Un nuovo blog che parla di cinema italiano. Potrete trovare informazioni complete sui migliori attori, registi e film del nostro cinema. Vi saranno anche riferimenti al cinema straniero , informazioni complete su come visualizzare un in streaming e suggerimenti e indicazioni rispetto ad altre pagine del settore.
domenica 24 novembre 2013
Dall’ultimo film del regista Asghar Farhadi emerge come “Il passato” ci condiziona nella vita e nelle scelte quotidiane
Titolo: Il passato
Titolo originale: Le passé
Regia e sceneggiatura: Asghar Farhadi
Produzione: Italia, Francia, 2013
Cast: Bérénice Bejo, Ali Mosaffa, Tahar Rahim,
Pauline Burlet, Elyes Aguis, Jeanne Jestin, Sabrina Quazani, Babak Karimi,
Valeria Cavalli, […]
Con quest’ultimo film“Il
passato”, il regista Asghar Farhadi
mette in atto uno spettacolo straordinario, così aggrovigliato, intenso,
profondo, ricco di significati che rientrano sia nella sfera emozionale che in
quella sentimentale e affettiva di ogni persona, uomo o donna, grande o piccola
che sia, tale da lasciare in continua attesa lo spettatore, del quale prova, riuscendoci,
ad attirare l’attenzione senza concedergli tregua per l’intera durata di 130
minuti. Il regista, infatti, scava nell’animo di ciascun protagonista in modo
così sottile e accurato, come fa un bravo medico durante un’operazione
chirurgica, con un ottimo risultato finale. Egli descrive, così, la mancanza di equilibrio
interiore e i sensi di colpa della moglie Marie (Bérénice Bejo) nei confronti
della figlia Lucie (Pauline Burlet) dall’animo ribelle. E delinea il carattere equilibrato e accomodante
del marito iraniano Ahmad (Ali Mosaffa), dal quale Marie deve separarsi, e, al
tempo stesso, quello disorientato di Samir (Tahar Rahim) con cui Marie deve
sposarsi. In ogni caso, Asghar Farhadi illustra, con sottile ed efficace perspicacia,
come ogni comportamento individuale dipenda dalle esperienze passate di ciascuno,
e fa emergere, in sostanza, “della forza del passato” l’aspetto virulento e intransigente
di questo, da cui nessuno si può sottrarre. Presenta questa forza come l’unica
entità, a dirla con il pensiero di Aristotele, che “Dio non può disfare”, o,
addirittura, come dice Anatole France, ne “Il giglio rosso” che “tutto ciò che
è, è passato”. Tra tutti gli attori bravissimi, spicca la bellissima Bérénice
Bejo, protagonista principale.
Asghar Farhadi è un regista pluripremiato come dimostrano i
diversi premi che ha ottenuto con il film “Apout Elly” (Orso d’Argento al Festival
di Berlino 2009) e il film “La separazione”, premio Oscar 2011 come miglior
film straniero (che ha ricevuto anche un David di Donatello, un Cesar, e 4 premi
al Festival di Berlino).
domenica 17 novembre 2013
La storia d’Italia dal boom economico fino all’era berlusconiana raccontata con brio nel”L’ultima ruota del carro”
Titolo: L’ultima ruota del carro
Regia: Giovanni Veronesi
Soggetto e Sceneggiatura: Giovanni Veronesi, Ugo
Chiti, Filippo Bologna, Ernesto Fioretti
Produzione: Italia, 2012
Cast: Elio Germano, Richy Memphis, Alessandra
Mastronardi, Virginia Raffaele, Sergio Rubini,Alessandro Haber, Massimo Wertmü
ller,Ubaldo Pantani, Dalila Di Lazzaro, Luis Molteni, […]
“L’ultima ruota del
carro”, film che ha aperto fuori concorso il Festival Internazionale del Cinema
di Roma 2013, è una commedia esilarante, spassosa, con un sentore ironico della
politica, che diverte lo spettatore continuamente e lo tiene attento per tutta
la sua durata. Basato sulla storia recente dell’Italia, esattamente quella che
va dal 1967 fino all’era berlusconiana, cioè quella che va dal boom economico
fino alla decadenza economica, etica, morale e politica dell’Italia, esso descrive
le virtù, personificate soprattutto da Ernesto (Elio Germano), da sua moglie
Angela (Alessandra Mastronardi) e dal suo amico pittore (Alessandro Haber), e i
vizi, personificati fondamentalmente da Giacinto (Richy Memphis) e dal
truffaldino Fabrizio Del Monte (Sergio Rubini). In questo lasso di tempo ci
sono le Brigate rosse, c’è l’omicidio di Aldo Moro, c’è l’ascesa al potere dei
socialisti e quindi di Bettino Craxi e del suo esilio ma, accanto a queste nefaste
turpitudini, ci sono la vittoria del Mondiali dell’Italia del 1982 e le vicissitudini di una delle tanti famiglie normali, di
cui non si parla mai appunto perché “normali”. Il titolo deriva da una frase
detta all’inizio del film dal padre (Massimo Wertmüller) - “Tu in questa famiglia sei l’ultima ruota del caro, capito?” - al figlio Ernesto quando si accorge
dalla pagella scolastica che questi non è portato per lo studio. Per questo lo
avvia al lavoro. Da quel momento e in quel lungo arco di tempo, inizia la
descrizione delle traversie di Ernesto che, per il suo carattere, la sua
integrità morale e per la sua grande umanità, risulta essere un italiano che
esce dal coro, si allontana da quei “todos caballeros”, cioè da quegli
stereotipi che i mass media oggi propagandano insistentemente e li emargina, e
che dimostra di essere anche un marito fedele. Per questo Ernesto risulta
essere un eroe del nostro tempo come Antonio Pane (Antonio Albanese), “L’intrepido”
(2013) di Gianni Amelio, che sottolinea con forza e vigore che di tutti gli
Italiani non si può fare lo stesso fascio e che ce n’è una buona parte che è
onesta, lavora e paga le tasse, e vive in una famiglia “normale”, con le sue
gioie e i suoi dolori. È nell’essere semplice, onesto, integerrimo, lavoratore,
amante della famiglia, anche pauroso, l’essere eroe del nostro tempo! Essere
cioè quello che un tempo veniva considerato un uomo “normale”. Giovanni Veronesi
dopo il suo capolavoro “Manuale d’amore" (2005) con il quale si guadagnò il
Nastro d’Argento per la migliore sceneggiatura, realizza “L’ultima ruota del
carro”, il suo film migliore, con il quale si confronta con i più grandi registi
della commedia all’italiana, quali sono stati Monicelli, Scola e Risi.
Richy Memphis, Alessandra Mastronardi (nomination
Nastro d’Argento 2012 come migliore attrice non protagonista del film “To Rome
with Love” di Woody Allen), Virginia Raffaele, Sergio Rubini, Alessandro Haber,
molto bravi affiancano un bravissimo Elio Germano che in questo film ha
superato se stesso.
giovedì 14 novembre 2013
Si respira aria di ‘ndrangheta nel film di Fabio Mollo “Il Sud è niente”
Titolo: Il Sud è niente
Regia: Fabio Mollo
Sceneggiatura: Fabio Mollo, Josella Porto
Produzione: Italia/Francia 2013
Cast: Miriam Karlkvist, Vinico Marchioni, Valentina
Lodovini, Andrea Bellisario, Alessandra Costanzo, Giorgio Musumeci, […]
L’immobilismo, il dire
e il non dire, il vestito di rabbia di cui non ci si può spogliare, l’incapacità
di resistere ad un mostro invisibile, il parlare con sguardi colmi di cinismo, le
metafore feroci e ricche di significato aggressivo, l’annientamento della
personalità, la sfiducia insita nei comportamenti (“… il sud è niente e niente
succede … non siamo niente …”), la voce del silenzio che si fa violenza, la violenza
che veste ogni cosa e che si coglie nel saluto e nei gesti, nei regali, nei
convenevoli, nelle azioni “amichevoli”, il rapporto ambiguo tra mafia e Chiesa,
l’assenza di ribellione ai violenti, la speranza di un riscatto che non verrà
mai, la voglia di lasciare tutto, la rinuncia dei vecchi di riscattarsi assieme
alla voglia di restare dei giovani che vogliono lottare per una società
migliore, tutto questo e altro emerge in questo lungometraggio, opera prima del
regista calabrese Fabio Mollo, un racconto di “realismo magico”.
Dice il regista “Il Sud
è niente è la storia di un Sud che è più emozionale che geografico”, dove
Grazia (Miriam Karkvist) ricerca disperatamente il fratello, la cui scomparsa è
immersa nel silenzio del padre Cristiano (Vinicio Marchioni) e della nonna
(Alessandra Costanzo) che, durante una visita al figlio e alla nipote, prepara come
dolci “gli ossi dei morti”, manifestando metaforicamente che qualunque cosa si tenti di fare al Sud risulta inefficace e inutile.
La ricerca continua del
fratello, materiale ma anche sentimentale, incomincia nel mare e termina col
mare dello Stretto di Messina, dove come in un grembo materno Grazia si ribella, riceve la
linfa vitale di “ritrovare se stessa e scoprire la sua identità” e di lottare “per riprendere possesso del proprio futuro e
riportare speranza là dove prima non c’era altro che silenzio”. E questa ribellione
richiama alla mente “I cento passi” (2000), il film di Marco Tullio
Giordana, dove la frase prepotentemente pronunciata da Peppino (Luigi Lo
Cascio) introduce chiaramente l’ambiente familiare e ambientale in cui nascono
e vivono i giovani del Sud “Mio padre, la mia famiglia, il mio paese!
Io voglio fottermene! Io voglio scrivere che la mafia è una montagna di merda! …
Noi ci dobbiamo ribellare. Prima che sia
troppo tardi! Prima di abituarci alle loro facce! Prima di non accorgerci più
di niente!”
Nel film, che è condotto
magistralmente da Fabio Mollo, si coglie anche un cenno sul rapporto ambiguo
tra mafia e Chiesa, messo in risalto dalla eterogenea partecipazione alla processione
del santo patrono del paese, rapporto che recentemente è descritto pure da
Nicola Gritteri e Antonio Nicaso nel saggio “Acqua Santissima”.
Bravissima è risultata
nel suo primo impegno cinematografico la ventunenne italo-svedese Miriam Kalrkvist.
Eccellente la partecipazione di Vinicio Marchioni.
La sceneggiatura del
film ha partecipato alle selezioni del Festival de Cannes- Cinefondation 2011, al
Berlinale Talent Project Market 2011, al Festival di Torino – Torino Film Lab
2010 e al Festival di Roma – NCN 2010.
Il film uscirà nelle
sale il 28 novembre 2013.
sabato 9 novembre 2013
Cercare “Il mondo fino in fondo” vuol dire vivere la diversità in piena libertà
Titolo: Il mondo fino in fondo
Regia: Alessandro Lunardelli
Sceneggiatura: Alessandro Lunardelli, Vanessa
Picciarelli
Musiche originali: Pasquale Catalano
Paese: Italia, 2013
Cast: Luca Marinelli, Filippo Scicchitano, Barbora
Bobulova, Camilla Filippi, Cesare Serra, Alfredo Castro, Manuela Martelli, […]
Dall’analisi di questo
film “Il mondo fino in fondo”, il primo lungometraggio di Alessandro
Lunardelli, emerge un reticolo di relazioni e di scelte straordinarie, imprevedibili,
inconsuete, che un diciottenne, Davide (Filippo Scicchitano), intraprende per scoprire
il senso della vita e le naturali inclinazioni
che stanno riposte nel suo animo e che tendono ad esplicitarsi liberamente. Ma
l’ambiente in cui vive, Agro una cittadina del nord Italia, non glielo
permette. Non ci vogliono, infatti, inibitori come il padre, o gli abitanti con
cui ha rapporti, perché questi con la loro presenza soltanto e con le loro “certezze” impediscono a Davide la libertà di scegliere
sulla base delle proprie tendenze sessuali e di vivere la sua vita senza impedimento
alcuno. Davide, di fatto, comprende di trovarsi in una società e, quindi, in una
famiglia che, con i suoi pregiudizi, i suoi stereotipi, i suoi dogmi, e le sue
regole, lo tiene come in una gabbia, in cui non riesce fondamentalmente ad
essere se stesso. Come avviene in “La vita di Adèle” (2013) di Abdellatif
Kerchiche, dove Adèle incontra Emma, così casualmente, Davide incontra
Andy (Cesare Serra), un giovane cileno ecologista. Dentro di sé avviene
qualcosa di misterioso, di incomprensibile, che lo stravolge e lo coinvolge.
Come una calamita che attrae i pezzetti di ferro, così Andy attrae Davide.
E lo attrae a tal punto che Davide, approfittando della carta di credito che
gli ha prestato il fratello Loris (Luca Marinelli), lo insegue fino alla fine
del mondo, in Patagonia, nel Cile, la patria del grande poeta Pablo Neruda (Mi
piaci quando taci perché sei come assente, …) , dove ancora si avvertono i
postumi violenti della violenta dittatura di Pinochet, e dove Andy si è recato,
come dice lui, per “morire” dinanzi al ghiacciaio di san Rafael, un gigante che
con la sua altezza di 200 metri si sfalda a poco a poco riversandosi sul mare. Uno spettacolo eccezionale che fa comprendere quanto la Natura
sia bella, travolgente e da rispettare. “Ci sono luoghi che chiamano in sé in
modo strano e irrituale. Ti mettono nel mirino e con il loro fascino svuotano
lentamente ogni resistenza all’abbandono” dice a riguardo il regista. Davide va a
cercare Andy inspiegabilmente? Per
amore si può andare fino alla fine del mondo e la spiegazione, forse stranamente,
la si può trovare nell’equazione di Dirac che è l’equazione più bella della
fisica che sancisce il seguente principio: “Se due sistemi interagiscono tra
loro per un certo periodo di tempo e poi vengono separati, non possono più
essere descritti come due sistemi distinti, ma in qualche modo, diventano un
unico sistema. In altri termini, quello che accade a uno di loro continua ad
influenzare l’altro, anche se distanti chilometri o anni luce”.
Ovviamente, sulla base di ciò,
viene spontaneo, estrapolando tale principio e applicandolo alle relazioni
umane, affermare che “Se due persone interagiscono tra loro per un certo tempo
in cui si verifica l’instaurarsi dei sentimenti reciproci di amicizia o di
amore, e poi vengono separate, esse non possono essere descritte come due
persone distinte ma, in qualche modo diventano un’unica persona. In altre
parole, quello che accade a una di loro continua ad influenzare l’altra, anche
se distanti chilometri o anni luce”. “Le storie dovrebbero iniziare in
un altro modo senza far male a nessuno” e,
invece, Loris è costretto a recarsi alla ricerca del fratello, lasciando
la moglie incinta e affrontando diverse peripezie pericolose, finché lo trova e
scopre che Davide è gay. “Sono gay,
Loris” gli dice di botto Davide superando definitivamente la paura di
esplicitare a un componente della sua famiglia, il fratello maggiore, la sua
naturale diversità e mostrando di aver acquisito quella libertà che gli era
negata nel paesino dove era nato e cresciuto. Loris, ovviamente, per necessità
è costretto a vivere in un ambiente di “diversi” e di ecologisti dove conosce
Ana (Manuela Martelli). Là si accorge che dal punto di vista umano costoro non
sono così “diversi” dagli altri, anzi lottano con coraggio per la difesa
dell’ambiente, tant’è che ad un certo punto Loris percepisce che nel rapporto
con il fratello la sua vita è cambiata e anche il suo modo di pensare quando afferma
che “Io non sono come voi, ma non sono
contro di voi”.
Il film nell’incipit
risulta condotto in modo un po’ frettoloso tale da disorientare inizialmente lo
spettatore (la rapidità, ad esempio, della scena in cui compare Barbora
Bovulova confonde), mentre per il resto dimostra una sceneggiatura ben
costruita e la bravura del regista nell’uso della macchina da presa. Bravi sono
risultati anche i due protagonisti principali, Luca Martinelli e Filippo
Scicchitano, già noti al grande pubblico del cinema per essere stati
protagonisti in film di successo rispettivamente in “La solitudine dei numeri
primi” (2010) di Saverio Costanzo, e in “Scialla” (2011) di Francesco Bruni. Il
film “Il mondo fino in fondo” è stato presentato fuori concorso nella sezione
autonoma e parallela del Festival Internazionale del Cinema di Roma (2013) “Alice
nella città”.
Etichette:
film italiani,
La solitudine dei numeri primi
venerdì 1 novembre 2013
“Sole a catinelle” per trasmettere un po’ di ottimismo e di vigoria all’italica gente
Titolo:
Sole a catinelle
Regia:
Gennaro Nunziante
Sceneggiatura:
Gennaro Nunziante, Checco Zalone
Produzione:
Italia, 2013
Cast: Checco Zalone, Aurore Erguy, Miriam Dalmazio,
Robert Dancs, Ruben Aprea, Valeria Cavalli, Orsetta De Rossi, Matilde Caterina,
Augusto Zucchi, […]
Un
film “Sole a catinelle” ben congegnato, esilarante, piacevole, rilassante, che
esprime bellezza e gradevolezza sin dalle sue prime immagini, tant’è che alla
fine vien la voglia di rivederlo per le continue risate che genera e per il
conseguente effetto terapeutico che ha sullo spettatore, effetto molto
importante e necessario soprattutto in questo periodo in cui la cronaca gli
propina continuamente sempre le stesse cose e gli stessi personaggi, come se
chi ha perso il lavoro e non lo trova, chi è disoccupato o chi non ha i soldi
per campare non abbia la stessa importanza se non di più. “Ridere fa bene alla salute” e trovare, oggi,
un pretesto che faccia ridere risulta fondamentale. Recentemente, infatti, è
stato scoperto che, durante la risata, dal cervello di un individuo vengono
prodotte delle sostanze chimiche, classificate come ormoni, chiamate
“endorfine”. Queste hanno proprietà antidolorifiche e la loro azione si
avvicina a quella della morfina (per questo l’end-orfina ha la stessa desinenza
della m-orfina) e dell’oppio, che contiene oltre alla morfina anche la codeina
e la tebaina, sostanze appartenenti al gruppo degli alcaloidi anch’esse con
proprietà analgesiche. La scoperta empirica degli effetti benefici della risata
fatta dai nostri antenati, di cui quel detto proverbiale ne è una prova, circa
quattro anni orsono è stata provata sperimentalmente ed è per questo che le
endorfine vengono chiamate anche “ormoni della felicità”. Per tutto questo
si è sviluppata una branca della psicologia, detta gelotologia (dal greco gelos, riso, e logos, discorso), che studia la risata e tutte le
applicazioni terapeutiche di questa che inducono a curare un individuo
depresso. La risata, assieme a tutto ciò che permette la produzione di
endorfine, quindi contribuisce al mantenimento della salute di un individuo e,
in caso di malattia, tende a indurlo ad un rapido miglioramento umorale
alleviandone l’effetto depressivo. La risata è, dunque, un’azione nervosa a
portata di mano di tutti che può essere generata raccontando barzellette in
compagnia di un gruppo di amici briosi o provocata dalla visione di un film
comico o dalla lettura di un libro umoristico o di tutto ciò che può farci
sentire bene. Ridere, allora, permette di vedere la vita da un altro punto di
vista, quello ottimista, che ci fa osservare il bicchiere sempre mezzo pieno e
non mezzo vuoto, ci fa prendere gli avvenimenti, buoni o brutti che siano,
sempre col giusto umore, ci fa dimenticare le preoccupazioni e affrontare i
problemi con più tenacia, ci fa acquisire serenità e rilassatezza e, quindi,
raggiungere quel senso di atarassia e aponia di stampo epicureo. In definitiva
la locuzione latina “Faber est suae quisque fortunae”, ovvero “Ognuno è artefice della propria sorte”, sta ad indicare in particolare anche questo: la propria
condotta di vita dipende appunto da noi stessi!
“Sole a
catinelle” è un film che
fa ridere per tutta la sua durata ed è, per quanto detto sopra, che è consigliabile andarlo a vedere. È un film dove,
ancora una volta Checco Zalone nella sua comica “rozzezza” brillante ed espressiva
ha rifatto centro con il suo ottimistico fascino. È un film intelligente e spiritoso
che utilizza la risata, una verace risata vorace, per discutere dei problemi del
lavoro e della famiglia. Un film semplice e profondo al tempo stesso per i temi
affrontati: la crisi economica che crea disoccupazione, la disoccupazione che
disgrega le famiglie, la scuola che è impotente di fronte a certe problematiche
e ne affida l’inefficace soluzione a professionalità esterne che non hanno
niente a che fare con la formazione dell’individuo, le frodi fiscali commesse
da imprenditori disonesti, i ricchi che si arricchiscono con operazioni
illegali alle spalle della povera gente che diventa sempre più povera, l’ipocrisia dilagante
dei cosiddetti vip, l’azione dei poteri forti attraverso le logge massoniche, la
quale influenza la politica e l’economia
a loro vantaggio. Un film però che riversa sul pubblico ottimismo e
intraprendenza.
Laureato
in giurisprudenza ma dedito allo spettacolo, Zalone ha uno spiccato senso
dell’umorismo geniale e una creatività che sono manifestamente e
indiscutibilmente insuperabili. Zalone, il regista Gennaro Nunziante e il
produttore Pietro Valsecchi hanno costituito un trio vincente che fa divertire
e che, al tempo stesso, fa fare anche ottimi incassi. “Non c’è due senza tre”, dice il
proverbio e, infatti, dopo “Cado dalle nubi” (2009) e il grande successo di “Che
bella giornata” (2011), ecco questo nuovo film strabiliante, “Sole a catinelle”,
semplice e profondo, dove scorrono volti giovani, freschi e belli, simpatici e
attraenti, come quelli di Aurore Erguy (Zoe Marin), di Miriam Dalmazio
(Daniela), di Valeria Cavalli (Juliette Marin) e, soprattutto, quello di Robert
Dancs (Nicolò), una giovanissima rivelazione che non ha niente da invidiare ai piccoli
“geni” dei film americani.
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