Un nuovo blog che parla di cinema italiano. Potrete trovare informazioni complete sui migliori attori, registi e film del nostro cinema. Vi saranno anche riferimenti al cinema straniero , informazioni complete su come visualizzare un in streaming e suggerimenti e indicazioni rispetto ad altre pagine del settore.
venerdì 14 luglio 2017
Il documentario “IBI” selezionato al 70° Festival di Locarno – Fuori concorso
Titolo: Ibi
Regia: Andrea Segre
Fotografia: Matteo Calore
Montaggio: Chiara Russo
Coordinamento di produzione: Archontoula Skourtanioti
Musiche: Sergio Marchesini e Giorgio Gobbo (Bottega
Baltazar)
Consulenza artistica: Marco Pettenello
Lingua: Yoruba,
inglese, italiano
Paese: Italia
Prodotto da Francesco Bonsembiante
Una produzione JOLEFILM con RAI CINEMA con la
collaborazione di ZaLab con il sostegno di Open Society Foundations
Cast: Ibitocho Sehounbiatou, Salami Taiwo Olayiwola,
Mimma D’Amico, Fabio Basile, Giampaolo Mosca, Gian Luca Castaldi, Prosper Doe.
Il documentario parla di Ibi, una donna nera nata nel
Benin nel 1960, dove aveva avuto tre figli. A quarantenni, in seguito a seri
problemi economici, lasciò i figlia con sua madre accettando di trasportare la
droga dalla Nigeria all'Italia. Ma fu scoperta, arrestata e condannata a 3 anni
di carcere, a Pozzuoli, Napoli. Quando uscì dal carcere, Ibi rimase in Italia
senza potersi recare dai figli e senza poterli aiutare per più di 15 anni. Allora
per fargli vedere la sua nuova vita decise di iniziare a filmarsi, raccontando
se stessa, la sua casa a Castel Volturno, dove viveva con un nuovo compagno, Salami,
un uomo nigeriano con cui si sposò, e l’Italia dove cercava di riavere dignità
e speranza. Dalle immagini riprese da Ibi è nato questo film.
Tre erano le sue preoccupazioni maggiori: i figli, il permesso
di soggiorno e ricostruirsi una vita normale. A tenerle unite ci fu una nuova
grande passione: la fotografia. Ibi iniziò a fotografare prima e a riprendere
poi tutta la sua vita e quella della sua nuova comunità, gli oltre diecimila africani che proprio in quegli
anni ridisegnarono la geografia umana del litorale Domizio, abitando le
centinaia di villette-vacanza costruite spesso abusivamente negli anni ‘80-‘90
da napoletani e casertani e diventando mano d'opera dell'agricoltura e
dell'edilizia, in molti casi intrecciata a interessi criminali dei potenti clan
camorristici della zona. Nel cuore di questa trasformazione, Ibi fotografava e
filmava per costruirsi un'altra vita, guadagnando per documentare matrimoni,
battesimi, feste religiose.
Nel contempo aiutava e sosteneva il Movimento dei
Migranti e dei Rifugiati a cui aderì assieme a Salami con entusiasmo
trascinante, non solo per ottenere il suo permesso di soggiorno, ma anche
perché credeva fermamente nella necessità di lottare tutti insieme contro le
ingiustizie che vincolavano le vite della maggioranza dei migranti a Castel
Volturno, in Italia, in Europa. Ma filmò
soprattutto per raccontare la sua vita ai suoi figli e a sua madre, lontani e
irraggiungibili: senza permesso di soggiorno Ibi non poteva raggiungerli e non voleva
che partissero per l’Italia come aveva fatto lei. La Questura di Caserta
ritardava la convocazione di Ibi in commissione per il diritto d'asilo. Quando
finalmente venne ascoltata in Commissione, nonostante un curriculum di impegno
civile di tutto rispetto, la Presidente non se la sentì di decidere
favorevolmente per quella donna, perché i suoi precedenti erano troppo pesanti
e nessuno aveva il coraggio politico di superarli. Ibi, allora, si sentì umiliata, ma non si
fermò. Continuò a lottare e soprattutto a raccontare. Per oltre 7 anni Ibi
raccontò il suo mondo. Non desistette tant’è che ad aprile 2015 le arrivò la
buona notizia che aspettava. La commissione aveva deciso nuovamente di convocarla.
Era felicissima. Ma come talvolta succede la vita ha dei risvolti imprevedibili
e tragici. A fine aprile di quell’anno Ibi iniziò a stare male. L’8 maggio venne
ricoverata, ma la notte del 19 maggio 2015 Ibi morì.
Questo non è un film sulla storia di Ibi, ma è un film di Ibi. Un film che lascia
parlare le immagini, lo sguardo, le parole, l'anima di Ibi.
Il film di Ibi è solo suo e come tale diventa di tutte le
donne che vivono quest'epoca di viaggiatori illegali e famiglie spezzate, di
diritti negati e sofferenze nascoste, di società che cambiano e che non sanno
dove stanno andando. Infine, questo film è una storia d’amore. L’amore vero,
intenso e difficile di Salami e Ibi, celebrato da Salami alla fine del film con
una profonda preghiera cantata in memoria della donna con cui aveva condiviso
la fatica e la scommessa della migrazione.
Dice il regista Andrea Segre “Nel film sono presenti
molte immagini realizzate da Ibi che abbiamo montato in una direzione guidata
non solo dalla comprensione di ciò che a Ibi è successo (o meglio succede,
nel tempo presente delle sue riprese), ma anche dal fascino che la posizione
etica ed estetica di Ibi raccontano. Vogliamo che lo spettatore possa seguire l’io
pre-narrante di Ibi, rimanendo con lei e non vivendola come oggetto, terza
persona che testimonia una condizione di ingiustizia e sofferenza. Ibi ha
sofferto, ma ha soprattutto raccontato, lottato e sorriso. È con lei che lo
spettatore potrà stare, senza guardarla da fuori. Anche se lei non c'è più. L'assenza
di Ibi è quello che le nostre immagini invece raccontano. La quotidianità di
Salami nella casa rimasta vuota. Il mondo di Castel Volturno intorno a quella
casa, dove lei filmava e viveva. Il silenzio di preghiere e dolori. Ricordi che
non vogliono essere narrazione didascalica, ma momenti in cui l'assenza di Ibi
prende corpo. Ibi non c'è più, non ce l'ha fatta a vedere esaudite le sue
preghiere, a rivedere i suoi figli e sua madre, ad avere riconosciuto il suo
diritto alla redenzione e al poter viaggiare. La sua scomparsa rende drammatici
i suoi racconti, ma non ne toglie valore. La sua posizione “è” ancora, grazie a
ciò che ha lasciato, grazie all’amore di Salami e a ciò che ha cercato di far
capire ai suoi cari, a se stessa e al mondo. Ibi non c'è più, ma il mondo con
cui Ibi ha dovuto lottare e voluto vivere, con cui Ibi ha dovuto scontrarsi e
voluto incontrarsi, quel mondo c'è ancora e deve avere il coraggio di fermarsi
a capire ciò che Ibi ha saputo insegnare”.
Francesco Giuliano
martedì 11 luglio 2017
“Gigolò per caso” un film dai particolari magici e delicati che seducono
Titolo:
Gigolò per caso
Titolo
originale: Fading Gigolo
Regia
e sceneggiatura: John Turturro
Fotografia:
Marco Pontecorvo
Musica:
Abraham Laboriel, Bill Maxwell
Produzione
Paese: USA 2013
Cast:
John Turturro, Woody Allen, Sharone Stone, Sofìa Vergara, Vanessa Paradis, Liev
Schreiber, Bob Balaban, M’barka Ben
Taleb, Tonya Pinkins, Aubrey Joseph, Dante Hoagland, Jade Dixon, DiegoTurturro, Aida Turturro,
Michael Badalucco, […]
La crisi economica, che sta mettendo in crisi diverse piccole attività
commerciali, porta spesso a inventarsi prestazioni anche molto redditizie. È
quel che succede all’ebreo Murray (Woody Allen), che sta per chiudere la vecchia
libreria che aveva ereditato da suo nonno, e al suo amico Fioravante (John
Turturro), uno squattrinato di mezza età, che tira a
campare facendo molteplici mestieri tra cui l’idraulico, l’elettricista e il
fioraio. Mentre i due impacchettano i libri, a Murray viene un’idea geniale e originale,
per andare incontro alle loro future necessità economiche, proponendo all’amico,
che nella sua bruttezza esprime un fascino che attrae le belle donne, di
costituire tra loro due una società, in cui lui fa il procacciatore di donne che
voglio sesso e Fioravante il gigolò. Ovviamente, la società tra i due va a buon
fine e gli affari “vanno a gonfie vele”, come si suole dire, perché Fioravante
con la sua naturale sensibilità e delicatezza riesce nel suo intento e ottiene
apprezzamenti anche dalla dottoressa Parker (Sharone Stone) e da Selima (Sofìa
Vergara). Tuttavia a Fioravante, un bel giorno, capita una bellissima ebrea
chassidica, Avigal (Vanessa Paradis), vedova di un rabbino e madre di sei
figli, della quale si innamorerà. L’amore è ricambiato da Avigal, in quanto
Fioravante “porta magia nella solitudine”, ma esso avrà vita breve in quanto la
comunità ebraica ortodossa, grazie al poliziotto Dovi (Liev
Schreiber) che è invaghito della donna, interviene rompendo bruscamente il legame
affettivo nel suo nascere, perché come dice Fioravante “l’amore è dolore”, donde hay amor, hay dolor.
“Gigolò
per caso” è un film ricco di eccellenti brani musicali (la musica jazz imperversa
assieme a brani della canzone italiana come “Luna rossa” o “Tu si ‘na cosa
grande” che ne descrivono sapientemente le scene), che variano al variare delle
diverse e genuine vicissitudini sessuali del gigolò, frutto “del caso e della
necessità” a dirla con il filosofo
Democrito, che rendono ancora più seducente e coinvolgente la visione del film,
e magico e delicato, quasi surreale, ne danno il senso.
Il film ha avuto una nomination per la Migliore
fotografia a Marco Pontecorvo al Premio Nastro d’Argento 2014.
Filmografia
Mac (1992), Illuminata (1998), Romance & Cigarettes (2005), Passione (2010), Gigolò per
caso (2013), l’episodio Quando não há
Mais Amor nel film Rio, eu te amo (2014).
Francesco Giuliano
domenica 9 luglio 2017
La “Civiltà perduta” per rivivere i valori antropici di un uomo alla ricerca dell’umanità
Titolo:
Civiltà perduta
Titolo
originale: The Lost City of Z
Regia: James Gray
Soggetto. David Grann (dal libro Z la città perduta)
Sceneggiatura: James Gray
Produzione Paese: USA, 2016
Cast: Charlie Hunnam, Robert
Pattinson, Sienna Miller, Tom Holland, Angus Macfadyen, Edward Ashley, Ian
mcDiarmid, Clive Francis, Franco Nero, Harry
Melling, John Sackville, Adam Bellamy, Daniel Huttlestone, […]
Sin dalle
scene iniziali, che descrivono una battuta di caccia in Irlanda, si evincono la
temerarietà, la bravura e la nobiltà d’animo del maggiore Percy Fawcett (Charlie Hunnam) dell’esercito britannico,
agli inizi del XX secolo. Il soggetto
del film “Civiltà perduta” è stato tratto dal libro “The lost City of Z: A
Tale of Deadly Obsession in the Amazon” (2009) di David Grann, in cui si
racconta la storia vera del maggiore Fawcett, che fu chiamato, nel 1906, dalla
Royal Geographical Society per andare a fare una mappatura del confine, in
Amazzonia, tra Bolivia e Brasile al fine di scongiurare una probabile guerra “della
gomma” tra questi due paesi, in quanto da quelle parti si estraeva il lattice
dall’albero della “gomma”, l’Hevea brasiliensis, per produrre il caucciù. Fawcett, animato da
spirito di avventura e, spinto dal brama della scoperta e dal bisogno
spasmodico di migliorare la stima degli altri verso di sé, che era stata
compromessa da suo padre morto alcolizzato, accetta, lasciando la moglie Nina (Sienna Miller), già incinta, sola con i
figlio Jack (Tom Holland) ancora infante. Le insidie e i pericoli che gli si
presentano lungo il percorso in Amazzonia sono molti, ma la sua tenacia, il suo
coraggio e il suo sentire rivolto sempre verso l’eccellenza per scoprire la
verità, gli permettono di concludere il compito arduo che gli era stato assegnato.
Durante questa impresa, durata molti anni, il maggiore Fawcett trova casualmente
dei resti di terracotta molto antichi nella foresta amazzonica, che lo inducono
a pensare che da quelle parti ci fossero le antiche vestigia di una città che
lui chiamò “Z”. Molti anni più tardi, dopo la fine della Prima Guerra Mondiale,
durante la quale il cloro gli aveva prodotto danni alla vista per fortuna non molto
gravi, Fawcett, divenuto colonnello, spinto dalla straordinaria insistenza dal
figlio Jack, ritorna in quei luoghi alla ricerca della “civiltà perduta” dove
però scompare assieme al figlio.
Il regista James Gray riesce, con sagacia compositiva e ritmica, con
vivacità intellettuale e tramite un meticoloso lavoro di ambientazione, a mettere
in evidenza il contrasto tra l’illusorio splendore degli ambienti sfarzosi degli Inglesi e il territorio
naturalistico e ancestrale degli Indios, le loro differenze di costumi in
quanto i primi sono costretti a indossare vestiti scomodi che li coprono dalla
testa ai piedi mentre i secondi rasentano la nudità completa. Al tempo stesso,
con un’articolazione delle inquadrature che mettono in risalto le asperità dei
luoghi, riesce a scavare, anche, nei volti dei personaggi con crudezza
realistica e acribia critica per coglierne nel contempo gli spasmi e le gioie e
per mettere in risalto continuamente il perenne contrasto tra il Bene e il Male.
Il regista, altresì, elabora una storia che è edificante e melodrammatica non
tanto per il suo contenuto ma soprattutto per il linguaggio cinematografico, perfetto
nella misura, con il quale esterna armonicamente e con perspicacia quel sublime
sentimento umano volto alla scoperta della verità e al suo impulso costruttivo.
Filmografia
Little Odessa (1994), The Yards (2000), I padrone della notte (2007),
Two Lovers (2008).
Francesco Giuliano
sabato 1 luglio 2017
In “Parliamo delle mie donne” Claude Lelouch con briosa semplicità drammatica parla delle sue donne
Titolo:
Parliamo delle mie donne
Titolo
originale: Salaud, on
t'aime
(Bastardo, ti vogliamo bene)
Regia: Claude Lelouch
Sceneggiatura: Claude Lelouch, Valérie
Perrin
Musica: Francis Lai
Produzione Stato: Francia, 2014
Cast: Johnny Hallyday, Sandrine Bonnaire,
Eddy Mitchell, Irène Jacob, Pauline Lefèvre, Sarah Kamezy, Jenna Thiam, Agnès
Soral, Isabel de Hertogh, Valérie Kaprisky, […]
Dopo due anni
“Parliamo delle mie donne” (2014) dalla sua uscita in Francia, arriva nelle
sale italiane il cinquantacinquesimo film diretto dal prolifico ottantenne regista francese Claude
Lelouch, che iniziò la sua carriera di cineasta a sedici anni con il film “Il male del secolo” (1953). Sequenze mozzafiato di splendidi
e candidi paesaggi alpini innevati dell’Alta Savoia francese accompagnate dalle
bellissime canzoni jazz di Louis
Armstrong e Ella Fitzgerald e, in alcuni tratti del film, dalla canzone cantata da
Dean Martin nel film in tv “Rio Bravo” (1950), già di per sé rendono questo film attraente, emozionante e particolarmente
apprezzabile nel suo genere. Lelouch vuole parlare di se stesso e delle sue figlie, descrivendo nella sua parte finale la vita del fotografo di guerra
Jacques Kaminsky (Johnny
Hallyday) che, dopo aver girato il mondo a macchia di
leopardo, inseguendo le guerre, e dopo aver visto morte e desolazione, vuole, ormai ultrasettantenne, godere di un
po’ di pace e serenità in una “valle dell’Eden” alpina, lontano dal frastuono e
dal caos di una città come Parigi. Jacques vi si compra una vasta tenuta con un
magnifico casolare, da cui si gode una vista panoramica. “Un posto davvero
isolato”, lontano dal mondo, dove “non vorrebbe essere seppellita” - sostiene la moglie Bianca (Agnès Soral) che, invece, preferisce rimanere in città,
abbandonandolo. Jacques, allora, rimasto solo, si lega affettivamente alla sua
nuova compagna, la dolce e affabile Nathalie (Sandrine
Bonnaire), di circa trent’anni più giovane - una differenza d’età considerevole
che però non sembra incidere negativamente sul loro incipiente idillio -, con
la quale condivide quel paradiso naturale. Per festeggiare la nuova proprietà
Jacques invita l’amico fraterno Frédéric (Eddy Mitchell),
medico personale, e le sue quattro figlie a cui ha dato per bizzarria,
rispettivamente, il nome delle quattro stagioni,Primavera (Irène Jacob), Estate
(Pauline Lefèvre), Autunno (Sarah Kamezy) e Inverno (Jenna Thiam) e che ha
avuto dal rapporto con quattro donne diverse nel suo girovagare per il mondo.
Queste ultime, in un primo momento non accettano l’invito deludendo il padre, ma
poi, in seguito a una telefonata che Frédéric fa a Primavera, ognuna per
proprio conto si convince e si reca dal padre facendo risultare l’arrivo un’improvvisata.
Jacques è felicissimo per
avere riunito le sue bellissime figlie e per averle tutte finalmente accanto a
lui. Ogni cosa sembra procedere fin troppo bene, ma durante il convivio la rivelazione
casuale di Jacques di avere un’altra figlia cubana, Francia (Valérie Kaprisky),
concepita durante la crisi della Baia del Porci (1962), scatena un putiferio
dai risvolti profondamente drammatici anche se “il caso ha il suo fascino”. E può
capitare così che la ricerca della felicità può avere conseguenze caotiche
opposte a essa e irreversibili.
Parafrasando i suoi precedenti film “Un
uomo, una donna” (1966) e “Un uomo, una donna oggi” (1986), si potrebbe dare il
titolo “Un uomo, tante donne” a questo coinvolgente film che verrà sicuramente
apprezzato anche dagli ambientalisti. Un film interpretato magnificamente dal
cantante attore Johnny Hallyday che, con il suo viso solcato da profonde rughe
scavate dal tempo e con i suoi occhi piccoli ma profondamente espressivi,
riesce ad esprimere le fondamenta della filosofia di vita di Jacques basate “sulla
giusta distanza” e “sull’equilibrio interiore”, equilibrio che da un
atteggiamento impulsivo e irrefrenabile da parte di una delle figlie però viene
alterato.
Filmografia
Il male del secolo (1953), Usa alla rinfusa (1956), Una città
non come le altre (1956), Quand le rideau se lève (1957), La guerra del
silenzio (1959), I meccanici dell’aviazione (1959), S.O.S. Elicottero (1959),
Ciò che è proprio dell’uomo (1960), L’amore senza ma …(1962), Una ragazza e
quattro mitra ( 1964), La donna è uno spettacolo (1964), Operazione golden car
(1966), Un uomo, una donna (1966), Lontano dal Vietnam (1967), Vivere per
vivere( 1967), Un tipo che mi piace (1969), La vita ,l’amore, la morte (1969),
La canaglia (1970), Tre dritti a Saint Tropez (1971), L’avventura è l’avventura
(1972), Ciò che l’occhio non vede (1973), Una donna e una canaglia (1973), Il
matrimonio (1974), Tutta la vita (1974), Il gatto, il topo, la paura e l’amore
(1975), Un appuntamento (1976), La fabbrica degli eroi (1976), Chissà se lo
farei ancora (1976), Un altro uomo, un’altra donna (1977), Agenzia matrimoniale
(1978), A noi due (1979), Bolero (1981),
Edith e Marcel (1983), Viva la vita (1984), Tornare per rivivere (1885),
Un uomo, una donna oggi (1986), Una storia dei nostri giorni (1986), Una vita
non basta (1988), Ci sono dei giorni … e delle lune (1990), La belle histoire (1991),
L’amante del tuo amante è la mia amante (1993) I miserabili (1995), Lumière et
compagnie (1995), Uomini e donne – Istruzioni per l’uso (1996), Per caso o per azzardo (1998), Una per tutte (1999),
And Now … Ladies & Gentlemen (2002), 11 settembre 2001 (2002), Les
parisiens (2004), Le courage d’aimer (2005), Roman de gare (2007), Ces
amours-là (2010), Parliamo delle mie donne (2014), Un + une (2015), Chacun sa
vie (2017).
Francesco Giuliano
Iscriviti a:
Post (Atom)