Un nuovo blog che parla di cinema italiano. Potrete trovare informazioni complete sui migliori attori, registi e film del nostro cinema. Vi saranno anche riferimenti al cinema straniero , informazioni complete su come visualizzare un in streaming e suggerimenti e indicazioni rispetto ad altre pagine del settore.
domenica 29 dicembre 2013
In “Gloria” donna avvenente e fascinosa l’impulso amoroso non teme l’età
Titolo: Gloria
Regia: Sebastian Lelio
Sceneggiatura:
Sebastian Lelio, Gonzalo Maza
Produzione: Cile,
Spagna 2013
Cast: Paulina Garcia,
Sergio Hernández, Diego Fontecilla, Marcial Tagle, Fabiola Zamora, Antonia
Santa Maria, […]
Gloria (Paulina
Garcia), pur avendo superato i cinquant’anni, è ancora una donna avvenente e
piena di fascino, anche se sono molto evidenti i tratti somatici visibilmente
degradati per l’età avanzata. Divorziata da dodici anni e rimasta sola, in
quanto i due figli, un maschio e una femmina, ormai adulti se ne sono andati da
casa, cerca di ritrovare un nuovo equilibrio dal punto di vista sentimentale
frequentando discoteche e partecipando a festini tra amici. Si comporta come
fosse un’adolescente carica di sensualità prorompente e turbinosa. La sua
ricerca ossessiva trova soddisfazione in quanto, in una di queste serate,
incontra uno spasimante Rodolfo (Sergio Hernández), adulto pure lui sposato
però con moglie e due figlie ancora a carico, con il quale incomincia a
frequentarsi e ad avere rapporti sessuali come se avesse riacquistata la
gioventù ormai superata da tanto tempo. E ciò la porta a rinascere, a dare un
senso alla vita, quel senso che aveva perso a causa dell’asimmetria in cui si
era capitata e dell’isolamento in cui si era venuta a trovare e che le avevano
generato un certo squilibrio comportamentale. Rodolfo, pur essendo una persona
affabile si mostra ben presto inaffidabile e poco fedele al legame amoroso.
Sebastian Lelio è stato molto bravo
nel creare un profilo femminile, quello di Gloria, inquadrato nei suoi diversi
momenti umorali più significativi che ripresi a ragione mostrano con inusitata
maestria i sentimenti della donna e la loro variabilità connessa con il nuovo
rapporto amoroso e lo fa con semplicità e senza drammatizzazione. Ma lo è
bravissima anche Paulina Garcia che fa sua la parte descrivendo magistralmente un
ritratto di donna speciale e lo fa con grazia e con disinvoltura. Speciale come
la canzone “Gloria “ di Umberto Tozzi che è cantata, in spagnolo, nel film “Gloria,/ faltas en el aire/ faltas a
una mano/ que trabaja despacio/ faltas a esta boca/ que ya no prueba bocado/ y
siempre esta historia/ que a ella la
llamo Gloria …” (Gloria
manchi tu nell'aria/ manchi ad una mano che lavora piano/ manchi a questa bocca
che cibo più non tocca/ e sempre questa storia che lei la chiamo Gloria. ...). Ottimo
film ben diretto dal regista Sebastian
Lelio e bravissima Paulina Garcia che, al Berlino International Film Festival
2013, ha ottenuto il premio come migliore attrice.
venerdì 20 dicembre 2013
Quali possono essere le cause che ingannano le aspettative di un’adolescente “Giovane e bella”? Se lo chiede il regista François Ozon nel suo ultimo film
Titolo: Giovane e bella
Titolo originale: Jeune et jolie
Regia: François Ozon
Produzione: Francia, 2013
Cast: Marine Vacth,
Géraldine Pailhas, Frédéric Pierrot, Fantin Ravat, Johan Leysen, Charlotte Rampling,
Nathalie Richard, […]
Il 2013 è stato un anno proficuo per il regista François Ozon per avere affrontato dei temi che riguardano gli
adolescenti del nostro tempo sia dal punto di vista sociale che psicologico, e che
investono anche la loro sfera affettiva ed emozionale. All’inizio del 2013, infatti, esce il film drammatico
“Nella casa”, dove Ozon descrive le vicissitudini di un sedicenne che,
essendo molto bravo nella scrittura e abbastanza curioso, arricchisce i suoi
racconti prendendo come spunto tutto ciò che vede e tocca all’interno di una
famiglia borghese dell’amico Rapha. Nello stesso anno lavora in quest’altro
film “Giovane e bella”, dove descrive delle vicende dell'adolescente Isabelle (Marine Vacth), una studentessa diciassettenne di
liceo, il suo inspiegabile comportamento che la porta a prostituirsi per
il proprio piacere. La storia di una giovane
bella, carica di tanta curiosità che la porta a sconvolgere la propria vita,
attraverso un’esperienza eccezionale, senza che si ponga il motivo. Ozon
affronta così il problematico tempo dell’adolescenza presentando Isabelle in
solitudine e priva del significato di serietà. E lo fa partendo,
intelligentemente, dalla discussione in classe del poema del poeta maledetto Arthur Rimbaud “Nessuno
è serio a diciassette anni”, così come viene
espresso dai primi versi della poesia “Romanza”: Nessuno è molto serio quand'ha diciassett'anni./ I caffè
strepitanti dalle luci splendenti,/ le
bibite e la birra d'improvviso t'annoiano,/ e allora vai a spasso per il viale dei tigli./
Come profuma il tiglio nelle sere di giugno!/
Talvolta l'aria è dolce da farti chiuder gli
occhi;/ il vento porta suoni, - le
case son vicine -,/ porta odori dì
vigna ed odori di birra...… .
Sarà per questo o per altri i motivi che la giovane è portata inconsapevolmente a deturpare la sua purezza e a farla affondare prepotentemente e irreversibilmente nello squallore più putrido e violento che si possa immaginare? Sarà la mancanza di una vera famiglia, essendo madre e padre separati, e, quindi, la privazione dell’affetto della figura paterna che la spingono a ricercare il padre in un altro uomo qualsiasi attraverso il rapporto sessuale? Oppure sarà l’insopportabile presenza in casa dell’antipatico patrigno, o la carenza di punti di riferimento certi, o ancora sarà la sua bellezza prorompente, o la sua solitudine? Il regista si pone e fa porre allo spettatore tutte queste domande. Si arriverà ad una risposta certa?
Sarà per questo o per altri i motivi che la giovane è portata inconsapevolmente a deturpare la sua purezza e a farla affondare prepotentemente e irreversibilmente nello squallore più putrido e violento che si possa immaginare? Sarà la mancanza di una vera famiglia, essendo madre e padre separati, e, quindi, la privazione dell’affetto della figura paterna che la spingono a ricercare il padre in un altro uomo qualsiasi attraverso il rapporto sessuale? Oppure sarà l’insopportabile presenza in casa dell’antipatico patrigno, o la carenza di punti di riferimento certi, o ancora sarà la sua bellezza prorompente, o la sua solitudine? Il regista si pone e fa porre allo spettatore tutte queste domande. Si arriverà ad una risposta certa?
mercoledì 4 dicembre 2013
“La mafia uccide solo d’estate” di Pif è uno di quei capolavori che bisogna vedere a tutti i costi per la sua forza espressiva ed emozionale
Titolo: La mafia uccide
solo d’estate
Regia: Pif, alias Pierfrancesco
Diliberto,
Sceneggiatura: Marco
Martani
Produzione: Italia,
2013
Cast: Cristiana
Capotondi, Pif (alias Pierfrancesco
Diliberto), Alex Bisconti, Ginevra Antona, Claudio Gioé, Ninni Bruschetta,
Barbara Tabita, Rosario Lisma, […]
Semplice e profondo,
onesto e accattivante, comico e tragico, simpatico e piacevole, sono questi gli
attributi del film del regista esordiente Pif, “La mafia uccide solo d’estate” che,
se non il migliore, è uno dei migliori film italiani che, con originalità
speciale, stile esclusivo e sceneggiatura coinvolgente, tratta con coraggio e
sottile ironia il tema della mafia in Sicilia e dei corrispondenti e crudeli
eccidi perpetrati già da tanto tempo. A partire dall’uccisione di Mario
Francese, giornalista de “Il Giornale di Sicilia", il 26 gennaio 1979, fino ad
arrivare nel maggio - luglio 1992, periodo in cui vennero uccisi il giudice
Falcone e il giudice Borsellino, passando per quelle del generale Dalla Chiesa,
del capo della squadra mobile di Palermo, Boris Giuliano, e del giudice Rocco
Chinnici. Morti da “eroi” perché tutti, ognuno nell’ambito della propria
funzione, hanno cercato di combattere questo fenomeno asociale, subdolo e
violento, ad armi impari e a viso scoperto, usando solo la forza della legge.
L’attuale presidente del Senato, Pietro Grasso ha
definito questo film “… la miglior opera
cinematografica sul tema mafia che abbia mai visto”.
L’immobilismo, il dire
e il non dire, il vestito di rabbia di cui non si ha il coraggio di togliere,
l’incapacità di resistere ad un mostro invisibile, il parlare con sguardi colmi
di cinismo, le metafore feroci e ricche di significato aggressivo, “le stranezze malavitose”,
l’annientamento della personalità, la sfiducia insita nei comportamenti (… il sud è niente e niente succede … non siamo
niente … così recita il regista Fabio Mollo nel suo film d’esordio “Il sud
è niente (2013)”), la voce del silenzio che si fa violenza, la violenza che veste ogni
cosa e che si coglie nel saluto e nei gesti, nei regali, nei convenevoli, nelle
azioni “amichevoli”, il rapporto ambiguo tra mafia e Stato colto sottilmente nella
frase “La Sicilia ha bisogno dell’Europa,
l’Europa ha bisogno della Sicilia”, l’assenza di ribellione ai violenti, la
speranza di un riscatto che non verrà mai, la voglia di lasciare tutto, la
rinuncia dei vecchi di riscattarsi assieme alla voglia di rimanere dei giovani
che vogliono lottare, ribellarsi, per una società migliore senza nascondersi, a
viso scoperto, e che sono stati molto spesso vittime. Ribellione evinta anche ne “I cento passi” (2000), di Marco
Tullio Giordana, dalla frase passionalmente pronunciata da Peppino Impastato (Luigi
Lo Cascio), vittima della mafia, che introduce chiaramente l’ambiente familiare
e ambientale in cui nascono e vivono i giovani del Sud “Mio padre, la mia famiglia, il mio paese! Io voglio fottermene! Io
voglio scrivere che la mafia è una montagna di merda! … Noi ci dobbiamo ribellare. Prima che sia
troppo tardi! Prima di abituarci alle loro facce! Prima di non accorgerci più
di niente!”
Il
film si presta bene anche ad essere strumento didattico eccezionale e penetrante
di divulgazione e di comprensione del fenomeno mafioso per gli studenti di
tutte le età. Fa capire, infatti, in modo estemporaneo e graduale, che per
combattere la mafia è necessario aprire la mente alle future generazioni perché
queste comprendano che la malvagità è subdola ed è difficile saperla
distinguere. Tant’è che Arturo da grande (Pif) recita “quando sono diventato padre ho capito due cose: la prima che avrei
dovuto difendere mio figlio dalla malvagità del mondo, e la seconda che avrei
dovuto insegnargli a distinguerla”.
“La mafia a Palermo non esiste” così viene ribadito all’inizio del
film: un’espressione con la quale il
regista, che cita anche l’allora Presidente del Consiglio secondo cui la mafia
esisteva solo in Campania e Calabria, ha voluto evidenziare la superficialità,
la disattenzione e la convivenza-collusione, a volte inconsapevole così come avviene
per Flora da grande (Cristiana Capotondi) che diventa segretaria del deputato
Salvo Lima. In questo contesto, si svolge sin dalla nascita la vita di Arturo
(Alex Bisconti) che da bambino, alla scuola elementare, si innamora
perdutamente di una sua compagna di classe, Flora (Ginevra Antona).
Un plauso meritato al
regista esordiente Pif che ci ha regalato un’opera che viene la voglia di
vedere più volte per cogliere quelle sottili sfumature molto significative che
costellano il film, così come le stelle il firmamento. Al Festival del Cinema di Torino 2013 “La mafia uccide solo d’estate” ha
ottenuto il premio come Miglior film
votato dal pubblico.
domenica 24 novembre 2013
Dall’ultimo film del regista Asghar Farhadi emerge come “Il passato” ci condiziona nella vita e nelle scelte quotidiane
Titolo: Il passato
Titolo originale: Le passé
Regia e sceneggiatura: Asghar Farhadi
Produzione: Italia, Francia, 2013
Cast: Bérénice Bejo, Ali Mosaffa, Tahar Rahim,
Pauline Burlet, Elyes Aguis, Jeanne Jestin, Sabrina Quazani, Babak Karimi,
Valeria Cavalli, […]
Con quest’ultimo film“Il
passato”, il regista Asghar Farhadi
mette in atto uno spettacolo straordinario, così aggrovigliato, intenso,
profondo, ricco di significati che rientrano sia nella sfera emozionale che in
quella sentimentale e affettiva di ogni persona, uomo o donna, grande o piccola
che sia, tale da lasciare in continua attesa lo spettatore, del quale prova, riuscendoci,
ad attirare l’attenzione senza concedergli tregua per l’intera durata di 130
minuti. Il regista, infatti, scava nell’animo di ciascun protagonista in modo
così sottile e accurato, come fa un bravo medico durante un’operazione
chirurgica, con un ottimo risultato finale. Egli descrive, così, la mancanza di equilibrio
interiore e i sensi di colpa della moglie Marie (Bérénice Bejo) nei confronti
della figlia Lucie (Pauline Burlet) dall’animo ribelle. E delinea il carattere equilibrato e accomodante
del marito iraniano Ahmad (Ali Mosaffa), dal quale Marie deve separarsi, e, al
tempo stesso, quello disorientato di Samir (Tahar Rahim) con cui Marie deve
sposarsi. In ogni caso, Asghar Farhadi illustra, con sottile ed efficace perspicacia,
come ogni comportamento individuale dipenda dalle esperienze passate di ciascuno,
e fa emergere, in sostanza, “della forza del passato” l’aspetto virulento e intransigente
di questo, da cui nessuno si può sottrarre. Presenta questa forza come l’unica
entità, a dirla con il pensiero di Aristotele, che “Dio non può disfare”, o,
addirittura, come dice Anatole France, ne “Il giglio rosso” che “tutto ciò che
è, è passato”. Tra tutti gli attori bravissimi, spicca la bellissima Bérénice
Bejo, protagonista principale.
Asghar Farhadi è un regista pluripremiato come dimostrano i
diversi premi che ha ottenuto con il film “Apout Elly” (Orso d’Argento al Festival
di Berlino 2009) e il film “La separazione”, premio Oscar 2011 come miglior
film straniero (che ha ricevuto anche un David di Donatello, un Cesar, e 4 premi
al Festival di Berlino).
domenica 17 novembre 2013
La storia d’Italia dal boom economico fino all’era berlusconiana raccontata con brio nel”L’ultima ruota del carro”
Titolo: L’ultima ruota del carro
Regia: Giovanni Veronesi
Soggetto e Sceneggiatura: Giovanni Veronesi, Ugo
Chiti, Filippo Bologna, Ernesto Fioretti
Produzione: Italia, 2012
Cast: Elio Germano, Richy Memphis, Alessandra
Mastronardi, Virginia Raffaele, Sergio Rubini,Alessandro Haber, Massimo Wertmü
ller,Ubaldo Pantani, Dalila Di Lazzaro, Luis Molteni, […]
“L’ultima ruota del
carro”, film che ha aperto fuori concorso il Festival Internazionale del Cinema
di Roma 2013, è una commedia esilarante, spassosa, con un sentore ironico della
politica, che diverte lo spettatore continuamente e lo tiene attento per tutta
la sua durata. Basato sulla storia recente dell’Italia, esattamente quella che
va dal 1967 fino all’era berlusconiana, cioè quella che va dal boom economico
fino alla decadenza economica, etica, morale e politica dell’Italia, esso descrive
le virtù, personificate soprattutto da Ernesto (Elio Germano), da sua moglie
Angela (Alessandra Mastronardi) e dal suo amico pittore (Alessandro Haber), e i
vizi, personificati fondamentalmente da Giacinto (Richy Memphis) e dal
truffaldino Fabrizio Del Monte (Sergio Rubini). In questo lasso di tempo ci
sono le Brigate rosse, c’è l’omicidio di Aldo Moro, c’è l’ascesa al potere dei
socialisti e quindi di Bettino Craxi e del suo esilio ma, accanto a queste nefaste
turpitudini, ci sono la vittoria del Mondiali dell’Italia del 1982 e le vicissitudini di una delle tanti famiglie normali, di
cui non si parla mai appunto perché “normali”. Il titolo deriva da una frase
detta all’inizio del film dal padre (Massimo Wertmüller) - “Tu in questa famiglia sei l’ultima ruota del caro, capito?” - al figlio Ernesto quando si accorge
dalla pagella scolastica che questi non è portato per lo studio. Per questo lo
avvia al lavoro. Da quel momento e in quel lungo arco di tempo, inizia la
descrizione delle traversie di Ernesto che, per il suo carattere, la sua
integrità morale e per la sua grande umanità, risulta essere un italiano che
esce dal coro, si allontana da quei “todos caballeros”, cioè da quegli
stereotipi che i mass media oggi propagandano insistentemente e li emargina, e
che dimostra di essere anche un marito fedele. Per questo Ernesto risulta
essere un eroe del nostro tempo come Antonio Pane (Antonio Albanese), “L’intrepido”
(2013) di Gianni Amelio, che sottolinea con forza e vigore che di tutti gli
Italiani non si può fare lo stesso fascio e che ce n’è una buona parte che è
onesta, lavora e paga le tasse, e vive in una famiglia “normale”, con le sue
gioie e i suoi dolori. È nell’essere semplice, onesto, integerrimo, lavoratore,
amante della famiglia, anche pauroso, l’essere eroe del nostro tempo! Essere
cioè quello che un tempo veniva considerato un uomo “normale”. Giovanni Veronesi
dopo il suo capolavoro “Manuale d’amore" (2005) con il quale si guadagnò il
Nastro d’Argento per la migliore sceneggiatura, realizza “L’ultima ruota del
carro”, il suo film migliore, con il quale si confronta con i più grandi registi
della commedia all’italiana, quali sono stati Monicelli, Scola e Risi.
Richy Memphis, Alessandra Mastronardi (nomination
Nastro d’Argento 2012 come migliore attrice non protagonista del film “To Rome
with Love” di Woody Allen), Virginia Raffaele, Sergio Rubini, Alessandro Haber,
molto bravi affiancano un bravissimo Elio Germano che in questo film ha
superato se stesso.
giovedì 14 novembre 2013
Si respira aria di ‘ndrangheta nel film di Fabio Mollo “Il Sud è niente”
Titolo: Il Sud è niente
Regia: Fabio Mollo
Sceneggiatura: Fabio Mollo, Josella Porto
Produzione: Italia/Francia 2013
Cast: Miriam Karlkvist, Vinico Marchioni, Valentina
Lodovini, Andrea Bellisario, Alessandra Costanzo, Giorgio Musumeci, […]
L’immobilismo, il dire
e il non dire, il vestito di rabbia di cui non ci si può spogliare, l’incapacità
di resistere ad un mostro invisibile, il parlare con sguardi colmi di cinismo, le
metafore feroci e ricche di significato aggressivo, l’annientamento della
personalità, la sfiducia insita nei comportamenti (“… il sud è niente e niente
succede … non siamo niente …”), la voce del silenzio che si fa violenza, la violenza
che veste ogni cosa e che si coglie nel saluto e nei gesti, nei regali, nei
convenevoli, nelle azioni “amichevoli”, il rapporto ambiguo tra mafia e Chiesa,
l’assenza di ribellione ai violenti, la speranza di un riscatto che non verrà
mai, la voglia di lasciare tutto, la rinuncia dei vecchi di riscattarsi assieme
alla voglia di restare dei giovani che vogliono lottare per una società
migliore, tutto questo e altro emerge in questo lungometraggio, opera prima del
regista calabrese Fabio Mollo, un racconto di “realismo magico”.
Dice il regista “Il Sud
è niente è la storia di un Sud che è più emozionale che geografico”, dove
Grazia (Miriam Karkvist) ricerca disperatamente il fratello, la cui scomparsa è
immersa nel silenzio del padre Cristiano (Vinicio Marchioni) e della nonna
(Alessandra Costanzo) che, durante una visita al figlio e alla nipote, prepara come
dolci “gli ossi dei morti”, manifestando metaforicamente che qualunque cosa si tenti di fare al Sud risulta inefficace e inutile.
La ricerca continua del
fratello, materiale ma anche sentimentale, incomincia nel mare e termina col
mare dello Stretto di Messina, dove come in un grembo materno Grazia si ribella, riceve la
linfa vitale di “ritrovare se stessa e scoprire la sua identità” e di lottare “per riprendere possesso del proprio futuro e
riportare speranza là dove prima non c’era altro che silenzio”. E questa ribellione
richiama alla mente “I cento passi” (2000), il film di Marco Tullio
Giordana, dove la frase prepotentemente pronunciata da Peppino (Luigi Lo
Cascio) introduce chiaramente l’ambiente familiare e ambientale in cui nascono
e vivono i giovani del Sud “Mio padre, la mia famiglia, il mio paese!
Io voglio fottermene! Io voglio scrivere che la mafia è una montagna di merda! …
Noi ci dobbiamo ribellare. Prima che sia
troppo tardi! Prima di abituarci alle loro facce! Prima di non accorgerci più
di niente!”
Nel film, che è condotto
magistralmente da Fabio Mollo, si coglie anche un cenno sul rapporto ambiguo
tra mafia e Chiesa, messo in risalto dalla eterogenea partecipazione alla processione
del santo patrono del paese, rapporto che recentemente è descritto pure da
Nicola Gritteri e Antonio Nicaso nel saggio “Acqua Santissima”.
Bravissima è risultata
nel suo primo impegno cinematografico la ventunenne italo-svedese Miriam Kalrkvist.
Eccellente la partecipazione di Vinicio Marchioni.
La sceneggiatura del
film ha partecipato alle selezioni del Festival de Cannes- Cinefondation 2011, al
Berlinale Talent Project Market 2011, al Festival di Torino – Torino Film Lab
2010 e al Festival di Roma – NCN 2010.
Il film uscirà nelle
sale il 28 novembre 2013.
sabato 9 novembre 2013
Cercare “Il mondo fino in fondo” vuol dire vivere la diversità in piena libertà
Titolo: Il mondo fino in fondo
Regia: Alessandro Lunardelli
Sceneggiatura: Alessandro Lunardelli, Vanessa
Picciarelli
Musiche originali: Pasquale Catalano
Paese: Italia, 2013
Cast: Luca Marinelli, Filippo Scicchitano, Barbora
Bobulova, Camilla Filippi, Cesare Serra, Alfredo Castro, Manuela Martelli, […]
Dall’analisi di questo
film “Il mondo fino in fondo”, il primo lungometraggio di Alessandro
Lunardelli, emerge un reticolo di relazioni e di scelte straordinarie, imprevedibili,
inconsuete, che un diciottenne, Davide (Filippo Scicchitano), intraprende per scoprire
il senso della vita e le naturali inclinazioni
che stanno riposte nel suo animo e che tendono ad esplicitarsi liberamente. Ma
l’ambiente in cui vive, Agro una cittadina del nord Italia, non glielo
permette. Non ci vogliono, infatti, inibitori come il padre, o gli abitanti con
cui ha rapporti, perché questi con la loro presenza soltanto e con le loro “certezze” impediscono a Davide la libertà di scegliere
sulla base delle proprie tendenze sessuali e di vivere la sua vita senza impedimento
alcuno. Davide, di fatto, comprende di trovarsi in una società e, quindi, in una
famiglia che, con i suoi pregiudizi, i suoi stereotipi, i suoi dogmi, e le sue
regole, lo tiene come in una gabbia, in cui non riesce fondamentalmente ad
essere se stesso. Come avviene in “La vita di Adèle” (2013) di Abdellatif
Kerchiche, dove Adèle incontra Emma, così casualmente, Davide incontra
Andy (Cesare Serra), un giovane cileno ecologista. Dentro di sé avviene
qualcosa di misterioso, di incomprensibile, che lo stravolge e lo coinvolge.
Come una calamita che attrae i pezzetti di ferro, così Andy attrae Davide.
E lo attrae a tal punto che Davide, approfittando della carta di credito che
gli ha prestato il fratello Loris (Luca Marinelli), lo insegue fino alla fine
del mondo, in Patagonia, nel Cile, la patria del grande poeta Pablo Neruda (Mi
piaci quando taci perché sei come assente, …) , dove ancora si avvertono i
postumi violenti della violenta dittatura di Pinochet, e dove Andy si è recato,
come dice lui, per “morire” dinanzi al ghiacciaio di san Rafael, un gigante che
con la sua altezza di 200 metri si sfalda a poco a poco riversandosi sul mare. Uno spettacolo eccezionale che fa comprendere quanto la Natura
sia bella, travolgente e da rispettare. “Ci sono luoghi che chiamano in sé in
modo strano e irrituale. Ti mettono nel mirino e con il loro fascino svuotano
lentamente ogni resistenza all’abbandono” dice a riguardo il regista. Davide va a
cercare Andy inspiegabilmente? Per
amore si può andare fino alla fine del mondo e la spiegazione, forse stranamente,
la si può trovare nell’equazione di Dirac che è l’equazione più bella della
fisica che sancisce il seguente principio: “Se due sistemi interagiscono tra
loro per un certo periodo di tempo e poi vengono separati, non possono più
essere descritti come due sistemi distinti, ma in qualche modo, diventano un
unico sistema. In altri termini, quello che accade a uno di loro continua ad
influenzare l’altro, anche se distanti chilometri o anni luce”.
Ovviamente, sulla base di ciò,
viene spontaneo, estrapolando tale principio e applicandolo alle relazioni
umane, affermare che “Se due persone interagiscono tra loro per un certo tempo
in cui si verifica l’instaurarsi dei sentimenti reciproci di amicizia o di
amore, e poi vengono separate, esse non possono essere descritte come due
persone distinte ma, in qualche modo diventano un’unica persona. In altre
parole, quello che accade a una di loro continua ad influenzare l’altra, anche
se distanti chilometri o anni luce”. “Le storie dovrebbero iniziare in
un altro modo senza far male a nessuno” e,
invece, Loris è costretto a recarsi alla ricerca del fratello, lasciando
la moglie incinta e affrontando diverse peripezie pericolose, finché lo trova e
scopre che Davide è gay. “Sono gay,
Loris” gli dice di botto Davide superando definitivamente la paura di
esplicitare a un componente della sua famiglia, il fratello maggiore, la sua
naturale diversità e mostrando di aver acquisito quella libertà che gli era
negata nel paesino dove era nato e cresciuto. Loris, ovviamente, per necessità
è costretto a vivere in un ambiente di “diversi” e di ecologisti dove conosce
Ana (Manuela Martelli). Là si accorge che dal punto di vista umano costoro non
sono così “diversi” dagli altri, anzi lottano con coraggio per la difesa
dell’ambiente, tant’è che ad un certo punto Loris percepisce che nel rapporto
con il fratello la sua vita è cambiata e anche il suo modo di pensare quando afferma
che “Io non sono come voi, ma non sono
contro di voi”.
Il film nell’incipit
risulta condotto in modo un po’ frettoloso tale da disorientare inizialmente lo
spettatore (la rapidità, ad esempio, della scena in cui compare Barbora
Bovulova confonde), mentre per il resto dimostra una sceneggiatura ben
costruita e la bravura del regista nell’uso della macchina da presa. Bravi sono
risultati anche i due protagonisti principali, Luca Martinelli e Filippo
Scicchitano, già noti al grande pubblico del cinema per essere stati
protagonisti in film di successo rispettivamente in “La solitudine dei numeri
primi” (2010) di Saverio Costanzo, e in “Scialla” (2011) di Francesco Bruni. Il
film “Il mondo fino in fondo” è stato presentato fuori concorso nella sezione
autonoma e parallela del Festival Internazionale del Cinema di Roma (2013) “Alice
nella città”.
Etichette:
film italiani,
La solitudine dei numeri primi
venerdì 1 novembre 2013
“Sole a catinelle” per trasmettere un po’ di ottimismo e di vigoria all’italica gente
Titolo:
Sole a catinelle
Regia:
Gennaro Nunziante
Sceneggiatura:
Gennaro Nunziante, Checco Zalone
Produzione:
Italia, 2013
Cast: Checco Zalone, Aurore Erguy, Miriam Dalmazio,
Robert Dancs, Ruben Aprea, Valeria Cavalli, Orsetta De Rossi, Matilde Caterina,
Augusto Zucchi, […]
Un
film “Sole a catinelle” ben congegnato, esilarante, piacevole, rilassante, che
esprime bellezza e gradevolezza sin dalle sue prime immagini, tant’è che alla
fine vien la voglia di rivederlo per le continue risate che genera e per il
conseguente effetto terapeutico che ha sullo spettatore, effetto molto
importante e necessario soprattutto in questo periodo in cui la cronaca gli
propina continuamente sempre le stesse cose e gli stessi personaggi, come se
chi ha perso il lavoro e non lo trova, chi è disoccupato o chi non ha i soldi
per campare non abbia la stessa importanza se non di più. “Ridere fa bene alla salute” e trovare, oggi,
un pretesto che faccia ridere risulta fondamentale. Recentemente, infatti, è
stato scoperto che, durante la risata, dal cervello di un individuo vengono
prodotte delle sostanze chimiche, classificate come ormoni, chiamate
“endorfine”. Queste hanno proprietà antidolorifiche e la loro azione si
avvicina a quella della morfina (per questo l’end-orfina ha la stessa desinenza
della m-orfina) e dell’oppio, che contiene oltre alla morfina anche la codeina
e la tebaina, sostanze appartenenti al gruppo degli alcaloidi anch’esse con
proprietà analgesiche. La scoperta empirica degli effetti benefici della risata
fatta dai nostri antenati, di cui quel detto proverbiale ne è una prova, circa
quattro anni orsono è stata provata sperimentalmente ed è per questo che le
endorfine vengono chiamate anche “ormoni della felicità”. Per tutto questo
si è sviluppata una branca della psicologia, detta gelotologia (dal greco gelos, riso, e logos, discorso), che studia la risata e tutte le
applicazioni terapeutiche di questa che inducono a curare un individuo
depresso. La risata, assieme a tutto ciò che permette la produzione di
endorfine, quindi contribuisce al mantenimento della salute di un individuo e,
in caso di malattia, tende a indurlo ad un rapido miglioramento umorale
alleviandone l’effetto depressivo. La risata è, dunque, un’azione nervosa a
portata di mano di tutti che può essere generata raccontando barzellette in
compagnia di un gruppo di amici briosi o provocata dalla visione di un film
comico o dalla lettura di un libro umoristico o di tutto ciò che può farci
sentire bene. Ridere, allora, permette di vedere la vita da un altro punto di
vista, quello ottimista, che ci fa osservare il bicchiere sempre mezzo pieno e
non mezzo vuoto, ci fa prendere gli avvenimenti, buoni o brutti che siano,
sempre col giusto umore, ci fa dimenticare le preoccupazioni e affrontare i
problemi con più tenacia, ci fa acquisire serenità e rilassatezza e, quindi,
raggiungere quel senso di atarassia e aponia di stampo epicureo. In definitiva
la locuzione latina “Faber est suae quisque fortunae”, ovvero “Ognuno è artefice della propria sorte”, sta ad indicare in particolare anche questo: la propria
condotta di vita dipende appunto da noi stessi!
“Sole a
catinelle” è un film che
fa ridere per tutta la sua durata ed è, per quanto detto sopra, che è consigliabile andarlo a vedere. È un film dove,
ancora una volta Checco Zalone nella sua comica “rozzezza” brillante ed espressiva
ha rifatto centro con il suo ottimistico fascino. È un film intelligente e spiritoso
che utilizza la risata, una verace risata vorace, per discutere dei problemi del
lavoro e della famiglia. Un film semplice e profondo al tempo stesso per i temi
affrontati: la crisi economica che crea disoccupazione, la disoccupazione che
disgrega le famiglie, la scuola che è impotente di fronte a certe problematiche
e ne affida l’inefficace soluzione a professionalità esterne che non hanno
niente a che fare con la formazione dell’individuo, le frodi fiscali commesse
da imprenditori disonesti, i ricchi che si arricchiscono con operazioni
illegali alle spalle della povera gente che diventa sempre più povera, l’ipocrisia dilagante
dei cosiddetti vip, l’azione dei poteri forti attraverso le logge massoniche, la
quale influenza la politica e l’economia
a loro vantaggio. Un film però che riversa sul pubblico ottimismo e
intraprendenza.
Laureato
in giurisprudenza ma dedito allo spettacolo, Zalone ha uno spiccato senso
dell’umorismo geniale e una creatività che sono manifestamente e
indiscutibilmente insuperabili. Zalone, il regista Gennaro Nunziante e il
produttore Pietro Valsecchi hanno costituito un trio vincente che fa divertire
e che, al tempo stesso, fa fare anche ottimi incassi. “Non c’è due senza tre”, dice il
proverbio e, infatti, dopo “Cado dalle nubi” (2009) e il grande successo di “Che
bella giornata” (2011), ecco questo nuovo film strabiliante, “Sole a catinelle”,
semplice e profondo, dove scorrono volti giovani, freschi e belli, simpatici e
attraenti, come quelli di Aurore Erguy (Zoe Marin), di Miriam Dalmazio
(Daniela), di Valeria Cavalli (Juliette Marin) e, soprattutto, quello di Robert
Dancs (Nicolò), una giovanissima rivelazione che non ha niente da invidiare ai piccoli
“geni” dei film americani.
domenica 27 ottobre 2013
In “La vita di Adele” Kerchiche presenta l’amore nella sua naturale, genuina e pura nudità
Titolo:
La vita di Adèle
Titolo
originale: La Vie
d'Adèle
Regia:
Abdellatif Kerchiche
Sceneggiatura:
Abdellatif Kerchiche, Ghalya Lacroix
Produzione:
Francia 2013
Cast:
Adèle Exarchopoulos, Léa Seydoux, Salim Kechiouche, Mona Walravens, Jeremie
Laheurte, Alma Jodorowski, Aurélien Recoing, Catherine Salée, Fanny Mourin, Benjamin
Siksou, Sandor Funtek, […]
Il regista Abdellatif Kerchiche in “La
vita di Adele”, con una eccezionale maestria e con dei continui primi piani per
tutta la durata del film efficaci a mettere in evidenza il pathos degli attori,
fotografa la vita più intima, cioè la
vita interiore, sentimentale, emotiva che è posta nell’anima di due donne, quella
della giovanissima Adele (la bravissima Adèle Exarchopoulos) e quella di Emma (Léa
Seydoux), presentando il loro incontro nella loro genuina diversità e nella loro
naturale nudità, come le chiome di due alberi dai colori diversi che mosse dal
vento si sfiorano delicatamente. Mostra il loro amore, che sgorga spontaneo con
tutta la naturalezza, la purezza e la nudità che esso possiede, l’amore come un
legame invisibile, incorporeo che le congiunge in un solo corpo, senza distacco,
che le orienta nella vita, che le dà forza, che le conferisce equilibrio, che le
soddisfa pienamente e che le rende serene. Mostra la coppia sdraiata dormiente sul
letto che diventa eterea come come un quadro sublime da paragonare a “Il bacio”
di Gustav Klimt.
Non appena questo legame, tuttavia,
viene spezzato qualunque ne sia la causa, subentra il distacco, la mancanza, e il
dolore che questa produce si manifesta in maniera violenta e continua senza
possibilità alcuna di rimedio.
Adèle frequenta l’ultimo anno del Liceo “Pasteur”
dove studia Letteratura, ha una vita apparentemente tranquilla in una famiglia
tradizionalista ed aspira a specializzarsi per diventare maestra d’asilo. Un
giorno viene colpita dalla lettura in classe di un passo de “La vita di
Marianna” di Marivaux che induce Adèle a mascherare i
propri sentimenti concedendosi a Thomas (Jeremie Laheurte) con il quale ha un rapporto effimero. Adèle,
infatti, incontra e conosce Emma, una ragazza dallo sguardo languido più grande
di lei, un’artista pittrice e grafica, amante della filosofia, dai capelli
color viola, disinibita e trasgressiva, proveniente da una famiglia
anticonformista, che le si presenta appunto come una novella Antigone, la fanciulla dissidente della tragedia di Sofocle che si oppose alle
leggi umane credendo che esse contrastassero con quelle divine a costo della
vita. Dalle discussioni con Emma, Adèle comprende di trovarsi in una società e
quindi in una famiglia che, con i suoi pregiudizi, i suoi stereotipi e le sue
regole, la tiene come in una gabbia, in cui non riesce fondamentalmente ad
essere se stessa, anche se lei, come qualunque altro essere sulla terra non può
resistere ad un “vizio” intrinseco,
così come l’acqua che nasce con un peso che l’assoggetta ad una legge naturale,
la legge di gravità. L’età adolescenziale,
in cui si trova Adèle, è una fase difficile della vita, è il punto di
transizione dall’infanzia all’età adulta, una terra di confine misteriosa che
rende incerto il cammino, che fa sentire il vuoto dentro che non si sa come riempire.
Adèle per questo non riesce a svincolarsi dagli stereotipi e dai pregiudizi dei
genitori e dei compagni di scuola. Al contrario, Emma è disinvolta, evoluta,
non compromessa, si sente libera, e in questo suo essere, coinvolge Adèle e ci
riesce raggiungendo assieme a lei l’empireo. Emma, tuttavia, perde questa sua
libertà a discapito della sua coscienza, perché si lascia sopraffare compromettendosi
con le consuetudini e la prassi che la società impone, con la conseguenza del
suo disfacimento fisico e morale come le donne rappresentate da Schiele, lasciando
Adele nella solitudine più triste e angosciosa. Emerge, dunque, con forza l’angoscia
sartriana secondo cui l’individuo, uomo o donna che sia, si illude di vivere
nella “… libertà, che si rivela nell'angoscia …” e che si caratterizza “…
con l'esistenza di quel niente che si insinua tra i motivi e
l'atto …”, che si ritrova, sotto altra forma nell’incipit di “Demian” di Hermann
Hesse che così recita “Volevo solo cercare di vivere / ciò
che spontaneamente veniva da me. / Perché fu tanto difficile?”.
“La vita di Adèle” (premiato
come migliore film con la Palma d’Oro al Festival di Cennes 2013) è un film caratterizzato,
oltre che dai primi piani straordinari e singolari, anche da un continuo
ricorso a cene conviviali, dove prevale il piatto “spaghetti alla bolognese” ,che
fanno pensare al “Convivio” di Platone dove i convenuti consumando cibo e vino dialogano
al fine di ricercare la verità. Quella verità che il regista cerca con questo
capolavoro cinematografico.
Abdellatif
Kerchiche ha già vinto il premio Opera Prima Luigi De Laurentis alla 57^ Mostra
del Cinema di Venezia con il film “Tutta colpa di Voltaire” (2000), il premio
Cesar con “La schiva” (2003) e il premio Speciale della Giuria alla Mostra di
Venezia 2007 con il film “La graine e le mulet”.
sabato 26 ottobre 2013
Il sogno di Peppino non è ancora tramontato
"Aut.
Il sogno di Peppino. Attualizzare Impastato"
Sceneggiatura: Giulio Bufo
Cast: Giulio Bufo, Federico Ancona
Questo è il titolo di uno spettacolo eccezionale, straordinario, ben
costruito, interessante per il tema trattato da “far accapponare la pelle”, che
ieri sera è stato presentato al circolo Hemingway di Latina dal suo autore
Giulio Bufo, anche interprete indiscusso della figura di Peppino Impastato, il
giovane siciliano che si è sacrificato (fu assassinato il 9 maggio 1978 per una
strana coincidenza con il giorno dell’uccisione di Aldo Moro) per aver creduto in
un sogno, quello di combattere la mafia e sconfiggerla con l’arma delle parole
e della forza dell’onestà intellettuale.
Lo
spettacolo inizia sentendo dei passi pesanti che si avvicinano al palco e che
richiamano alla mente dello spettatore “I cento passi” (2000), il famoso film
di Marco Tullio Giordana, dove la frase prepotentemente pronunciata da Peppino (Luigi
Lo Cascio) introduce chiaramente l’ambiente familiare e ambientale in cui è
nato e vissuto il giovane “Mio padre, la mia
famiglia, il mio paese! Io voglio fottermene! Io voglio scrivere che la mafia è
una montagna di merda! Io voglio urlare che mio padre è un leccaculo! Noi ci
dobbiamo ribellare. Prima che sia troppo tardi! Prima di abituarci alle loro
facce! Prima di non accorgerci più di niente!” . Quell’ambiente, la Sicilia, regione ricca di
odori, sapori e colori, tra i quali il rosso, colore del sangue e della
passione e dell’amore e della fierezza, colore diffusissimo che predomina su
tutti gli altri in quanto si presenta in vario modo. È il colore dell’arancia
frutto succoso e prelibato, è il colore del fuoco dell’Etna che sfavilla dalla
sua bocca e che scorre lentamente esprimendo la passione insita nel carattere del
suo popolo, e poi è anche il colore della mafia, quel colore rosso di fiumi di
sangue che scorrono nella coscienza di chi non fa niente per evitarli, sin dai
tempi della strage della Portella della ginestra, a Piana degli Albanesi,
avvenuta durante la festa del lavoro il primo maggio del 1947 nella nascente
Repubblica italiana.
I passi con
cui l’attore si approssima sulla scena sono accompagnati dalla canzone (di Ombretta
Colli) “Facciamo finta che … tutto va ben/ tutto va ben/facciamo finta che tutto va
ben ...” che fa risaltare
l’indifferenza della gente comune verso il problema mafioso in cui è immersa e
che respira ogni giorno, e da cui emerge il pensiero unico “… che il povero sia in
fondo un gran signore/ che il servo stia assai meglio del padrone/ che le persone anziane stian benone/ che i giovani abbian sempre... un'occasione …”.
L’autore/attore
manifesta, in questo spettacolo una bravura eccezionale avendo saputo mettere
in evidenza l'energia, la voglia di costruire, la fantasia, il dolore e il
coraggio, in definitiva la voce di Peppino che ha disobbedito con i suoi modi di essere e di
pensare al potere costituito, sia partitico sia religioso, colluso e che ha
osato credere in un ideale fortemente insito nella coscienza umana che è quello
di combattere lo strapotere, l’arroganza, la violenza, e sfidare un mondo
squallido, disumano, privo di valori, la “mafiopoli” che si nutre di chi trae
la linfa vitale (benefici, favori, proventi, raccomandazioni, ecc.) da essa medesima,
con l'illusione di cambiarlo. Giulio Bufo fa emergere, durante lo spettacolo,
il crudele conflitto di Peppino con il padre, mafioso pure lui, evidenziando
come la mafia entrando subdolamente dentro l’anima di un individuo la possa trasformare,
stravolgere, facendole assumere una maschera di vergogna, di disonestà e di
meschinità indelebile. Al tempo stesso, fa risaltare il senso di disonore che
Peppino vive e soffre e che cerca di lottare con tutte le sue forze sino alla
morte. Uno spettacolo che ogni cittadino italiano dovrebbe vedere sia per non
dimenticare la storia recente sia per valutare attentamente tutto ciò che
avviene quotidianamente a livello politico ed economico sotto i suoi occhi.
<<Dopo
l'esordio di questo spettacolo "Aut (n.d.r. la radio di peppino). Il Sogno
di Peppino. Attualizzare Impastato", nel dicembre 2011, alla presenza di
Giovanni Impastato, il fratello di Peppino, dopo essere stato rappresentato il
10 maggio 2013 a Cinisi, all'interno dei Casa Badalamenti/Casa 9 Maggio, avendo
come pubblico i compagni storici di Peppino come Salvo Vitale e Faro Di Maggio, dopo essere stato rappresentato in diverse situazioni
da centri sociali occupati a scuole e di fronte ai parenti delle vittime di
mafia pugliesi, per "Aut" con il tour "Peppino In
Movimento" giunge il momento di andare verso il Nord Italia, coprendo
tappe fondamentali di un percorso di teatro e militanza scopo primo dell'autore
Giulio Bufo.
"Aut-Il sogno di Peppino" è uno
spettacolo che riscopre il Peppino Impastato rivoluzionario. Cogliendo il
collegamento della mafia con il sistema capitalistico, riscopre lo spirito
politico della vita militante di Peppino, rendendo lo spettacolo stesso
intrinsecamente militante. "Quella
vita, fatta di ribellione, di denuncia, di lotta e di coraggio ritorna sulla
scena quasi in punta di piedi, in disordine, con la freschezza di un giovane
sognatore la cui vita sarà causa della sua morte".
L'attore in scena canta con l'accompagnamento del
flauto di Federico Ancona: "Facciamo finta che tutto va bene!".
Perché troppo spesso è questo l'atteggiamento di molti di fronte ai delitti e
alle nefandezze della mafia e del sistema politico corrotto.
Ed è questo ciò che Peppino ha combattuto per tutta
la sua vita e Giulio Bufo, attraverso l'arte della parola, la gestualità e la
sua singolare capacità vocale, cerca di fare lo stesso in teatro oggi. Lo spettacolo ha la capacità di sollecitare domande,
riflessioni, e di portare una maggiore consapevolezza negli occhi degli
spettatori.
Il grido del personaggio è rivolto alle coscienze,
su di esse vuole suscitare una presa di posizione e l'assunzione di una
speranza che possa dare corpo ad un'utopia per le nuove generazioni." (da
Teatro.org). Le lotte sociali di Peppino, la
sua partecipazione a fianco delle occupazioni dei contadini contro la costruzione
della terza pista dell'aeroporto di Punta Raisi, richiamano le lotte dei No Tav
e quelle del No Mous.
Lo spettacolo, allora, trae il proprio significato
politico dalla riflessione di Impastato, attualizzandola alle lotte del
presente ed avvicinandolo alla gente che continua a portare avanti certe
battaglie. Quelle per i diritti di
cittadinanza, della libera circolazione, per la tutela del territorio, per la
creazione di spazi sociali occupati e liberati dal mercato, per il diritto ad
un esistenza dignitosa, per le lotte dei beni comuni e della collettivizzazione
di essi.>>
sabato 19 ottobre 2013
Le cause della crisi di una coppia vengono radiografate nel “L’ultima foglia” di Leonardo Frosina
Titolo: L’ultima foglia
Regia: Leonardo Frosina
Soggetto e sceneggiatura: Leonardo Frosina
Produzione: Italia, 2013-10-18
Prodotto da: Josei (Barbara Bruni, Manila
Mazzarini, Silvia Ricciardi)
Cast: Fabrizio Ferracane, Giorgia Cardaci,
Kristina Cepraga, Alfio Sorbello, Ninni Bruschetta, Andra Bolea, Cristina
Puccinelli, […]
Una coppia come tante altre, dalla vita
apparentemente normale che si svolge in una città, Roma, una Roma esotica,
diversa, periferica, sconosciuta, lontana dai luoghi classici noti e
frequentati. Non c’è il Colosseo, non c’è Piazza Navona, non c’è la Fontana di
Trevi, non c’è la Cupola né si intravede. Al loro posto ci sono, pilastri, travi
e architravi cementizi attraverso cui si intravedono sprazzi di cielo solcato
da aerei, o si scorge un susseguirsi di palazzi senz’anima, in mezzo ai quali
si intravedono gasometri scheletriti a testimoniare il degrado sociale che
testimonia il conseguente abbandono sentimentale. Strade popolate da auto senza pedoni che
manifestano una Roma di periferia senza storia, e quindi, senza anima.
In questo ambiente, il regista Leonardo Frosina
colloca magistralmente il film L’ultima
foglia, sua opera prima, il cui titolo richiama l’autunno e il sentore di
malinconia che questo avvolge. “L’ultima
foglia - dice il regista -, nasce
dalla esigenza di raccontare una sorta di indolenza sentimentale che sempre più
spesso si verifica nei rapporti. Vari fattori condizionano le coppie di oggi,
primo fra tutti la precarietà del lavoro e di conseguenza l’instabilità
economica …”. A ciò si aggiunge la lontananza forzata dei protagonisti dai loro
luoghi di origine, dagli affetti e dai ricordi infantili e della gioventù che essi
conservano indelebili nel loro animo. Lei, Rossana (Giorgia Cardaci) è una
musicista di violino in cerca di lavoro. Lui, Zeno (Fabrizio Ferracane) è,
invece, un metronotte dipendente di una società diretta da un capo dispotico e
arrogante (Ninni Bruschetta), che legge “O capitano, mio capitano” di Walt
Whitman, ma che dimostra di non avere alcuna umanità nei confronti dei propri
dipendenti. A poco a poco, mentre la pellicola scorre, lo spettatore avverte,
dallo scorrere del tempo relativistico (per Rossana il tempo scorre lentamente, causa il suo non far niente forzato, mentre per Zeno, invece, il tempo passa
velocemente), dagli sguardi, dalle espressioni che vogliono dire ciò che è
indicibile o che è difficile a dirsi, dallo smarrimento espresso dagli occhi, dalle
paure recondite, dai lunghi silenzi esasperati, dai comportamenti strani, dai
dialoghi monosillabici, un incipiente crisi del rapporto coniugale, ma senza
ancora averne la certezza. Perché Rossana e Zeno, talvolta, si cercano, fanno
sesso, dimostrano di averne tanta voglia, i loro corpi si toccano, si spremono,
si avviticchiano, si sfogano. E per questo ci si chiede se Rossana e Zeno ancora si amano
o il loro è soltanto sfogo sessuale o abbandono dettato da istinto ipocrita.
Nel loro rapporto c’è, infatti, una stasi sentimentale, un travaglio interiore,
che si coglie dalle variazioni di comportamento repentino, tant’è che Rossana,
avendo scoperto di essere incinta, stenta di comunicare questo evento al marito,
ma quando glielo manifesta - “… aspetto un figlio, ma tanto non mi senti …” -
coglie in un attimo nella espressione di Zeno, un non sentire, un’indifferenza
istintiva che la fa piangere e allontanarsi da lui di corsa. Rossana soffre la
solitudine e vive in una città che non ama, una città che la “fa sentire
estranea”. Zeno, pur lavorando, anche lui vive in una città, “in cui essere
uomini … non è facile”. Una città, allora, che piuttosto che aggregare,
disgrega, separa ciò che invece dovrebbe tenere unito. Una città che in Rossana
e Zeno crea situazioni diverse tra le quali non c’è intersezione, non esiste un
punto di incontro. E questa diversità porta il rapporto a sgretolarsi
definitivamente, ad annullare i sentimenti dell’uno verso l’altro, creando in
ciascuno di loro un vuoto dentro incolmabile. Un allontanamento che si fa
sempre più greve, catalizzato dalla comparsa, nella vita di Zeno, di una
bellissima bionda rumena, Ela (Kristina Cepraga), una barista, la cui
conoscenza è catalizzata dal suo amico e compagno di lavoro, il brioso ed
estroverso Tom (Alfio Sorbello).
Come finirà quando Zeno scoprirà che Rossana ha
partorito? La nascita del figlio farà ricucire il rapporto sentimentale
interrotto? E il rapporto tra Zeno ed Ela come finirà? Domande a cui soltanto
la visione del film potrà dare una risposta.
Il regista è stato molto bravo nell’aver saputo
distinguere il carattere della donna da quello dell’uomo, a essere stato capace di fare
esprimere agli attori il travaglio interiore che la storia esigeva, e ha saputo
scandire il tempo usando il “time lapse” essenziale per evidenziare la sensazione
relativistica del tempo.
La fotografia ha usato colori cupi per meglio
evidenziare la sofferenza dei personaggi, Rossana e Zeno, immersi nelle loro
beghe sentimentali, e colori pieni di luminosità per risaltare i momenti di
amore passionale tra Ela e Zeno. Il tutto accompagnato da brani musicali efficaci
a coinvolgere emotivamente lo spettatore.
Gli attori hanno mostrato una bravura
eccezionale messa in risalto soprattutto dalla gestualità, dalla espressività
degli atteggiamenti immersi in silenzi molto eloquenti. Bravissima è apparsa,
tra tutti, Giorgia Cardaci a cui è stato assegnato il Premio di migliore
attrice al RIFF 2013 – Rome Independent Film Festival e al Film Spray 2013 –
Festival dei film invisibili a Firenze. In quest’ultimo Festival è stato
assegnato anche il Premio per la migliore fotografia a Sandro Magliano. Il film
ha partecipato anche a Randance Film Festival di Londra, 2013.
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