Un nuovo blog che parla di cinema italiano. Potrete trovare informazioni complete sui migliori attori, registi e film del nostro cinema. Vi saranno anche riferimenti al cinema straniero , informazioni complete su come visualizzare un in streaming e suggerimenti e indicazioni rispetto ad altre pagine del settore.
venerdì 31 gennaio 2014
Il film “La gente che sta bene” di Patierno non ha l’effetto sperato e un po’ delude
Titolo: La gente che
sta bene
Regia: Francesco
Patierno
Soggetto: Federico Baccomo
Sceneggiatura: Francesco
Patierno, Federico Baccomo, Federico
Favot
Produzione: Italia 2014
Cast: Claudio Bisio,
Margherita Buy, Diego Abatantuono, Jennipher Rodriguez, Laura Baldi, Matteo
Scalzo, Carlo Buccirosso, Carlotta Giannone, […]
Questo film, tratto
dall’omonimo romanzo di Federico Baccomo, edito da Marsilio, descrive la vita e
le peripezie di un avvocato milanese Umberto Dorloni (Claudio Bisio), né
penalista, né civilista, ma tutto fare a suo insindacabile giudizio, che mostra
il suo carattere cinico e sprezzante dei sentimenti altrui. Un avvocato come
lui cosa fa? Parla, parla, parla! E Dorloni parla sempre, esprime le sue opinioni
in modo continuo e opprimente tale da contrastare quelle della moglie Carla
(Margherita Buy) che, non sopportando le imposizioni del marito nei suoi
confronti ed impossibilitata ad esprimersi apertamente, se ne distacca anche se
per un breve periodo. Dorloni non riesce neppure a fare presa sui figli. È un
grande egoista e un carrierista senza turbamenti e senza incertezze che, quando
si tratta di licenziare qualcuno alle sue dipendenze, lo fa dicendo che bisogna
guardare al futuro, essere ottimisti. Ma come si sa, in questo periodo di crisi
economica, quello che oggi succede ai dipendenti, domani capita ai dirigenti. E
così avviene. Dorloni, in un batter d’occhio, si trova in mezzo ad una strada. Potrebbe
riacquistare il ruolo perduto presso un’altra
società, di cui fa parte un altro avvocato con il suo stesso modo di essere,
Patrizio Piazzesi (Diego Abatantuono), ma una crisi di coscienza lo fa
rinsavire. “La gente che sta bene” parla della perdita dei valori della nostra
società caratterizzata da un degrado morale senza precedenti, che crede
soltanto nel Dio-denaro, ma è un film che non esprime carattere, è ossessivo e tedioso, tant’è che attori come la Buy e
Abatantuono ne escono perdenti. Non regge il confronto, ovviamente, con “La
grande bellezza” (2013) di Paolo Sorrentino, né con “Il capitale umano” di Paolo
Virzì (2014), senza parlare poi dell’ultimo capolavoro di Martin Scorsese “The
wolf of Wall Street” (2013), tutti film che affrontano gli stessi temi
magnificamente.
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martedì 28 gennaio 2014
Il film “Tutta colpa di Freud” è una commedia briosa che fa presa sul pubblico
Titolo: Tutta colpa di
Freud
Regia: Paolo Genovese
Soggetto: Paolo
Genovese, Leonardo Pieraccioni, Paola Mammini
Sceneggiatura: Paolo
Genovese
Produzione: Italia 2014
Giudizio: ◊ ◊ ◊
Cast: Marco Giallini,
Anna Foglietta, Vittoria Puccini, Alessandro Gasman, Laura Adriani, Vinicio
Marconi, Claudia Gerini, Edoardo Leo, Maurizio Mattioli, Paolo Calabresi, Alessia
Barela, Gianmarco Tognazzi, Daniele Liotti,[…]
Tratto dall’omonimo
romanzo di Paolo Genovese (edito da Mondadori), questo film "Tutta colpa di Freud" appartiene a quel
genere di commedia italiana, spiritosa e briosa, molto gradita dal pubblico
italiano. Genovese che ne è anche il regista, con un cast eccellente di attori
che si muovono agilmente e che coprono magnificamente le parti loro assegnate, in modo intelligente e originale affronta, senza mai essere volgare e osceno e senza usare il consueto
linguaggio scurrile di alcuni film nostrani, il problema dell’identità sessuale,
o meglio quello dell’omosessualità, da cui risulta che questa non si può cambiare per decisione
razionale del soggetto; esamina con garbo, anche, l’infatuazione classica di
una spontanea diciottenne nei confronti di un cinquantenne sposato, dei suoi “sogni … immagini
riflesse, … specchio d'acqua
immobile”, che “svaniscono provandoli a toccare”, come recitano alcuni versi della bella canzone “Tutta colpa di
Freud” di Daniele Silvestri, che viene cantata durante alcune scene del film e
durante i titoli di coda.
Il film nel suo
evolversi sostiene con forza che l’instaurarsi dell’innamoramento non può
essere orientato dal settore in cui lavora una donna, perché non si hanno effetti
di riuscita (“L'amore ha
i denti, i denti mordono. Fanno male, lasciano cicatrici. E quelle cicatrici
non svaniscono più...”), ma che esso dipende da tutti quei fattori emotivi
e sentimentali che sorgono spontanei e che non possono essere repressi quando
si incontra la persona “giusta”. Inoltre, il film mette sul primo piano il ruolo
del padre che dovrebbe mantenere questo ruolo sempre, rinunciando a quella tendenza del
momento che lo indirizza a comportarsi da amico nei confronti dei propri figli.
Tutto viene sintetizzato
in alcuni versi della su citata canzone di Silvestri “… Degli incontri imprevisti,/ delle scelte
sbagliate, / dei dolori
pregressi, dei peccati commessi
una sera d'estate, / delle mille
promesse mancate. …”. Nel film, Marco Giallini ricopre
il ruolo magnifico di uno psicologo, Francesco, padre di tre figlie: Marta (Vittoria
Puccini), la figlia romantica, Emma (Laura Adriani), la figlia diciottenne e,
infine, Sara, la figlia lesbica (Anna Foglietta, che recita la sua parte
magnificamente).
Genovese va ricordato soprattutto
per il film “Una famiglia perfetta” (2012) con Sergio Castellitto per l’originalità
del tema affrontato e per il cast di attori splendidi: Claudia Gerini, Marco
Giallini e Carolina Crescentini.
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mercoledì 22 gennaio 2014
Violenza e amore sono gli ingredienti del film “C’era una volta a New York” di James Gray
Titolo: C’era una volta
a New York
Titolo originale: The
immigrant
Regia: James Gray
Sceneggiatura: James
Gray, Ric Menello
Produzione: USA 2013
Cast: Marion Cotillard,
Joaquin Phoenix, Jeremy Renner, Dagmara Dominiczyk, Angela Sarafyan, Jicky
Schnee, Yelena Solovey, Ilia Volok, Dee
Dee Luxe, Dylan Hartigan, […]
“C’era una volta a New
York” è un film che descrive l’America, in particolare, come si desuma dal
titolo, New York, agli inizi del secolo scorso e che affronta il tema annoso dell’immigrazione,
che si ripete puntualmente in diverse parti del mondo ma che si differenzia sia
nel tempo che nello spazio. Tema che è arricchito della miseria umana, della
solitudine che si prova nel mettere piede in una terra straniera, della
disperazione che costringe gli individui
a commettere atti che ledono la dignità personale, della corruzione e dello sfruttamento
dell’uomo nei confronti del più debole, della donna in particolare. Il film
inizia con la scena che inquadra gli immigrati sbarcati a Ellis Island, anticamera per accedere in America, che
vogliono dare un senso alla loro vita con la speranza di realizzare una vita
migliore. In migliaia provengono
dall’Europa, negli anni che seguono la fine della prima guerra mondiale che
aveva mietuto molte vittime e aveva esternato una violenza inaudita anche sulla
popolazione civile. Cosi come, ai tempi nostri, vengono in Europa tutti quei
poveracci, chiamati extracomunitari, dai loro paesi martoriati dalla guerra, paesi
come la Siria, l’Egitto, quelli del centro Africa, etc. etc.. Tra questi
immigrati si distingue una bella giovane donna polacca, Ewa Cybulski (Marion
Cotillard) che, assieme alla sorella Magda (Angela Sarafyn), vuole una vita
migliore di quella già vissuta nella miseria e nella violenza, dato che i
genitori sono stati decapitati senza motivo, durante la guerra, dai soldati. Fanno
ambedue la fila per la visita medica a Ellis Island. Purtroppo la sorella Magda
viene inviata in ospedale perché affetta da tubercolosi e lei, ritenuta donna
senza morale dato che sulla nave è stata violentata, deve essere rispedita in
Europa. In sua difesa sopraggiunge Bruno Weiss (Joaquin Phoenix), un uomo misterioso
e ambiguo che, pagando gli agenti profumatamente, la libera portandola con sé.
Da questo momento in poi, il film prende risvolti imprevedibili, con un
susseguirsi di colpi di scena che cambiano continuamente, che non danno nulla
di scontato e che lasciano lo spettatore in un continuo stato d’attesa. Ewa in
un primo momento si affida, anima e corpo, a Bruno che, nello squallore più
estremo, la sfrutta, poi decide di fuggire, ma non trova nessuno che l’aiuti, neppure
gli zii che, immigrati molti anni prima, godono di un’ottima posizione
economica, né tantomeno il prete da cui va a confessare i peccati commessi. Quest’ultimo
piuttosto che aiutarla, la redarguisce con appellativo di peccatrice. Vano e infausto
risulta anche l’intervento a suo favore del nuovo spasimante, il prestigiatore sfortunato Orlando (Jeremy Renner).
Il film si svolge in
una atmosfera che ricalca molto bene quella dell’inizio del secolo scorso ed elabora
un discorso che mette in risalto le condizioni disumane dei disperati e dei diseredati
che, come avviene ai giorni nostri, vengono vituperati e maltrattati nei paesi
ospitanti, ma evidenzia che il male viene accentuato soprattutto perché al
mondo esistono gli intrallazzatori, i corruttori e i corrotti. Temi questi
molto cari al regista James Gray che mette sempre in evidenza il labile
confine che esiste tra il bene e il male, così come ha fatto nel suo film d’esordio
“Little Odessa” (1994), e ancora in "The Yards" (2000) e ne “I padroni della
notte” (2007).
Marion Cotilalrd offre
un ritratto realistico e umano di Ewa Cybulski con la sua indiscussa bravura che,
in questo caso, non eguaglia quella magistrale marcata come interprete di Edith
Piaf nel film “La vie en rose” (2006) di Olivier Dahan.
Ottima anche la scelta
di Joaquin Phoenix che con il suo sguardo penetrante e ambiguo sostiene bene la
parte di Bruno Weiss e che non si distacca da ciò che costituisce il perno centrale
attorno a cui ruotano i film di Gray.
domenica 19 gennaio 2014
Roberto Faenza in “Anita B.” narra la lotta di una giovane donna contro lo strapotere del maschio
Titolo: Anita B.
Regia:
Roberto Faenza
Soggetto: Edith Bruck
Produzione: Italia,
USA, Ungheria, 2014
Cast: Eline Powell,
Robert Sheehan, Andrea Osvart, Antonio Cupo, Nico Mirallegro, Clive Riche, Guenda Gloria, Moni Ovadia, Jane
Alexander, […]
Il film è tratto dal romanzo "Quanta stella c'è nel
cielo" di Edith Bruck e racconta le vicissitudini di Anita (Eline Powell),
una ragazza ebrea, di origine ungherese, internata, assieme ai genitori, nel
campo di sterminio di Auschwitz durante la seconda guerra mondiale, e per
fortuna scampata all’eccidio, a differenza dei genitori. Subito dopo la guerra
(1945), Anita viene accolta nella casa della zia Monika (Andrea Osvart), in Cecoslovacchia, dove
le è fatto divieto assoluto di parlare del passato e delle inaudite violenze
che gli ebrei hanno sofferto nei campi di sterminio nazisti. Vedendo il film emergono
conseguentemente due posizioni, a cui lo spettatore è chiamato a rispondere. Sarà preferibile non ricordare il passato, annullarlo
come se nulla fosse avvenuto, per non far soffrire ulteriormente chi è
sopravvissuto alle atrocità naziste e per non far angosciare i nascituri o i
neonati, opinione questa sostenuta dalla zia Monika, oppure il
passato non dovrà essere cancellato, anche se il ricordo ripristina nell’animo della
gente il dolore sofferto, per evitare che si riverifichi l’orrenda barbarie
dei nazisti sofferta dagli scampati, che è la posizione di Anita?
Un’altra domanda che lo spettatore si pone, durante lo
scorrere della pellicola, è quella relativa all’attaccamento e alla simpatia che
si instaurano tra un uomo e una donna. Dove sta il confine tra il sentimento
che si chiama amicizia - quello che
Anita sente per David (Nico Micallegro) - e quello che si chiama amore, che determina il
concepimento di un figlio conseguente al rapporto sessuale tra Anita e Eli
(Robert Sheehan), il fratello dello zio Aron (Antonio Cupo), con il quale la
ragazza divide la stanza da letto? E un’altra domanda ancora che il film pone
allo spettatore: Può una madre abortire contro la sua volontà per soddisfare le
pretese del padre? Meno male che a questo mondo non sempre il male predomina sul
bene, così come è avvenuto purtroppo durante il triste periodo che ha visto l’Europa
insanguinata per colpa della violenza nazista e dell’ignoranza fascista. Capita
talvolta che, quando si è persa ogni
speranza, si incontrano persone positive, caratterizzate cioè da profonda umanità e grande sensibilità,
come il medico ginecologo (Clive Riche), che danno aiuto e vigore a chi si
trova dinanzi a gravi impedimenti.
Anita, pur essendo giovane, dimostra di avere una forza d’animo
eccezionale e determinata che cerca, così come Sabina nel film “Prendimi l’anima”
(2003) diretto dallo stesso regista, di far emergere la propria identità lottando
strenuamente contro i pregiudizi e lo strapotere del maschio.
sabato 11 gennaio 2014
Mediocrità e squallore sono i caratteri dell’italica gente descritti dal film “Il capitale umano” di Paolo Virzì
Titolo: Il capitale umano
Regia: Paolo Virzì
Soggetto: Amidon Stephen
Sceneggiatura: Francesco Bruni, Francesco Piccolo, Paolo Virzì
Produzione: Italia, Francia, 2014
Cast: Fabrizio Bentivoglio, Valeria Bruni Tedeschi, Fabrizio Gifuni, Valeria
Golino, Matilde Gioli, Luigi Lo Cascio, Giovanni Anzaldo, Guglielmo Pinelli,
Gigio Alberti, Bebo Storti, Vincent Nemeth, Pia Engleberth, Nicola Cnetonze, […]
Andando a vedere questo film, e non avendo ancora letto il libro “Human
capital”, dello scrittore americano Stephen Amidon, da cui è tratto, ho essenzialmente
scoperto che ogni individuo, quando è in vita possiede in
sé un “capitale umano” che non è lo stesso per tutti ma è variabile, dipende
cioè dallo stato sociale di appartenenza, dall’età, dal “merito”, dalla sua
speranza di vita. Anzi, esso si differenzia e dipende da alcune peculiarità
individuali che variano da individuo a individuo, in quanto per la sua determinazione
si tiene conto del lavoro che egli svolge, della qualità e della quantità di
ciò che produce, del ceto sociale, del ruolo che occupa nella società, etc.
etc.. Per cui un pensionato o cameriere, ad esempio, possiedono un bassissimo
capitale umano pressoché nullo, soprattutto se appartengono ad un ceto sociale
molto basso. Da ciò risulta che, anche se in uno stato come il nostro vige l’assioma
che tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge, viene contraddetto uno
dei fondamentali principi su cui si basa uno stato così detto “democratico”.
“Il capitale umano” è l’undicesimo
film di PaoloVirzì, dopo una costellazione di successi a partire da “La bella vita”
(1994), e a seguire da “Ferie d’agosto” (1996), “Ovosodo” (1997), “Baci e
abbracci” (1999), "My name is Tonino" (2002) “Caterina va in città” (2003), "N (Io
e Napoleone)" (2006), "Tutta la vita davanti" (2008), "La prima cosa bella" (2010),
per finire con “Tutti santi giorni” (2012). A differenza dei precedenti film,
in cui Virzì descrive ed elabora, con perspicacia, bravura e ardire, i ritratti
comici e meno comici particolari del variopinto carattere della gente italica, ne
“Il capitale umano” (il migliore in assoluto tra i suoi ottimi film) sottolinea,
con una professionalità tale che lo porta ai massimi livelli tra i registi
italiani attuali, i tratti distintivi molto diffusi, i quali in circa un
ventennio si sono consolidati nella maggior parte della gente, e cioè un’ima mediocrità
da far paura, un’avidità sfrenata, un arrivismo incontrollabile per raggiungere un prestigio sociale squallido e
insensato, privo di valori, di punti di riferimento certi e indiscutibili e anche
di umanità. Soprattutto, emerge la perdita dei legami culturali con il passato
(non è un caso che in un gruppo di lavoro viene messa in discussione anche l’importanza
di uno scrittore come Luigi Pirandello, premio Nobel 1934 per la Letteratura,
mentre viene dato risalto ad un coro canoro) di “… un popolo che distrugge i resti del proprio passato … soffoca la
propria anima, annienta la propria identità, si svuota di significato, non può
acquisire i valori umani a fatica conquistati nel tempo dai suoi progenitori,
rimane privo di sentimenti (dal racconto “IV – Hydra” de “I sassi di Kasmenai”
ed. Il foglio, 2008). E per evidenziare
questi caratteri salienti contrassegnati di elevata negatività, il regista crea,
con grande maestria e oculatezza, personaggi come quello dell’immobiliarista Dino
Ossola (Fabrizio Bentivoglio), figura molto caricata sino all’inverosimile, o come
quello dell’imprenditore Giovanni Bernaschi (Fabrizio Gifuni), o ancora come
quella del professore intellettualoide Donato Russomanno (Luigi Lo Cascio),
facendoli muovere in uno spettacolare teatrino del non senso, dove la donna
matura, tra cui Carla Bernaschi (Valeria Bruni Tedeschi) o la psicologa Roberta
Morelli (Valeria Golino), appare molto debole, poco determinante, e succube
dell’uomo. Diciamo, però, che una speranza di cambiamento di rotta da questo
disumano status quo, dove a soccombere sono sempre i meno furbi e i più deboli
e dove il ricco o il furbo diventano sempre più ricchi, Virzì lo ripone nei
giovani che cercano di ribellarsi ad esso, come cerca di fare Serena Ossola (Matilde
Gioli).
“Il capitale umano” è film dai connotati particolari con una
sceneggiatura originale, dove la stessa storia viene vista da tre visuali
diverse (quella di Dino, quella di Carla e quella di Serena), che si inquadra egregiamente
tra il genere noir e la commedia italiana.
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mercoledì 8 gennaio 2014
“Col fiato sospeso” è un film denuncia sulla sicurezza di alcuni laboratori di ricerca universitari
Titolo: Col fiato
sospeso
Regia: Costanza
Quatriglio
Sceneggiatura: Costanza
Quatriglio
Produzione: Italia 2013
Cast: Alba Rohrwacher,
Anna Balestrieri, Michele Riondino, Gaetano Aronica
Un film “Col fiato
sospeso”, trasmesso su RaiTre in seconda serata, ieri, è condotto dalla brava
regista palermitana Costanza Quatriglio con lo stile del documentario, anche se non è un documentario nel
senso stretto della parola, dove molte immagini sostituiscono con sagacia ed
efficacia le parole. Il cast è costituito da pochissimi attori, tra cui spicca
in primissimo piano la bravissima Alba Rohrwacher, che interpreta la
parte di Stella, una studentessa
universitaria, laureanda in farmacia che per la sua tesi viene inserita in un
laboratorio sperimentale per svolgere il relativo lavoro di ricerca
sovvenzionato da un’industria farmaceutica. Stella viene subito attratta dallo
studio della chimica, una materia affascinante e coinvolgente, che incanta e
che al tempo stesso intimidisce, che come in una tela del ragno l’afferra e non
la molla più, e che per certi aspetti è misteriosa. Questa materia, che affonda
le sue radici nell’antica alchimia, a Stella forse, come a Primo Levi, nel suo
racconto “Idrogeno” tratto da “Il sistema periodico”, “… rappresentava una
nuvola indefinita di potenze future, che avvolgeva il mio avvenire in nere
volute lacerate da bagliori di fuoco. Come Mosè, da quella nuvola attendevo la
mia legge, l’ordine in me, attorno a me e nel mondo. … per dragare il ventre
del mistero”. La studentessa lavora in quel laboratorio, attratta dalle
continue scoperte che fa, dalla mattina alla sera ininterrottamente, andando
incontro inconsapevolmente a dei rischi seri, in generale, ma, in particolare, a
dei rischi latenti per la salute, così come racconta ancora Primo Levi “… Ci fu
un’esplosione, piccola ma secca e rabbiosa. … a me tremavano un po’ le gambe;
provavo paura retrospettiva, e insieme una certa sciocca fierezza, per aver
confermato un’ipotesi, e per aver scatenato una forza della natura. Era proprio
idrogeno…” . Poco alla volta, però, Stella si rende conto che il laboratorio di
chimica è insalubre e tutto il tempo ivi trascorso le può essere nocivo, tant’è
che qualche volta è presa da svenimenti. L’evento, però, viene sottovalutato
come tante altre volte, perché “il concetto di veleno è connesso con la quantità” gli dice il suo
professore. Trascurando il fatto che composti, come il benzene o l’amianto o
come qualunque altra sostanza incognita ivi prodotta, altamente cancerogeni o
potenzialmente tali, dovrebbero essere usati con le dovute precauzioni e con le
adeguate attrezzature che un laboratorio di ricerca, degno di questo nome,
dovrebbe avere. “Sarà stata una strana coincidenza” le verrà detto, “perché la
causa del suo malore non potrà essere addossata al laboratorio, perché in esso
ci lavorano anche figli degli stessi docenti universitari”. La sua amica Anna (Anna
Balestrieri) cerca invano di
convincerla di lasciare quella ricerca e quindi di allontanarsi da quel
laboratorio. Tale scelta la porterà ad un amaro epilogo, lo stesso toccato, prima
di lei, ad un dottorando di ricerca, Emanuele (voce narrante Michele
Riondino), il cui nome si collega ad Emanuele Patané, il giovane morto di tumore
ai polmoni nel 2003, che aveva già
percorso la sua stessa strada.
Questo è un film-denuncia sulla conduzione di taluni
laboratori di ricerca universitari, in
cui non si tiene conto della salubrità ambientale e del rispetto di tutte
quelle norme esistenti in Italia da circa un sessantennio e successive integrazioni,
secondo cui gli studenti italiani sono equiparati per ciò che riguarda i tempi
di lavoro e il rispetto delle norme di sicurezza a tutti gli altri lavoratori.
Il film è stato presentato al Festival del Cinema di Venezia
2013.
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domenica 5 gennaio 2014
Il film “American Hustle” basato su fatti realmente accaduti è stato concepito in chiave pirandelliana
Titolo: American Hustle – L’apparenza inganna
Titolo originale : American Hustle
Regia: David O. Russell
Sceneggiatura: David O. Russell, Eric Warren Singer
Produzione: USA 2013
Cast: Christian
Bale, Amy Adams, Bradley Cooper, Robert De Niro,Jeremy Renner, Jennifer
Lawrence, Jack Huston, Louis C.K., Michael Peña, Alessandro Nivola, Adrian
Martinez, Elisabeth Rohm, […]
Come sosteneva il
grande Luigi Pirandello, premio Nobel per la Letteratura (1934) “non ci
fermiamo alle apparenze, ciò che inizialmente ci faceva ridere adesso ci farà
tutt'al più sorridere”, questo film “American Hustle (trad. Caos americano) –
L’apparenza inganna” gioca continuamente con “il sentimento del contrario”, che
è congruo in modo parossistico con l’umorismo quale strumento che mette a nudo
la fragilità umana in tutti i sensi. Il film, prendendo lo spunto da fatti realmente accaduti negli Stati
Uniti a partire dal 1978, tratta di un indagine poliziesca (FBI) che portò, con
l’aiuto di una coppia di abilissimi truffatori all’arresto di alcuni membri
(deputati e senatori) del Congresso, e fa vedere cosa avviene dietro le quinte
del teatrino politico per acquisire mazzette e cose del genere. Per cui sarebbe
auspicabile che la visione di “America Hustle – L’apparenza inganna” fosse prescritta
a tutti quei politici di casa nostra, corrotti, dotati di una sfrontata e
insuperabile arroganza e carenti di un bruscolo di dignità, il cui insano
comportamento va oltre ogni umana decenza e suscita intolleranza e disgusto
nell’elettore. La coppia di intrallazzatori, che nel film è interpretata
egregiamente da Christian Bale, nella parte di Irving Rosenfeld, e da Amy Adams,
che interpreta Sydney Prosser, viene costretta dal poliziotto FBI, Richie
DiMaso (Bradley Cooper), a collaborare, pena la detenzione per i crimini
commessi in flagranza di reato. Lo scopo è quello di incastrare politici
corrotti come il sindaco Carmine Polito (Jeremy Renner) e mafiosi tra cui il
temutissimo e pericoloso Victor Tellegio (Robert De Niro). Tuttavia, l’uso degli
imbroglioni e dei malfattori per scopi legittimi a volte, anzi sempre, funziona
come un boomerang che manda all’aria la dignità e la reputazione personali di
chi si impegna per sconfiggere il malaffare.
Come nei suoi film precedenti “The Figther” (2011), dove troviamo
la brillante coppia Christian Bale/Amy Adams, e “Il lato positivo – Silver
Linings Playbook” (2012), interpretato da Bradley Cooper, Robert
De Niro e l’esplosiva Jennifer Lawrence (che ottenne il premio Oscar 2012, come migliore attrice), così in quest’ultimo
film, il regista David O. Russell, ancora una volta, mostra i suoi protagonisti
come individui che, presentando una, nessuna o centomila maschere - parafrasando
il titolo di un romanzo pirandelliano -, cercano di cambiare la propria
posizione individuale e sociale con un succedersi di
fatti spesso bizzarri, ma soprattutto imprevedibili e per niente scontati.
Riesce
difficile catalogare questo film perché le sue peculiarità e i suoi tratti
distintivi sono molteplici e, per taluni aspetti, indefinibili così come le
maschere pirandelliane. Essi vanno dal comico all’umoristico, dall’ironico al
drammatico, dal sentimentale al divertente, dall’emozionante al grottesco, dal
realistico al paradossale. È un film ben recitato e gli attori, tutti
bravissimi, interpretano ciascuno la loro parte in modo magistralmente
credibile ed eccellente. I dialoghi, inquadrati in brani musicali
dell’epoca scelti oculatamente, risultano travolgenti, prorompenti e
interessanti creando un incessante turbinio continuo che costringe lo
spettatore a seguire dettagliatamente ogni parola, ogni sguardo, ogni azione
per evitare di perdere il filo del discorso.
Il film ha ottenuto già 7 nomination Golden Globe, 8 nomination
Satellite Awards ed è in odore di nomination Oscar 2014.
venerdì 3 gennaio 2014
Un film "I sogni segreti di Walter Mitty" che insegna che bisogna affrontare la vita con coraggio andando anche contro all’ignoto
Titolo: I sogni segreti di Walter Mitty
Titolo
originale: The secret life of Walter Mitty
Regia: Ben
Stiller
Soggetto: Jay
Kogen, James Thurber
Sceneggiatura:
Peter Morgan
Produzione: USA
2013
Cast: Ben
Stiller, Kristen Wiig, Shirley MacLaine, Adam Scott, Kathryn Hahn, Sean Penn,
Terence Bernie Hines, […]
Walter Mitty (Ben Stiller)
è il responsabile della custodia e della catalogazione degli innumerevoli
negativi della rivista “Life” che sono stati
conservati nel tempo nell’archivio
da lui diretto. Ora che la rivista deve chiudere, per lasciare il passo alla rivista “Life on line”,
bisogna procedere all’elaborazione della copertina dell’ultimo numero cartaceo di
“Life”. Ovviamente, nell’archivio deve essere ricercato il negativo “numero 25”,
indicato in una lettera da Sean O’Connell (Sean Penn), il bravo fotografo che
una volta lavorava per la rivista stessa e che ora si trova in qualche parte
del mondo. Walter non trovando il
negativo “numero 25”, e pressato dal suo
superiore antipatico, arrogante e prepotente Ted Hendricks
(Adam Scott) va alla ricerca di Sean O’Connell e, con questo pretesto, è
costretto a visitare luoghi poco frequentati dall’uomo, come la Groenlandia, l’Islanda,
l’Afganistan, andando incontro ad una serie di avventure che mettono in
evidenza il suo coraggio e il suo carattere audace. Il film “I sogni segreti dl
Waler Mitty” diretto dallo stesso protagonista, Ben Stiller, remake del film “Sogni proibiti” (1947) interpretato
dal grande Danny Kaye e diretto da Norman Z. McLeod, è una commedia accattivante
e implicante, che nella sua semplicità conserva anche una vena che riporta l’individuo
nella propria originale dimensione umana, ormai perduta a causa dell’imperante e
sovrastante tecnologia e superficialità che caratterizza l’uomo moderno, e che
vuole dare un messaggio importante che è quello che si va a cercare in capo al
mondo ciò che si ha a portata di mano: come se altrove fosse diverso dal qui.
Walter Mitty si muove tra l’immaginario – i suoi
continui incanti lo dimostrano – e il reale, dove procede con incertezza ma
con determinazione per riconquistare
una dimensione umana dei rapporti autentici e genuini, non mediati da nessuna
tecnologia e saldamente ancorati ad esperienze vere. A Walter Mitty, in
effetti, piace giocare a ping pong passando, con i suoi continui
incanti, dal reale all’immaginario, dove le sue azioni non hanno niente da
invidiare a Superman o all’Uomo ragno, e tutto ciò avviene in modo così
frenetico che ci si confonde nel distinguerli quando si manifesta l’uno o l’altro.
E in questa piacevole altalena si evidenzia, a ogni piè sospinto, la bellezza
in tutte le sue sfaccettature, come l’attrazione che ha nei confronti della dolce
collega Cheryl (Kristen Wiig) di cui si è invaghito, o come la stima che ha nei
confronti del tanto ricercato fotografo Sean, o come la lotta allo strapotere dei superiori gerarchici. O ancora perché la bellezza va gustata proprio nell’attimo
in cui si presenta, attimo che non va perso neppure per scattare una fotografia.
L’attimo che si utilizza per fotografare, infatti, fa perdere l’attimo in cui
si coglie la bellezza. Nella parte della madre di Mitty compare l’attrice Shirley
MacLaine, come cameo di questo divertente film da non sottovalutare.
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