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martedì 31 ottobre 2017
“Treno di notte per Lisbona” invita a una lettura rigenerante e intrigante
Titolo: treno di notte
per Lisbona
Titolo originale: Night
Train to Lisbon
Regia: Bille August
Soggetto: Pascal
Mercier (dall’omonimo romanzo pubblicato nel 2004)
Sceneggiatura: Greg
Latter, Ulrich Herrmann
Produzione Paese:
Germania, Svizzera, Portogallo, 2013
Musiche: Annette Focks
Cast: Jeremy Irons,
Mélanie Laurent, Jack Huston, Martina Gedeck, Bruno Ganz, Christopher Lee, Lena
Olin, Charlotte Rampling, Tom Courtenay, Marco D’Almeida, August Diehl, Beatriz Batarda, Burghart
Klaussner, Filipe Vargas, Adriano Luz, Sarh Buhlmann, Janer Thorne, Hanspeter
Muller, Jean-Pierre Comu, […]
In Treno di notte per Lisbona del regista danese Bille August si
respira la stessa atmosfera cupa, oppressiva, violenta del film Sostiene Pereira (1995) di Roberto Faenza,
quell’atmosfera persecutoria e vessatoria di stampo fascista che caratterizzava
la città di Lisbona nel periodo della dittatura di Salazar (1932 – 1974). Il
film racconta ciò che capita una mattina al professore Raimund Gregorius (Jeremy
Irons) mentre si reca al liceo di Berna dove insegna Latino. Mentre attraversa
il ponte sul fiume Aar - la giornata è
piovosa -, vede una giovane donna in piedi sul parapetto in procinto di suicidarsi.
Il professore riesce a fermarla e la porta con sé in classe dove la fa sedere
accanto alla porta. Subito dopo, tuttavia, durante la lezione, la ragazza va
via dimenticando il suo soprabito rosso. Il professore istintivamente, spinto
da una forza irrefrenabile e incontrollabile, abbandona la classe e va alla
ricerca di quella donna. Non la trova, ma nel suo soprabito scopre un libro
“L’orafo delle parole” di uno scrittore di Lisbona, Amadeu de Almeida Prado e un
biglietto ferroviario per Lisbona. Il professore, allora, si incuriosisce e prende
il treno per Lisbona alla ricerca salvifica di quella donna. Durante il viaggio
notturno legge il libro che lo affascina e lo coinvolge a tal punto che va alla
ricerca dell’autore. In quel libro c’è la biografia di un medico Amadeu Prado (Jack
Huston), componente della resistenza che si opponeva al regime di Salazar. Ormai
morto, il professore sulla tomba del medico trova scritta la frase Quando la dittatura è un fatto, la rivoluzione è un
dovere! Un aforisma assoluto e universale che lo infervora ancor di più nel
ricercare e scoprire le vicissitudini di quell’uomo sconosciuto alla storia ma grande
in sé. Ciò lo porta a incontrare tutti gli amici ancora in vita come João Eça (Tom
Courtenay) o come Estefânia (Lena Olin), e a intraprendere un viaggio appassionante in un mondo pieno
di vigore e ricco di senso di libertà, ma anche di disumane atrocità e di boia,
come si evince dalle parole di Amadeu: Lasciamo sempre qualcosa di noi,
quando ce ne andiamo da un posto: rimaniamo lì, anche una volta andati via. E
ci sono cose di noi che possiamo ritrovare solo tornando in quei luoghi.
Viaggiamo in noi stessi quando andiamo in posti che hanno fatto da cornice alla
nostra vita. Non importa quanto questi siano stati brevi e viaggiando dentro
noi stessi, ci dobbiamo confrontare con la nostra solitudine. Ma tutto ciò che
facciamo, non lo facciamo forse per paura della solitudine? Non è questo il
motivo per cui rinunciamo a tutte le cose che rimpiangeremo alla fine della
nostra vita?
Il professore Raimund Gregorius è un uomo, solitario perché ritenuto
noioso come confida a Mariana
(Martina Gedeck), che abbandona il proprio posto di lavoro per andare alla
ricerca di qualcosa di meraviglioso, e che manifesta una grande profondità d’animo
(I campi sono più verdi nella loro
descrizione, che nel loro reale colore verde) che soltanto un uomo di
grande cultura come lui può palesare. Riesce, infatti, a cogliere l’essenza
umana e a estrarre i significati fondamentali della vita da un libro
sconosciuto di uno grande scrittore sconosciuto:
L'Eternità non esiste. La vita è quello
che fai ora, in questo momento, secondo le tue scelte libere … Quando si è giovani, la morte è come un nastro
che ci gira intorno. Quando comincia a diventare troppo stretto?
Un bel
film dalle tematiche attualissime, come quella delle colpe dei padri che ricadno
sui figli trasmettendone il senso di colpa, e con uno straordinario
e appassionante Jeremy Irons, diretto da un grande regista Bille August, che
con i suoi film ha contribuito a rendere grande il cinema internazionale.
Filmografia
Honning Mane (1978), Zappa (1983), Busters verden (1984), Tro, hab og
kaerlighed (1984), Pelle alla conquista del mondo (1987), Con le migliori
intenzioni (1992), La casa degli spiriti (1993), Jerusalem (1996), Il senso di
Smilla per la neve (1997), I miserabili (1998), En sang for Martin (2001),
L’ora della verità (2004), Chacun son cinéma (episodio, 2007), Il colore della
libertà – GoodBye Bafana (2007), Marie Krøyer (2012), Treno di notte per
Lisbona (2013), Stille hjerte (2014), Feng Huo fang fei (2017), 55 Steps (2017).
Francesco Giuliano
mercoledì 25 ottobre 2017
“Suburra” mette a nudo gli intrecci tra i poteri politico e religioso con la criminalità
Titolo:
Suburra
Regia:
Stefano Sollima
Sceneggiatura:
Sandro Petraglia
Produzione
Stato: Italia, 2015
Cast:
Pierfrancesco Favino, Elio Germano, Claudio Amendola, Alessandro Borghi, Greta
Scarano, Giulia Elettra Gorietti, Antonella Fassari, Jean-Hugues Anglade, Adamo
Dionisi, Giacomo Ferrara, […]
Trasmesso
su Rai2, in prima serata, ripropongo questa recensione scritta e pubblicata 2
anni fa.
Stefano
Sollima, dopo il successo di ACAB
- All Cops are Bastard (2012), con Suburra rivela la sua indole di regista orientato verso la
descrizione della criminalità realizzando una altra bella pellicola
cinematografica. Con una concretezza sfrenata e una esacerbata crudezza realistica,
infatti, Sollima fotografa la Roma di oggi, capitale
d’Italia, con i suoi fatti e misfatti latenti, in cui mette in evidenza la
corruzione dilagante, che rappresenta il trait
d’union del potere politico e quello religioso con quello criminale che si coordinano,
si sfidano, si ingannano e cercano di annullarsi senza però riuscirci. Persone
innocenti, alias cittadini inermi e inconsapevoli, che anche se caratterizzati
da difetti umani, non hanno niente da spartire con questi delinquenti che, in
connubio con politici di malaffare e prelati d’alto rango, gli fanno patire
violenza e ricatti incredibili e inauditi. Sono vittime, come lo è il popolo
italiano, di signori e padroni di tutti i tipi, politici, religiosi alla mercé di criminali ignoranti e arroganti che
manifestano una violenza non solo fisica ma anche psicologica tale da fare rabbrividire
al solo pensarci. In questo quadro nefando e odioso s’erge sullo sfondo la
città di Roma piena di luci e di colori che ne esaltano la bellezza e la magnificenza,
uniche al mondo.
Il titolo del film Suburra,
con cui oggi si indica un luogo malfamato, immorale e fecondo di criminalità,
deriva dal latino Subura o sub-urbe quartiere dell’antica Roma,
oggi localizzato nel quartiere Monti, dove abitava una popolazione miserabile e
ignorante. Il collegamento storico è necessario e irrinunciabile.
Sollima prende spunto da questo per descrivere non solo un potere
politico corrotto, in cui la falsa integrità è preludio di richiesta immorale
di poltrone d’alto prestigio oltre l’indecenza e la spudoratezza, che rende
tutti i politici todos caballeros
(tutti cavalieri), frase pronunciata dal re di Spagna Carlo V durante una sua
visita ad Alghero nel 1541, e usata oggi in tono sprezzante per
descrivere quelle proposte tendenti ad estendere dei particolari privilegi, annullando
così di fatto la distinzione o il prestigio derivante dagli stessi.
Ma si potrebbe usare anche la frase tutti colpevoli, nessun colpevole
pronunciata dal leader socialista Bettino Craxi in Parlamento, all’alba di Tangentopoli, con la quale si intende
che se la corruzione è dilagante e diffusa, essa rientra nel costume e, in
quanto tale, non è censurabile.
Non si salva neppure il potere religioso in
connubio sia con i politici corrotti ma anche con la criminalità organizzata
rappresentata magnificamente da Samurai (Claudio Amendola), tant’è che un papa
(si allude alle recenti dimissioni di papa Benedetto XVI), scoprendo un’immoralità
inimmaginabile e incontrollabile dentro un’istituzione che propaganda la
moralità a livello universale e se ne fa scudo, preso da crisi di coscienza, si
arrende perché si ritiene inerme a combatterla e non fa altro che dimettersi
dal trono assegnatogli.
Tutto si svolge in una Roma piovosa, bisognosa
cioè di una pioggia purificatrice che la
rigeneri e le dia lo splendore di sempre e che inciti il popolo a rivoltarsi
contro la criminalità, così come fa Sebastiano (Elio Germano) o come fa Viola
(Greta Scarano), la quale però rimasta illesa rappresenta il germe che dà continuità
alla criminalità.
Suburra è un film da vedere perché fa scoprire ciò che il cittadino intuisce.
Oltre agli attori citati, Pierfrancesco Favino e Claudio Amendola
ancora una volta esprimono la loro indiscussa bravura.
Filmografia
La squadra e Crimini (serie tv,1998), Romanzo criminale – La serie
(serie tv,2008), Gomorra – La serie (serie tv, 2012- 2013), ACAB – All Cops are
Bastard (2012).
Francesco
Giuliano
martedì 24 ottobre 2017
Il mito delle “Sirene” per descrivere l’incontro delle diversità della nostra società
Titolo: Sirene
Regia: Davide Marengo
Soggetto di Serie
e Showrunner: Ivan
Cotroneo
Sceneggiatura: Ivan
Cotroneo, Monica Rametta
Musiche: Massimo Nunzi
Produzione: Italia
2017, fiction Rai
Cast: Valentina Bellé,
Maria Pia Calzone, Ornella Muti, Luca Argentero, Denise Tantucci, Rosy
Franzese, Michele Morrone, Massimiliano Gallo, Monica Nappo, Teresa Saponangelo,
Andrea Lia Domizio, Lorena Cacciatore,
Vincenzo Crea, Yari Gugliucci, Fabrizia Sacchi, Andrea Renzi […]
Sirene
è la nuova serie tv, in sei puntate, trasmessa su Rai1 a partire da giovedì 26
ottobre, con la regia di Davide Marengo e da un soggetto scritto dal regista Ivan
Cotroneo. Una commedia fantastica, adatta per il popolo televisivo e anche per
un pubblico giovane e giovanissimo, che, in certo qual modo, per certi argomenti
trattati, lascia ricordare il film Splash
– Una Sirena a Manhattan (1984) di Ron Howard, da cui, però, si distacca
completamente per la trama diversa. Essa, infatti, tratta di quattro sirene, Marica
(Maria Pia Scalzone) e le sue tre figlie, Yara (Valentina Bellè), Irene (Denise
Tantucci) e Daria (Rosy Franzese) che segretamente lasciano il mare e si recano
sulla terra alla ricerca di Ares (Michele Morrone), l’ultimo tritone del Mediterraneo
fuggito perché non sopportava la loro egemonia. La ricerca e il ritrovamento sono
di vitale importanza perché il tritone accoppiandosi con Yara, la fidanzata, permetterà
la continuazione della specie, che altrimenti rischia l’estinzione. Un soggetto
che altro non è che un mito, pari a un mito greco, che usa questa figura
incantatrice, metà donna e metà pesce, decantata da Omero nel canto XII dell’Odissea: … alle sirene non sfugge l’agile nave che s’accostava: e un
armonioso canto intonarono, per
descrivere gli esseri umani e tutte le sue assurdità, ma per privilegiare quel
sentimento eterno e universale qual è l’Amore, che tende a includere e a rispettare l’altro, ma che, al
tempo stesso, toglie piacevolmente il respiro e la ragione.
Le quattro sirene,
ovviamente, lasciate le loro spoglie marine e indossate quelle terrestri, si
accorgono subito delle stranezze, a loro inspiegabili, che caratterizzano gli
umani e instaurano subito con loro uno scontro al fine di conquistarli perché
ritengono che appartengano a una razza inferiore. Quello scontro diventerà un
incontro che lascia presagire chi vincerà, perché i due mondi saranno costretti
a conoscersi, ad apprezzarsi e, infine, a comprendersi.
Ivan Cotroneo, che ha
assunto anche le vesti di showrunner cercando,
cioè, di contribuire personalmente durante la produzione, la lavorazione e il
montaggio ad ottenere un migliore risultato, ne ha scritto il soggetto per parlare di differenze e di inclusione,
di rispetto dell’altro e di quanto in definitiva si possa veramente amare chi è
diverso da te, così diverso da respirare con le branchie invece che con i
polmoni.
Sirene
è anche una serie ricca di tematiche attuali, come il bullismo, la salvaguardia
dell’ambiente, la ricchezza paesaggistica, l’alcolismo giovanile, la diversità,
l’integrazione, il rapporto umano messo a rischio da internet e dalla tv, ecc. Per essa è stata scelta Napoli, la vera coprotagonista,
perché è la città che, secondo il mito, fu fondata in onore delle sirene, e che
è unica a mostrare pienezza di soffio vitale, di fascino, di atmosfere magiche,
di colori e di bellezze uniche al mondo, messe in risalto dalla fotografia
stupenda di Michele Attanasio, ma soprattutto caratterizzata da una grande musicalità
che si coglie già nell’inflessione tipica del dialetto e nelle belle musiche,
per le quali Massimo Nunzi ha arrangiato canzoni napoletane famose in chiave jazz.
I personaggi sono interpretati da attori fantastici, bravi, splendidi, tra cui
spiccano Valentina Bellè e Luca Argentero, che li hanno resi profondi e indimenticabili.
Francesco
Giuliano
lunedì 23 ottobre 2017
Nella “Suite francese” un amore impossibile in tempo di guerra
Titolo: Suite francese
Titolo originale: Suite Française
Regia: Saul Dibb
Soggetto: Irène Némirovsky (dall’omonimo romanzo)
Sceneggiatura: Saul
Dibb, Matt Charman
Produzione Paese: UK,
Francia, Belgio, 2014
Cast: Michelle Williams, Kristin Scott Thomas, Mattias Schoenaertes, Sam
Riley, Ruth Wilson, Lambert Wilson, Margot Robbie, Alexandra Maria Lara,
Harriet Walter, Eileen Atkins, Tom Schilling, […]
Suite française è un film del regista Saul Dibb, il cui soggetto è stato
tratto dall’omonimo romanzo pubblicato nel 2004 che, però, era stato scritto da
Irène Némirovsky, ebrea, prima che
venisse deportata nel 1942 ad Auschwitz, dove
morì dopo circa un mese di detenzione.
La storia descritta
in modo appassionante tratta, durante l’occupazione dei tedeschi della Francia,
della giovane e bella Lucille, che abita nella casa della suocera Madame
Angellier (Kristin Scott Thomas), donna autoritaria e insensibile, in un piccolo
paese francese. Lucille ha il marito in guerra e passa il tempo a suonare il
pianoforte o ad accompagnare la suocera a riscuotere gli affitti dai mezzadri.
Tutto procede tranquillamente fino a quando arriva l’esercito tedesco, i cui
ufficiali trovano alloggio, come ospiti si fa per dire, presso le abitazioni
dei residenti. Ebbene, una camera dell’abitazione di Madame Angellier viene assegnata
al tenente tedesco Bruno von Falk (Mattias Schoenaertes). Ovviamente, come
succede in questi casi, tra due persone di sesso diverso, che si trovano a
vivere nella stessa casa e in uno stato di carenza affettiva - Lucille con il
marito in guerra fatto prigioniero e una suocera dispotica, mentre Bruno è lontano
dalla sua famiglia e con due dei tre fratelli già uccisi in guerra -, sorge pian
piano il sentimento amoroso che, quando sta per concretizzarsi con l’esplicitazione
dell’atto sessuale, a causa di un evento spiacevole e funesto, viene ad essere
sconvolto. Il mezzadro Benoît (Sam Riley), infatti, uccide il tenente Kurt (Tom
Schilling), ospite presso la sua casa, che le corteggia la bella moglie Labarie
(Ruth Wilson). Benoît diventa latitante e viene braccato, giorno e notte, dai
soldati tedeschi, finché viene nascosto da Lucille con il consenso inaspettato
della suocera. Come avviene in tempo di guerra, poiché Benoît non si costituisce,
per rappresaglia, viene fucilato il visconte di Montmort (Lambert Wilson),
sindaco del paese.
Saul Dibb, che ha
diretto il pluripremiato premiato film La
duchessa (2008), riesce con la macchina da presa a cogliere in modo
accurato, in quella casa galeotta, i momenti in cui Lucille e Bruno si
sorprendono attraverso i loro sguardi e i loro silenzi, interrotti da brevi
dialoghi che preannunciano lo stato nascente dell’amore.
Anche se non
una parola fu mai pronunciata sui nostri veri sentimenti, non una parola
sull'amore, dice
Lucille al termine del film, perché l’amore, sentimento sublime che sboccia
silenziosamente come un fiore dal bocciolo, non teme la relazione tra oppressi
e oppressori, non si accorge della diversità di razza e di lingua, né della
differenza di nazionalità. Esso porta, facendo perdere la razionalità, a tradire
il proprio ruolo all’uno o il proprio legame all’altra. E come recita Leopardi,
a un tempo stesso, Amore e Morte ingenerò la
sorte.
Bravi Michelle Williams e Mattias
Schoenaertes che hanno vestito perfettamente i rispettivi personaggi e
magnifica e perfetta l’interpretazione di Kristin Scott Thomas.
Fimografia
Bullet Boy (2004), The Line of Beauty (2006), La
duchessa (2008).
Francesco Giuliano
Francesco Giuliano
domenica 22 ottobre 2017
“Dove non ho mai abitato” è una profonda descrizione nostalgica legata agli affetti più cari
Titolo: Dove
non ho mai abitato
Regia:
Paolo Franchi
Soggetto:
Paolo Franchi, Roberto Scarpetti, Chiara Laudani
Sceneggiatura:
Paolo Franchi,Rinaldo Rocco, Daniela Ceselli
Musica:
Pino Donaggio
Produzione
Paese: Italia, 2017
Cast:
Emmanuelle Devos, Fabrizio Gifuni, Giulio Brogi, Hippolyte Girardot, Isabella
Briganti, Giulia Michelini, Fausto Cabra, Jean-Pierre Lorit, Alexia Florens,
Naika Rivelli, Valentina Cervi, Yorgo Voyagis, […]
Il regista Paolo Franchi con il suo ultimo film “Dove non ho mai abitato” affronta il tema della nostalgia, cioè dell’amarezza che una persona – in questo caso Francesca (Emmanuelle Devos) - prova nel ritornare nella casa che l’ha vista nascere, crescere e formarsi, e nel comprendere quanto amore e quanto soffio vitale abbia lasciato alle sue spalle. Prova angoscia nel sentire di avere lasciato, come recita il poeta nella poesia Vissi in quel luogo, … gli affetti più cari/ le fragranze deliziose/ le dolcezze ancestrali/ le carezze briose/ le umane cortesie/ i respiri ingenui/ per l’insania perniciosa/ della miseria umana/ ignara di come gira il mondo/ che il caso aveva prodotto, e anche se stessa.
Da quella casa, ancora giovane e appena laureata in architettura, infatti, Francesca era ‘fuggita’ per la ricerca di uno spazio di libertà e di crescita individuale che suo padre, Manfredi (Giulio Brogi), un famoso e stimato architetto, le negava cercando di sottometterla ai suoi desideri professionali, senza tener conto della sua personalità.
Francesca, da Parigi, dove si era già formata una famiglia con un mite finanziere francese, Benoît (Hippolyte Girardot), e una figlia, ritorna alla casa paterna – ha già cinquant’anni -, per festeggiare il compleanno del padre, ormai ottantaquattrenne, il quale coglie l’occasione di proporle, non dimentico del passato, e per non farla scappare un’altra volta - in tutti questi anni non hai fatto che scappare, le dice - una collaborazione professionale con il suo consociato, l’introverso e taciturno architetto Massimo (Fabrizio Gifuni), nella ristrutturazione di una villa, fuori Torino, dove dovranno andare ad abitare due giovani, Giulia (Giulia Michelini) e Paolo (Faustio Cabra), innamorati profondamente, che stimolano in Francesca, forse, l’insorgere di qualcosa di magnifico e suggestivo che lei non aveva mai provato nella sua vita d’oltralpe, piatta, inespressiva e priva di un briciolo di passione.
Quella collaborazione che Francesca, in un primo tempo, accetta controvoglia, è il veicolo che la trasporta ad avere con Massimo non solo un intenso rapporto professionale e ad amare quel nuovo lavoro, ma a generare in sé e ad alimentare inconsapevolmente e gradualmente un latente e non manifesto innamoramento, tant’è che ad un certo punto Francesca gli chiede Tu hai mai fatto delle follie per amore? Ma follie vere, senza pensare alle conseguenze.
Tutto questo determina in Francesca un tormentoso conflitto interiore, tra scegliere e lasciare perdere, tra essere se stessa e mantenere lo status quo, tra una amore che non ha mai provato e la sua famiglia, tra ragione e sentimento, che la sconvolge e la travolge e che coinvolge senza tregua alcuna anche Massimo.
Ambedue si trattengono nell’esporsi e nel manifestare ciò che hanno in serbo nel loro animo, anche se i loro sguardi intensi e passionali esprimono palesemente il sentimento intimo che li unisce.
Paolo Franchi, grazie alla forza recitativa ed espressiva, tormentata e appassionata, degli attori protagonisti, Emmanuelle Devos, Fabrizio Gifuni e Giulio Brogi, e aiutato anche da splendidi pezzi musicali e da una gradevole colonna sonora di Pino Donaggio, riesce a coinvolgere in modo perspicace e realistico, con continuità ed emotivamente, lo spettatore, che si sente immerso in un affascinante turbinio da cui non vorrebbe mai uscire e in cui rimane in sospensione fino alla fine.
Fimografia
La spettatrice (2004), Nessuna qualità agli eroi (2007), E la chiamano estate (2012).
Francesco Giuliano
sabato 14 ottobre 2017
Il racconto dei racconti – Tale of Tales , un film magico e incantevole che descrive la realtà moderna
Titolo:
Il racconto dei racconti – Tale of Tales
Regia:
Matteo Garrone
Soggetto
Giambattista Basile
Sceneggiatura:
Matteo Garrone, Edoardo Albinati, Ugo Chiti, Massimo Gaudioso
Produzione
Stato: Italia, Francia, GB 2015
Cast:
Salma Hayek, John Reilly, Christian Lees, Jonah Lees, Laura Pizzirani, Franco
Pistoni, Toby Jones, Bebe Cave, Guillaume Dalaunay, Alba
Rohrwacher, Massimo Ceccherini, Eric MacLennan, Vincent Cassel, Shirley Henderson,
Hayley Carmichael, Stacy Martin, Kathryn
Hunter, Vincenzo Nemolato, Giselda Volodi, Giuseppina Cervizzi, Jessi Cave,
Nicola Sloane, Davie Campagna, Ryan McParland, Kenneth Collard, Renato Scarpa,
[…]
Ieri sera su Rai3 hanno trasmesso
questo film di Matteo Garrone, di cui ripropongo la recensione che scrissi
quando lo vidi.
“Il racconto dei racconti – Tale of Tales” è un film che il regista Matteo Garrone ha liberamente tratto
dal “Pentamerone” (una raccolta di cinquanta
fiabe raccontate da dieci narratrici in cinque giorni, dieci al giorno), meglio
conosciuto con il nome di “Lo cuntu de
li cunti ovvero lo trattenemiento de peccerille” di Giambattista Basile (1566-1632), scrittore napoletano di Giugliano
in Campania (Na), il primo ad utilizzare la fiaba come forma di espressività popolare.
Esso, con una struttura complessa che segue il modello del Decamerone
boccaccesco, fu scritto, seguendo le regole del racconto tramandato oralmente, per
il trattenimento dei cortigiani, ma fu pubblicato postumo tra il 1634 e il
1636. Di questo libro Benedetto Croce ha scritto che “L’Italia possiede nel Cunto de li cunti del Basile, il più antico, il
più ricco e il più artistico fra tutti i libri di fiabe popolari” definendo
il suo autore il “Boccaccio Napoletano”.
Vedendo questo film, che
appartiene al genere fantastico perché ambientato in uno spazio fiabesco che
stimola l’attenzione e coinvolge lo spettatore, mi sono ricordato di quando, ancora
bambino, ascoltavo le fiabe tratte da “Lo
cunto” che mia madre mi raccontava per farmi addormentare, ma l’effetto era
contrario alla sua benevola intenzione in quanto di notte mi venivano gli incubi
per la paura che la storia mi aveva provocato. Matteo Garrone delle cinquanta fiabe nel film ne ha usate soltanto
tre, i cui titoli però non corrispondono pedissequamente a quelli della raccolta:
La regina (Salma Hayek, John Reilly, Christian Lees, Jonah Lees, …), La pulce (Toby Jones, Bebe Cave, Guillaume
Dalaunay, Alba Rohrwacher, Massimo Ceccherini, …) e Le due
vecchie (Vincent Cassel, Shirley
Henderson, Hayley Carmichael, Stacy
Martin, …), le cui storie sono integrate tra di esse, ma senza alcun legame
relazionale e interattivo. Tutte e tre sono suggestive e fantasiose, e ingegnoso, affascinante e coinvolgente
appare il gioco dei due giovani sosia coetanei, Elias e Jonah (Christian Lees, Jonah Lees), ironico, divertente ma anche pauroso il concorso
che indice il re di Highhills (Toby Jones) per dare in
sposa la figlia Viola (Bebe Cave) e
la storia che ne segue; curiosa, ma attuale, la ricerca forsennata della perfezione fisica dettata
dalla perversione erotica del re di Strongcliff (Vincent Cassel), che induce sia la vecchia Imma (Shirley Henderson) a farsi manipolare fisicamente il
proprio corpo dalla strega (Kathryn
Hunter) che glielo rende perfetto ma effimero, sia la sorella di questa,
Dora (Hayley Carmichael), che per emulazione e per invidia
si fa spellare viva da un casuale arrotino (Kenneth Collard). Ma lo sono anche i
luoghi incantevoli, magici, meravigliosi, seducenti, scelti tra i tanti di cui
l’ Italia è ricca, da nord a sud, come i castelli (Donnafugata, Sorano, Castel del monte, Castello di
Roccascalegna e quello di Sammezzano), i boschi, le magnifiche gole rupestri (Alcantara, Sovana), i
dirupi e le grotte, e lo sono anche le corti e i costumi sfarzosi, ricchi ed
eleganti, ben congegnati, e le catapecchie, e ancora le giovani belle e le
vecchie rattrappite, i mostri fantastici come il drago marino o la pulce
gigante o l’orribile e terribile orco (Guillaume
Dalaunay), le frattaglie come il cuore del drago
marino cotto e mangiato dalla regina di Longtrellis (Salma Hayek). Un
insieme frattale di idee razionali e fantastiche all’unisono, che si riversa
nel paradosso,
nella magia, nel mistero, nel sentimento, nel meraviglioso, e che ha uno stampo
mitico, stravagante, bizzarro, simbolico, drammatico e ironico, dove il
brutto, il deforme, il macabro e la tristezza fanno a gara con il bello,
il seducente, il gradevole e l’allegria. Il film, così come il libro da cui è
tratto “Lo cunto de li cunti”, il
suo autore e il ‘600, ha tutti i caratteri, quali l’eccentricità,
la smisuratezza, la fantasia, la bizzarria, l’enfasi, dello stile barocco, perché legato all’estrosità,
alla metafora, al simbolismo, all’illusione del sogno, alla metamorfosi della
realtà, e l’estraneità al razionalismo, che però si fa razionale. Stile questo
che privilegia l’immagine che spesso inganna chi la guarda perché fa vedere ciò
che non è vero.
La scelta di questo libro del diciassettesimo
secolo, caratterizzato da profonde trasformazioni filosofiche e scientifiche,
così come esaurientemente descritto nel romanzo “L’intrepido alchimista”[1], non è
un caso in quanto dalla concezione concreta aristotelica della materia si passa
al razionalismo, e dal geocentrismo tolemaico si passa all’eliocentrismo
copernicano, la cui scoperta stravolge l’essenza dell’uomo che da entità privilegiata
e centrale, diventa un’entità insignificante, sperduta “negli infiniti mondi”
di Giordano Bruno. Così come avviene in “Meraviglioso
Boccaccio” (2015) dei fratelli Paolo
e Vittorio Taviani, infatti, c’è una
similitudine tra quel periodo e il ventunesimo secolo, quest’ultimo
caratterizzato anch’esso da profonde mutazioni, come la globalizzazione, il
controllo dell’immagine usata come mezzo di trasporto illudente, o ancora l’uso, tramite internet, del virtuale,
il nuovo mostro che prevarica il
reale fino al punto di indurre gli esseri umani a confondere l’uno con l’altro.
Virtuale e reale apparentemente uguali che, essendo enantiomeri, sono diversi e
in questa naturale e insostituibile diversità appare fondato il mondo.
Nelle tre fiabe vengono analizzati metaforicamente i vizi e i
difetti della nostra era: illusione,
bramosia sfrenata, cupidigia, invidia, menzogna, arroganza del potere,
idolatria dell’immagine, erotomania, violenza, ma emergono con forza i
sentimenti positivi, quali l’amore, l’amicizia, la fratellanza, il soccorso ai
bisognosi, il coraggio. Nella fiaba de La regina viene descritta la smania indotta
dalla bramosia di avere un figlio a tutti i costi a discapito dell’amore, in
quella de La pulce viene esposto il
potere patriarcale di un despota che, per capriccio e non curanza, gioca con i
sentimenti umani della figlia e, infine, in quella de Le due vecchie viene sottolineato il ricorso sconsiderato alla
chirurgia estetica di chi è già vecchia per apparire giovane, annullando così
il senso della verità.
Il
film è candidato alla Palma d’oro del sessantottesimo Festival di Cannes (dal 13 al 24 maggio 2015) assieme ad altri due
film italiani, “Mia madre” di Nanni Moretti e “Youlth - La giovinezza” di
Paolo Sorrentino.
Francesco
Giuliano
venerdì 13 ottobre 2017
“Ammore e malavita” o la sceneggiata tragicomica napoletana in versione musicale
Titolo:
Ammore e malavita
Regia:
Manetti Bros (Marco e Antonio)
Sceneggiatura:
Micghelangelo La Neve, Manetti Bros
Produzione
Paese: Italia 2017
Musica:
Pivio e Aldo De Scalzi
Cast: Serena
Rossi, Giampaolo Morelli, Carlo
Buccirosso, Claudia Gerini, Raiz, Franco Ricciardi, Antonio Buonomo, Ivan
Granatino, Claudiafederica Petrella, Antonella Morea, Luciana De Falco,
Graziella Marina, Antonino Iuorio, Patrizio Rispo, Pino Mauro, […]
Il boss camorrista, don Vincenzo Strozzalone, meglio noto come il re del pesce, subisce un attentato, da cui si salva grazie all’intervento dei suoi due adepti salvavita bene addestrati sin da quando erano ancora giovincelli. Sono i fedelissimi Ciro (Giampaolo Morelli) e Rosario (Raiz). La moglie donna Maria (Claudia Gerini), venuta a conoscenza dell’accaduto, consiglia al marito, che non ne può più di continuare a vivere in quel modo, di fingersi morto, così come l’agente segreto James Bond nel film Si vive solo due volte (1967) di Lewis Gilber, e divulgare la notizia. Un segreto di cui sono a conoscenza solamente Ciro, Rosario e il factotum Gennaro (Franco Ricciardi). Tutto sembra andare liscio come programmato, fino a quando Fatima (Serena Rossi), una bella e pimpante infermiera, viene a scoprire il segreto intrallazzo malavitoso presso l’ospedale in cui don Vincenzo è ricoverato. Una volta che il segreto è stato scoperto, Fatima è destinata a sicura morte, ma Ciro, che è il primo a vederla, riconosce in lei il suo primo grande amore giovanile, per cui disattende l’ordine e si dà alla fuga con lei rifugiandosi presso lo zio Mimmo, (Antonio Buonomo), il fratello del padre. A questo punto, don Vincenzo e donna Maria mandano i propri accoliti feroci e spietati alla ricerca dei due per ucciderli. Ci riusciranno? Agli spettatori la problematica scoperta.
Il film è caratterizzato da accattivanti e coinvolgenti azioni rocambolesche anche sanguinarie, che fanno ricordare il cinema di Quentin Tarantino, ma che vengono allietate da magnifici brani musicali famosi, come la canzone What a Feeling, che viene cantata da Fatima con riferimento al film Flashdance (1983) di Adrian Lyne, per fare riferimento al genere musicale a cui appartiene Ammore e malavita, anche se prende spunto dal pluripremiato film musical statunitense West side story (1961) di Robert Wise e Jerome Robbins e dall’altro successone Grease (1978) di Randal Kleiser. Una singolarità interessante del film è la contrapposizione delle belle protagoniste, Fatima e donna Maria, interpretate da due brave stars del cinema: Serena Rossi e Claudia Gerini. La prima che esprime, con il suo candore e la sua genuinità, l’Ammore per sé, per il suo amato e per la sua Napoli e il ripudio della delinquenza e dell’assassinio. La seconda che, invece, manifesta, con la sua furbizia e la sua arroganza e il suo disinteresse per Napoli, da cui vuole scappare, e, con ripetute e teatrali messinscena, la malavita dell’ambiente camorristico napoletano.
I registi romani costruiscono un film poliedrico dal punto di vista artistico e per questo attraente e piacevole per il grande pubblico, ma non essendo partenopei non riescono fino in fondo a descrivere Napoli nella sua vera essenza. Per questo il film appare privo di originalità, in quanto gli effetti descrittivi sono ottenuti in modo convenzionale e banale e quasi scontato.
Ammore e malavita è stato in concorso alla 74^ edizione della Mostra del cinema di Venezia.
Ammore e malavita è stato in concorso alla 74^ edizione della Mostra del cinema di Venezia.
Nel film, per il suo carattere musicale, recitano Raiz, il cantante degli Almamegretta, e il cantautore Franco Ricciardi.
Filmografia
Degenerazione (per l’episodio Consegna a domicilio) (1995), Torino boys (1997), Zora la vampira (2000), Piano 17 (2005), Cavie (2009), L’arrivo di Wang (2011), La stanza dell’orco (2011), Paura (2012), Song’e Napule (2013).
Francesco Giuliano
giovedì 5 ottobre 2017
Kim Novak e il suo Cagliostro, i due volti del manifesto ufficiale del 35^ Torino Film Festival che dedica una sezione a sei film con protagonisti i gatti
La 35^ edizione del Torino Film Festival - TFF ha scelto come immagine simbolo
Gli occhi azzurri di una donna e gli
occhi azzurri di un gatto: sono la strega innamorata Kim Novak e il suo
Cagliostro che fissano conturbanti, affascinano, catturano. Essa riassume
alla perfezione, infatti, l'attrazione e il flusso seducente che il cinema
esercita, un invito a lasciarsi andare, a immergersi in quegli occhi, in quei
sogni, in quello schermo.
Il film da cui è tratta questa immagine è Una strega in paradiso (Bell,
Book and Candle, 1958) di Richard Quine, uno dei titoli
proposti nella sezione dedicata ai gatti con cui il festival si salda con la
mostra “Bestiale! Animal Film Stars” che, inaugurata il 14 giugno, prosegue
fino all’8 gennaio al Museo Nazionale del Cinema.
In questa sezione, inoltre verranno presentati cinque film:
Il gatto milionario (Rhubarb, 1951), commedia
demenziale di Arthur Lubin dove Orangey (Gatto in Colazione da Tiffany e
vincitore di due PATSY Awards) eredita dall'affezionato padrone una fortuna e
una squadra di baseball.
Alice nel Paese delle meraviglie (Alice in Wonderland, 1951), il più
eccentrico e uno dei migliori classici di Walt Disney, segnato dalla presenza
surreale e dispettosa dello Stregatto a strisce rosa e fucsia.
L'ombra del gatto (The Shadow of the Cat, 1961) dove una placida
soriana si trasforma in spietata vendicatrice dopo aver assistito
all'assassinio della sua padrona. Il film è diretto da John Gilling, piccolo
maestro dell'horror britannico.
Black Cat (1981), horror di ambientazione britannica nel quale Lucio Fulci prende
spunto dall'immortale racconto di Poe e dal suo felino minaccioso per costruire
un thriller a sfondo parapsicologico.
Chat écoutant la musique (1990), dove Chris Marker riprende
Guillaume-en-Égypte, uno dei suoi amatissimi gatti, mentre
ascolta assorto Pajaro triste di Federico Mompou.
La 35° edizione del Torino Film Festival si terrà dal 24 novembre al 2
dicembre 2017. (Francesco Giuliano)
“Noi siamo tutto” e le verità nascoste che fanno male
Titolo: Noi
siamo tutto
Titolo
originale: Everything Everything
Regia: Stella Meghie
Soggetto: Nicola Yoon, dal romanzo Everything Everything
Sceneggiatura: J. Mills Goodloe
Produzione Paese: USA 2017
Cast: Amandla Stenberg, Nick Robinson, Anika Noni Rose, Ana de la Reguera,
Taylor Hickson, Dan Payne, Fiona Loewi, Sage Brocklebank, Robert Lawrenson,
Peter Benson, Françoise Yip, Faryn Vanhumbeck, Marion Eisman, […]
Medeline Whittier,
alias Maddy (Amandla Stenberg)
è una giovane di diciotto anni, affetta da una grave malattia sin dalla nascita,
diagnosticata dalla madre Pauline (Anika
Noni Rose) che è un medico. Maddy, per le sue ridotte difese
immunitarie, è costretta a rimanere segregata in una casa completamente sterile
e dalle ampie vetrate. Queste le permettono di avere un contatto visivo con l’ambiente
circostante ma, al tempo stesso, la tengono isolata dal resto del mondo, con il
quale l’unico rapporto che ha è Internet che le ha dato la possibilità di
studiare on line e anche quella di chattare.
Maddy ha anche un rapporto privilegiato con Carla (Ana de la Reguera), l’infermiera che l’accudisce e la protegge da
eventuali rischi per la salute durante l’assenza della madre. Tutto fila liscio
fino a quando nella casa adiacente viene ad abitare la famiglia Bright, composta
da padre madre e due figli, Olly (Nick Robinson) e la sorella. Maddy,
guardando dalla finestra della sua camera, si accorge di questo bel ragazzo con
il quale il suo sguardo si incrocia e persiste. E questo sguardo diventa galeotto, come scrive Dante Alighieri
nei famosi versi del Canto quinto dell’Inferno a proposito del libro letto da
Paolo e Francesca, perché Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende … . Esso non preannuncia
però una tragedia, ma un stato nascente di innamoramento di cui sembra impossibile
la continuità. Tuttavia, come sostiene il sociologo Francesco Alberoni, l’innamoramento non è
un fenomeno quotidiano, una sublimazione della sessualità o un capriccio
dell'immaginazione. Ma non è neppure un fenomeno sui generis ineffabile, divino
o diabolico. È un fenomeno che può essere collocato in una classe di fenomeni
già noti, i movimenti collettivi. Fra i grandi movimenti collettivi della
storia e l'innamoramento c'è una parentela assai stretta, il tipo di forze che
si liberano e che agiscono sono dello stesso tipo. La differenza fondamentale
sta nel fatto che i grandi movimenti collettivi sono costituiti da moltissime
persone e sono aperti all'ingresso di altre persone … l'innamoramento,
invece, pur essendo un movimento collettivo, si costituisce tra due persone
sole; il suo orizzonte di appartenenza, qualunque valore universale possa
sprigionare, è vincolato al fatto di essere completo con due sole persone.
In parole semplici, l’innamoramento
è un movimento rivoluzionario a due, tant’è che Maddy e Olly, avendo le finestre delle loro camere l’una di fronte
all’altra si scambiano i numeri telefonici e cominciano a chattare. Questo è tutto il
mio mondo: la mia infermiera, mia madre, la mia malattia. Ho diciotto anni ma
non sono mai uscita di casa. Se lo facessi, probabilmente, morirei, confessa Maddy a
Olly. E successivamente azzarda nel dirgli Sono disposta a sacrificare qualunque
cosa solo per vivere un giorno perfetto. Everything Everything, come dice il
titolo originale del film, anche se tutto rimane piatto e incolore.
Come si evince
da questa premessa il tema del film risulta veramente intrigante e coinvolgente,
peculiarità queste che, tuttavia, la regista non è riuscita a dimostrare con
sagacia ed espressione emotiva. Infatti, il film risulta monotono, spento nelle
emozioni, soprattutto nei vari risvolti descrittivi affascinanti della bella storia
raccontata tant’è che non emerge il
pathos che essa lascia intravedere e che non realizza. Questo, quindi non
ha permesso al film di avere un successo all’altezza del romanzo da cui è stato
tratto il soggetto.
Francesco Giuliano
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