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venerdì 27 settembre 2019
“Ad astra”, una profonda e stimolante riflessione sulle inclinazioni dell’uomo connesse con il senso della vita
Titolo: Ad Astra
Regia: James Gray
Sceneggiatura: James Gray, Ethan Gross
Musiche: Max Richter
Produzione Paese: USA, Brasile, Cina, 2019
Cast: Brad Pitt, Tommy Lee Jones, Ruth Negga, Liv
Tyler, Donald Sutherland, John Ortiz, Greg Bryk, Loren Dean, John Finn, Kimberly
Elise, LisaGay Hamilton, Jamie Kennedy, Natasha Lyonne, […]
Ad astra, locuzione forse estrapolata dalla
più completa frase latina Per aspera sic
itur ad astra, con la quale si vuole indicare che
per giungere alle stelle, ovvero alla gloria o al successo, bisogna superare
grandi ostacoli, ricalca molto bene il contenuto di questo bel lavoro di James
Gray.
Ci sono film, tra cui il capolavoro indiscusso 2001 - Odissea nello spazio (1968) di
Stanley Kubrick a cui si affianca la SUA risposta sovietica Solaris (1972) di Andrej Tarkovskij, e i più recenti Gravity (2013) di Alfonso Cuaron e Interstellar (2014) di Christopher Nolan
che, assieme a questa recentissima pellicola Ad Astra, affrontano il problema del rapporto dell’uomo con
l’universo, spesso considerato come causa di imprevisti per l’uomo. In questo
contesto, viene compreso sua sponte il dilemma connesso con la
continua ricerca del senso della vita, che, a tutt’oggi, a meno che l’essere
umano non rifugga, come è suo solito di fronte al mistero, nei dogmi religiosi
come del resto fa da quando è stato creato, rimane profondamente irrisolto.
Uno degli imprevisti che, nel film Ad
Astra, nocciono alla Terra, sono delle
emissioni improvvise di energia di origine ignota, provenienti da Nettuno, il
pianeta ai confini del Sistema solare. Si sospetta che esse potrebbero essere
causate dalla base spaziale del progetto LIMA, che ventinove anni prima era
stato condotto dall’astronauta Clifford McBride (Tommy Lee Jones), e di cui non si è saputo più nulla da sedici anni,
anche se ci sono dei segnali che fanno pensare che sia vivo.
Conseguentemente lo SpaceCom, il Comando Spaziale, per indagare sulle cause di
ciò, convoca il quarantacinquenne maggiore Roy McBride (Brad Pitt),
figlio di Clifford, a cui vuole affidare la missione segreta di ricerca del
padre. Roy, che aveva sedici anni quando il padre partì, è stato sempre
affascinato dalle sue gesta, tant’è che manifesta il suo orgoglio di figlio dicendo: Faccio quello che
faccio grazie a mio padre, lui era un eroe. Ha sacrificato la sua vita per il
sapere. E Roy, anche se viene avvertito sui
rischi a cui andrà incontro (Potrebbe
essere uno shock per lei, suo padre faceva esperimenti con del materiale classificato
che poteva compromettere il nostro intero sistema solare, distruggendo ogni
forma di vita! Contiamo su di lei per scoprire cosa sta succedendo) accetta senza alcun a titubanza la missione (pronto a fare il mio lavoro al meglio delle
mie capacità. Ribadisco il mio fermo impegno a completare la missione secondo
le regole, se necessario distruggerò il progetto nella sua totalità. La Terra
sperava in lui ed ora è tutto ... nelle mie mani!)
A tal punto lo spettatore, di cui viene coinvolta tutta
la sua immaginazione, ha l’occasione di gustarsi, sulla base di un’attraente
scenografia, le intime riflessioni e gli intensi e profondi dialoghi,
accompagnati da musiche originali che ben si adattano alle continue azioni
frenetiche e imprevedibili che si presentano. Attraverso essi, grazie all’uso
metaforico che il regista pone con buon esito in atto, lo spettatore coglie l’attitudine
drammatica dell’uomo volta non solo a distruggere il proprio pianeta ma anche a
danneggiare gli altri corpi celesti, vedi la Luna e il pianeta Marte, così come
è avvenuto sulla Terra a decorrere soprattutto dal 1492, anno di scoperta dell’America.
Trasportato delle sue passioni, che lo inducono all’affannosa ricerca della
verità o alla bramosia di grandezza, l’uomo abbandona i suoi affetti più cari e
si scontra con la sua essenza: il padre, che lascia la sua famiglia e il figlio, per realizzare il suo sogno, o il marito che lascia la moglie per dare un scopo
all’impronta educativa ricevuta e alle sue innate aspirazioni. E in questo continuo trasporto
il tempo passa, l’età avanza e, ad un certo punto, egli si accorge degli errori
commessi, dell’inutilità di questa lotta sfrenata e cerca di tornare sui suoi
passi finché sia possibile, altrimenti rinuncia al suo scopo e alla sua vita.
Il film è stato presentato alla LXXVI edizione della Mostra
Internazionale del Cinema di Venezia.ì
Filmografia
Little Odessa (1994), The Yards (2000), I
padrone della notte (2007), Two Lovers (2008), C’era una volta a New York
(2013), Civiltà perduta (2016).
Francesco Giuliano
sabato 7 settembre 2019
“Mio fratello rincorre i dinosauri”, un film che affronta con brio e sagacia il tema della disabilità
Titolo: Mio fratello
rincorre i dinosauri
Regia: Stefano Cipani
Soggetto: Giacomo
Marraziol (dal romanzo autobiografico omonimo)
Sceneggiatura: Fabio
Bonifacci, Giacomo Marraziol
Musiche: Lucas Vidal
Produzione: Italia, 2019
Cast: Alessandro Gassmann,
Isabella Ragonese, Rossy De Palma, Francesco Gheghi, Lorenzo Sisto, Arianna
Becheroni, Gea Dall’Orto, Maria Vittoria Dallasta, Edoardo Pagliai, Saul Nanni,
[…]
Sarà diverso da
voi. È speciale... dotato di superpoteri, dice Katia
(Isabella Ragonese), con l’ingenua e sottile complicità del marito Davide, ai
figli [due femmine, Chiara (Gea Dall’Orto) e Alice (Maria Vittoria Dallasta), e
un maschio Jack (Francesco Gheghi)], dopo la nascita di Gio (Lorenzo Sisto), un
bambino affetto dalla sindrome di Down, come si sa causata dalla presenza del
47° cromosoma nel nucleo cellulare. Questa è l’innocente bugia che viene ritenuta
verità indiscussa dal piccolo Jack il quale però, quando diventa grande, si
rende conto della situazione fisiologica in cui si trova il fratello (La verità è che mi avete fatto credere che era un supereroe,
siete dei bugiardi!)
e, per vergogna, cerca di nascondere agli amici e ai compagni di scuola l’esistenza
del fratello down, asserendo che è morto. E ciò lo fa anche con la prima fiamma
della sua vita, di cui è innamorato profondamente: Arianna (Arianna Becheroni),
una ragazza perspicace e molto impegnata socialmente. Come è volgarmente noto,
tuttavia, le bugie hanno le gambe corte,
e Jack si trova costretto a confessare la verità. A quel punto, scartato da tutti,
soprattutto da Arianna, che gli rinfaccia di
averle detto di avere solo due sorelle,si
rende conto che non si può pensare di essere amati senza se e senza ma, se non si è
all’altezza di amare gli altri accettandoli con tutti i loro difetti. Jack riceverà addirittura dal comportamenti di Gio
questo insegnamento universale, che farà ricrederlo e lo porterà a pensare che suo fratello
è veramente un supereroe, tant’è che con grande convinzione afferma: Lui è genialità e
ingenuità al tempo stesso, Gio è uno che quando si trova nei corridoi corre,
perché nei corridoi si corre! Gio è uno che ogni mattina si sveglia e ti chiede
se fuori c'è il sole, ogni mattina porta dei fiori alle sorelle ... e quando mi
chiedono cos’ha Gio, io rispondo sempre: Mio fratello rincorre i dinosauri.
Ci sono temi sociali con cui è difficile coinvolgere il grande
pubblico, ma Mio fratello rincorre i dinosauri, grazie alla sceneggiatura scorrevole
e briosa e alla regia di Stefano Cipani, al suo esordio, che usa un linguaggio delicato e
una scorrevole fluidità narrativa, riesce, grazie anche ad un procedere vivace, a coinvolgere lo spettatore sia emotivamente, come quando si riceve un bel regalo, che
razionalmente perché lo fa riflettere su un tema che spesso viene rifiutato dalla
collettività. Mio fratello rincorre i dinosauri, presentato alla
76^ Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, è un film semplice e con un alto valore pedagogico che, affrontando un
problema sociale importante, riesce a sorprendere, divertire e appassionare. Per questo dovrebbe essere utilizzato come strumento didattico nelle scuole. Nel contempo,
questo film trasmette la bellezza della condivisione emotiva, dell’anormalità
considerata un fatto normale e del prendersi cura del diverso che diverso non è,
così come recita la canzone di Franco Battiato La cura cantata nei
titoli di coda: Ti proteggerò dalle paure
delle ipocondrie/ dai turbamenti che da oggi incontrerai per la tua via/ dalle
ingiustizie e dagli inganni del tuo tempo/ dai fallimenti che per tua natura
normalmente attirerai./ Ti solleverò dai dolori e dai tuoi sbalzi d'umore/ dalle
ossessioni delle tue manie./ Supererò le correnti gravitazionali/ lo spazio e
la luce per non farti invecchiare. E guarirai da tutte le malattie/ perché sei
un essere speciale./ Ed io, avrò cura di te …
Francesco Giuliano
venerdì 6 settembre 2019
“Il pianeta in mare”, la descrizione di una ferita socio-ambientale sospesa tra terra e mare
Titolo: Il pianeta in mare
Regia: Andrea Segre
Sceneggiatura: Andrea Segre, Gianfranco Bettin
Musiche: Sergio Marchesini
Durata: 96 min
Produzione: Zalab Film con Rai Cinema
Distribuzione: Zalab Film
Il pianeta in mare, diretto da Andrea Segre e scritto dallo stesso regista
insieme con l’autore Gianfranco Bettin, è un film documentario presentato Fuori Concorso alla
LXXVI Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, che uscirà nelle
sale il prossimo 26 settembre.
Il film documentario Il pianeta in mare fa entrare lo spettatore, che diventa sin
dalle prime immagini consapevole e anche incredulo dello stato di degrado
ambientale e sociale, nella zona industriale di Marghera, cuore meccanico della
Laguna posto a 5 km da Venezia, e che da circa un secolo non smette di fervere.
Con esso si descrive un mondo in bilico tra il suo passato profondamente
scomodo e imbarazzante e il suo futuro incerto, dove lavorano operai di oltre sessanta
nazionalità diverse che ne fanno un pianeta internazionale … in mare.
In esso lo spettatore si smarrisce in quei luoghi mai visti prima e si stupisce
per l’abbandono di laboratori chimici dove si analizzavano le acque per la
determinazione di CVM (MonoVinilCloruro o Cloroetene, altamente
cancerogeno) in seguito al suo largo uso per produrre il polimero PVC (PoliVinilCloruro),che
provocò vittime e quindi processi interminabili con condanne prescritte; in
esso lo spettatore si sorprende nel constatare che il fondale marino a meno di
un metro di profondità è reso nero da tutto il catrame che vi è stato scaricato
in diversi decenni e in cui non c’è più vita marina, e ancora rimane
impressionato del ventre d’acciaio delle grandi navi in costruzione, delle
ombre dei bastioni abbandonati del Petrolchimico, degli alti forni e delle
ciminiere delle raffinerie che espellono vapori e gas vari nell’atmosfera, del
nuovo mondo telematico di Vega o delle centinaia di container che navi
intercontinentali scaricano senza sosta ai bordi dell’immobile Laguna.
Attraverso i racconti di operai, di manager, di camionisti e anche della cuoca
dell’ultima trattoria del Pianeta Marghera dove nel passato c’era vitalità
quotidiana continua, le immagini di Andrea Segre incidono profondamente nella
coscienza dello spettatore e lo aiutano a capire cosa sia rimasto del grande
sogno a Marghera, come a Priolo o come a Gela, provocato nel passaggio da
un’economia essenzialmente rurale ad un’economia industriale del Pianeta Italia
che, oggi è immerso, dopo le crisi e le ferite del recente passato, nel flusso
globale del sistema produttivo e delle migrazioni. Un sogno infranto è il succo
di questo documentario, che non potrà avere soluzioni positive sia per
l’ambiente che per l’economia a causa
della profonda ferita ambientale inferta in una zona tra le più attraenti e più
fascinose d’Italia, ferita che però potrebbe essere risanata. Basta volerlo!
Ecco, allora, la nota ottimistica del regista che scrive, a
tal proposito: Negli ultimi due anni a
chiunque io abbia detto che stavo lavorando ad un film su Marghera la risposta
era sempre: “Ah, perché esiste ancora Marghera?”Le tante ferite e le tante
crisi che hanno attraversato questa zona industriale, come molte altre in
Italia, hanno costruito una grande rimozione nazionale. Crediamo che in quegli
spazi non ci sia più nulla, più nessuno. Invece non è così. Un regista di cinema
documentario ha un importante compito: portare le persone lì dove non possono o
non vogliono entrare. “Il Pianeta in mare” nasce per questo.
Filmografia (documentari)
Lo sterminio dei popoli zingari (1998),
Berlino ’89-’99 – Il Muro nella testa (1999), Ka Drita? (2001), A metà – Storie tra Italia e Albania (2001),
Dalle tre alle tre- Il Nord-Est e il Mare (2001), Marghera Canale Nord (2003),
Dio era un musicista (2004), 1 kg di Internet (20059, Kerchaou … (2006), PIP49
(2006), La Mal’ombra (2007), Come un uomo sulla terra (2008), Magari le cose
cambiano (2009), Il sangue verde (2010), Io sono Li (2011), Mare Chiuso (2012),
Indebito (2013), La prima neve (lungometraggio, 2013), Come il peso dell’acqua
(2014), I sogni del lago salato (2015), L’ordine delle cose (Lungometraggio,
2017).
Francesco Giuliano
giovedì 5 settembre 2019
“Martin Eden”, ovvero la storia dell’essere umano tra i suoi sogni giovanili e le sue delusioni della maturità
Titolo: Martin Eden
Regia: Pietro Marcello
Soggetto: Jack London
(liberamente tratto dall’omonimo romanzo del 1909)
Sceneggiatura: Maurizio
Braucci, Pietro Marcello
Musiche: Marco Messina,
Sacha Ricci
Produzione Paese: italia,
Francia, 2019
Cast: Luca Marinelli,
catrlo Cecchi, Elena Orsini, Nino, Vincenzo Nemolato, Marco Leonardi, Denise
Sardisco, Carmen Pommella, Autilia Ranieri, Franco Pinelli, Savino Paparella,
Elisabetta Valgoi, Pietro Ragusa, Giustiniano Alpi, Claudio Boschi, Dario
Iubatti, Anna Patierno, Vincenzo Modica, Gaetano Bruno, Maurizio Donadoni, Lana
Vladi, Chiara Francini, Aniello Arena, Rinat Khismatouline, Giordano Bruno
Guerri, […]
Martin Eden è uno di quei film di grande ricchezza emotiva che si riverbera
sullo spettatore, che lo cattura e lo accarezza sensibilmente, che non molla la
sua mente neppure dopo averlo visto perché lo fa pullulare tra mille riflessioni,
mille sfaccettature, mille valutazioni che sono connesse con la nostra società,
con il nostro modo di vivere e di fare, con le nostre effimere gerarchie
sociali che sono avulse da quella sincera umanità che conferiscono continua
instabilità all’essere umano e lo disorientano. Tratto liberamente dall’omonimo
romanzo autobiografico dello scrittore americano Jack London, pubblicato nel
1909, e diretto dal regista casertano Pietro Marcello, Martin Eden (Luca Marinelli), marinaio sin dall’età di undici anni,
nell’adattamento cinematografico, viene traslocato idealmente dalla città californiana
di Oakland a Napoli. Ma ciò nulla toglie alla descrizione delle vicissitudini
del giovane Martin che pur essendo privo di basi culturali possiede una
ricchezza umana straordinaria tant’è che, ancora vigoroso virgulto, salva da una
violenta aggressione Arturo (Giustiniano Alpi), un giovane fragile dell’alta
borghesia napoletana. Costui per esprimergli gratitudine lo invita a casa dove
Martin conosce Elena (Jessica Cressy) e dalla quale viene attratto per la sua bellezza
affascinante e coinvolgente. Così Jack London la descrive nel romanzo: Era uno spirito, una divinità, una dea; una
bellezza così sublime non era di questo mondo. O forse i libri avevano ragione,
e nelle classi sociali più elevate c’erano molte persone come lei. Elena
mostra di possedere una grande cultura che assieme alla sua bellezza spinge
Martin a cercare di elevarsi socialmente e per fare questo sente dentro di sé
di fare lo scrittore. Un sogno che insegue con ferma volontà. Si rende conto
che la conoscenza è la base da cui partire per debellare la povertà perché
ritiene che la conoscenza metaforicamente sia come un pezzo di pane usato per
fare la scarpetta in un piatto per togliere il sugo rimasto sul fondo, che
rappresenta la povertà. Ma in ciò è contrastato dalla sua appartenenza sociale e
dalla sua ignoranza da cui vuole emanciparsi. Infatti confessa ad Elena: In tutti questi mesi ho riflettuto molto su me stesso e ho sentito come
uno spirito creatore che mi divampava dentro, che mi incitava a fare di me uno
degli orecchi attraverso cui il mondo sente, uno degli occhi attraverso cui il
mondo vede, insomma voglio fare lo scrittore! E allora cerca di
arricchire il suo bagaglio culturale venendo
a conoscenza delle teorie del darwinismo sociale, attraverso la lettura delle
opere del filosofo positivista Herbert Spencer, che lo porta a convincersi
della supremazia del più forte nei rapporti umani e a credere alla
prevaricazione dell’uomo sull’uomo con qualsiasi forma sia fisica che morale
perché il sazio non sa cosa sia il digiuno. Ciò lo rende sostenitore dell’ideologia
individualista che ritiene presupposto primario nella lotta per la liberazione
dell’essere umano. Affronta grandi sacrifici senza successo, ma l’incontro
casuale con Russ Brissenden, scrittore anche lui, gli fa rafforzare il suo
convincimento politico e morale (Quanti ne vedi morire di fame, finire in
galera perché sono dei poveretti, schiavi, ignoranti e stupidi. Lotta per loro,
Martin!) che lo fa entrare
subito in conflitto con la famiglia di Elena, la quale lo abbandona definitivamente
perché non è stato in grado di trovarsi un lavoro stabile. Tuttavia col tempo
il successo finalmente arriva e Martin viene osannato e ricercato soprattutto
da tutti coloro che prima l’avevano scartato, e ciò lo porta a convincersi profondamente
del suo fallimento: Lo
scrittore Martin Eden non esiste. È un frutto delle vostre menti, quello che
avete davanti è un malandrino, un marinaio ... io non sono un mito, è inutile
che ci provate, a me non mi fregate ... a me non mi fregherete mai! Si chiede, infatti, cosa
sia cambiato in lui e nei suoi scritti dato che gli editori, che adesso si
contendevano e gli compravano a qualunque prezzo i suoi romanzi, erano quegli
stessi che prima gli avevano rispedito le lettere senza aprirle, e dato che quelle
persone che ora lo invitavano a conferenze o a cena erano quelle stesse che lo
avevano lasciato soffrire di fame e di solitudine. Martin, in definitiva, passa,
attraverso la maturità e il successo raggiunto, dall’entusiasmo giovanile, che
lo aveva spronato a proiettarsi nel futuro, ad una cruda delusione che lo porta
a non credere più nella sua forza vitale e ad uno smarrimento irreversibile.
Martin Eden
appare come un eroe tragico
che rappresenta nella sua interezza l’essere umano, stretto tra la sua
giovanile illusione propulsiva e la sua disillusione scoraggiante e deprimente.
Egli non ha una collocazione nel tempo e nello spazio perché può essere ovunque
e vivere in qualunque periodo storico. Tutto ciò lo dimostra la sceneggiatura
che è una mescolanza ben efficace di una documentazione video di diverse epoche
inserita nel film, come quella del rogo dei libri, cioè le Bücherverbrennungen di
retaggio nazista, delle prepotenze sugli umili e sugli indifesi operate
dalle squallide camicie nere di stampo fascista, degli orrori della guerra, a
cui si affiancano i costumi, i particolari livelli cromatici della fotografia,
la stessa macchina da scrivere - un’Olivetti 32
- usata da Martin.
Il film è stato presentato in concorso il 2 settembre 2019
alla LXXVI Mostra Internazionale del Cinema di Venezia.
Filmografia
Il passaggio della
linea (2007), La bocca del lupo (2009), Il silenzio di Pelešjan (2011), Bella e perduta
(2015).
Francesco
Giuliano
mercoledì 4 settembre 2019
“Genitori quasi perfetti”, una tragicommedia perfetta “in un Paese perfetto di mostri perfetti”
Titolo: Genitori quasi
perfetti
Regia: Laura Chiossone
Soggetto: Gabriele Scotti, Renata Ciaravino
Sceneggiatura: Gabriele
Scotti, Renata Ciaravino
Musiche: Michele Braga
Produzione Paese: Italia, 2019
Cast: Anna Foglietta,
Paolo Calabresi, Lucia Mascino, Marina Rocco, Elena Radonicich, Francesco
Turbanti, Paolo Mazzarelli, Marina Occhionero (intrattenitrice), Erika Blanc,
Nicolò Costa
Genitori
quasi perfetti, secondo film di Laura
Chiossone, descrive un tratto significativo della vita di Simona (Anna
Foglietta) alle prese con la preparazione della festa dell’ottavo compleanno
del figlio Filippo (Nicolò Costa). Essendo single, Simona è molto insicura ma nell’incertezza
totale cerca di mettercela tutta al fine di organizzare un buon evento che le
permetteranno di conoscere i genitori dei compagni di classe del figlio e fare
amicizia. Accettano l’invito soltanto alcuni che rappresentano un profilo
realistico della classe media dei genitori di un “paese perfetto di mostri
perfetti”: Giorgia (Elena Radonicich), madre lesbica che mostra profonda sensibilità e chiarezza sulla prassi
educativa dei figli, Ilaria (Lucia Mascino) e il marito Aldo (Paolo Calabresi),
orgogliosi di essere vegani con la
loro torta all’acqua, che come dice
Simona gli somiglia, Sabrina (Marina
Rocco), estetista che, oltre a farsi propaganda, dimostra un incontrollabile desiderio
per il sesso, Paolo (Francesco Turbanti),
disoccupato che cerca di nascondere il proprio status senza riuscirci, e infine Alessandro (Paolo Mazzarelli), imprenditore
fallito che cerca disperatamente di emergere nel proprio lavoro. Ognuno di loro
manifesta un proprio carattere condizionato dall’ambiente in cui si trova e un
proprio modo di interpretare la vita vestendo una personale maschera. Una
maschera che lo differenzia dagli altri, come in un’opera teatrale, ma che lo
accomuna nel costituire una società contraffatta e per certi aspetti anche
disumana, dove basta un piglio contrario al senso comune della vita che in un
baleno trasforma la festa in un parapiglia dove succede di tutto: i
comportamenti che sembravano affettuosi, cordiali, gradevoli, simpatici, socialmente
corretti, si trasformano improvvisamente in una lite da cui scaturisce
acredine, odio, intolleranza e disprezzo.
Da una
parte, dunque i genitori che litigano rasentando turpiloquio o addirittura
azioni omicide e dall’altra parte i bambini che giocano divertendosi, guidati
dalla candida Luisa (Marina Occhionero), animatrice giovane ed empatica che, al termine del suo
impegno lavorativo, rivolgendosi a tutti i genitori, afferma disgustata e delusa: ho capito che sarà molto, molto difficile
fare peggio di quello che avete fatto voi con i vostri figli!
La regista Laura Chiossone con questa tragicommedia Genitori quasi
perfetti, che potrebbe essere derivata da una piece teatrale drammatica, fotografa dettagliatamente e realisticamente,
sia nei caratteri che nei comportamenti, i genitori moderni che, presi dal
lavoro o dalla precarietà, da molteplici impegni, da mille problemi, dalle
proprie frustrazioni e fisime e da svariati complessi, sottraggono prezioso tempo,
cura e sentimento al ruolo fondamentale dell’essere genitore in modo proficuo. E,
nel contempo, fa anche emergere il borderline,
la linea di confine, attraverso cui si passa facilmente dal comportamento
ipocrita alla sincerità comportamentale da cui emerge senza maschera la
cruda realtà odierna. Il carattere del film che appare ironico, deprimente, profondamente
realistico grazie a dei bravi attori tra cui spicca la protagonista Simona,
interpretata dall’appassionata e poliedrica Anna Foglietta, vuole essere una disamina
dell’attuale situazione familiare a livello educativo che, tranne le dovute
eccezioni, sta investendo la famiglia e anche la scuola, che si trova
impreparata ad arginare l’effetto diseducativo genitoriale. Forse i genitori
prima di intraprendere questo ruolo dovrebbero frequentare una scuola che li
formi in tal senso?
Filmografia
Tra cinque minuti in scena (2012).
Francesco Giuliano
“Il varco” è il racconto doloroso delle mostruosità di una guerra suicida
Titolo: Il varco
Regia: Federico Ferrone e Michele Manzolini
Soggetto: Federico Ferrone, Michele Manzolini
Sceneggiatura: Federico Ferrone, Michele
Manzolini, Wu Ming 2
Musiche: Simonluca Laitempergher
Durata: 70 min
Distribuzione: Istituto Luce Cinecittà
Il varco racconta la partenza, nel 1941, di un
soldato italiano per il fronte sovietico e con lui tanti altri militi.
L'esercito fascista era alleato di quello nazista e la vittoria sembrava essere
prossima. A differenza di molti giovani commilitoni che, presi da forte
entusiasmo e da grande fervore, immaginavano che la guerra fosse come una
passeggiata, quel soldato, che parlava anche se non molto bene il russo perché sua
madre era di origini russe, già conosceva le nefandezze e le mostruosità
sanguinose dei combattimenti avendo combattuto già nella guerra d’Etiopia. Per
questo egli si recava in quel territorio con cognizione di ciò che sarebbe
successo e temendone le conseguenze si rifugiava con la mente, per un po’ di
conforto, nei ricordi delle fiabe che la madre gli raccontava quando era ancora
bambino. E lo faceva su quel treno che, attraversando mezza Europa fin oltre lo
sterminato territorio ucraino, procedeva inizialmente tra canti, musiche, sogni
e speranze. Treno che con l’arrivo dell’inverno fu colto improvvisamente dal
silenzio in seguito allo stupore prodotto dai corpi dei primi morti, dal fango,
dal gelo, dalla neve e dallo squallore del paesaggio che gli si presentava. Le
esaltanti bramosie iniziali dei soldati si ridussero d’un tratto a quelle
essenziali: non cercavano più la vittoria, non agognavano più la baldoria e il
brio, ma un varco che gli permettesse di avere un letto caldo, del cibo,
degli indumenti puliti, e soprattutto di ritornare sani e salvi a casa per riabbracciare
i loro cari e le loro cose. L’immensa steppa spazzata da una continua ed
esiziale tormenta ora gli appariva tetra, grigia, desolata e popolata da
fantasmi girovaghi senza meta, senza scopo. Il ramo che sosteneva il sogno di
quei soldati ormai era stato spezzato definitivamente. Una descrizione simile si
evince da quella fatta da un osservatore durante la disfatta della Grande
Armata napoleonica del 1812: una folla di spettri avvolti in abiti femminili, in vecchi pezzi di
tappeti o in cappotti bruciati pieni di buchi.
Il varco è un documentario ben costruito e condotto
in modo coinvolgente e appassionante. Dà l’idea di una poesia, una poesia triste però che esprime
attraverso le immagini, alcune sfocate, altre chiare e marcate, ma comunque
reali, la profonda stupidità della guerra e di chi la dichiara, dove non ci
sono né vincitori né vinti ma semplicemente solo sconfitti che, soltanto a
posteriori, accorgendosi della sua becera inutilità, non potranno mai più
risollevarsi dalle pene psichiche sofferte. Il varco ha un linguaggio
pittorico ed efficace che affascina, ed evidenzia un gusto delicato per la narrazione e fa
cogliere il rapporto sincero fra l’uomo e la sua essenza nei momenti di grande
sconforto.
Il varco è altresì un documentario dai connotati
didattici che dovrebbe per questo essere rivolto ai giovani al fine di far loro
conoscere quella parte della storia triste del nostro Paese.
Costruito
con materiali di archivio della seconda guerra mondiale, Il varco, diretto da Federico Ferrone e Michele Manzolini e
scritto dagli stessi registi e dallo scrittore Wu Ming 2 (pseudonimo di Giovanni Cattabriga), e presentato alla LXXVI Mostra
Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia nella sezione Sconfini, uscirà nelle sale il 10
ottobre.
Filmografia
Federico Ferrone con Michele Manzolini: Merica
(2007), Il treno va a Mosca (2013), Il varco (2019)
Federico Ferrone con Francesco Ragazzi e
Constance Rivière: Banliyö –Banlieue (2004)
Michele Manzolini: Storie di Dormiveglia
(2018)
Francesco Giuliano
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