuni membri
(deputati e senatori) del Congresso, e fa vedere cosa avviene dietro le quinte
del teatrino politico per acquisire mazzette e cose del genere. Per cui sarebbe
auspicabile che la visione di “America Hustle – L’apparenza inganna” fosse prescritta
a tutti quei politici di casa nostra, corrotti, dotati di una sfrontata e
insuperabile arroganza e carenti di un bruscolo di dignità, il cui insano
comportamento va oltre ogni umana decenza e suscita intolleranza e disgusto
nell’elettore. La coppia di intrallazzatori, che nel film è interpretata
egregiamente da Christian Bale, nella parte di Irving Rosenfeld, e da Amy Adams,
che interpreta Sydney Prosser, viene costretta dal poliziotto FBI, Richie
DiMaso (Bradley Cooper), a collaborare, pena la detenzione per i crimini
commessi in flagranza di reato. Lo scopo è quello di incastrare politici
corrotti come il sindaco Carmine Polito (Jeremy Renner) e mafiosi tra cui il
temutissimo e pericoloso Victor Tellegio (Robert De Niro). Tuttavia, l’uso degli
imbroglioni e dei malfattori per scopi legittimi a volte, anzi sempre, funziona
come un boomerang che manda all’aria la dignità e la reputazione personali di
chi si impegna per sconfiggere il malaffare.
Come nei suoi film precedenti “The Figther” (2011), dove troviamo
la brillante coppia Christian Bale/Amy Adams, e “Il lato positivo – Silver
Linings Playbook” (2012), interpretato da Bradley Cooper, Robert
De Niro e l’esplosiva Jennifer Lawrence (che ottenne il premio Oscar 2012, come migliore attrice), così in quest’ultimo
film, il regista David O. Russell, ancora una volta, mostra i suoi protagonisti
come individui che, presentando una, nessuna o centomila maschere - parafrasando
il titolo di un romanzo pirandelliano -, cercano di cambiare la propria
posizione individuale e sociale con un succedersi di
fatti spesso bizzarri, ma soprattutto imprevedibili e per niente scontati.
Riesce
difficile catalogare questo film perché le sue peculiarità e i suoi tratti
distintivi sono molteplici e, per taluni aspetti, indefinibili così come le
maschere pirandelliane. Essi vanno dal comico all’umoristico, dall’ironico al
drammatico, dal sentimentale al divertente, dall’emozionante al grottesco, dal
realistico al paradossale. È un film ben recitato e gli attori, tutti
bravissimi, interpretano ciascuno la loro parte in modo magistralmente
credibile ed eccellente. I dialoghi, inquadrati in brani musicali
dell’epoca scelti oculatamente, risultano travolgenti, prorompenti e
interessanti creando un incessante turbinio continuo che costringe lo
spettatore a seguire dettagliatamente ogni parola, ogni sguardo, ogni azione
per evitare di perdere il filo del discorso.
Il film ha ottenuto già 7 nomination Golden Globe, 8 nomination
Satellite Awards ed è in odore di nomination Oscar 2014.
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