Un nuovo blog che parla di cinema italiano. Potrete trovare informazioni complete sui migliori attori, registi e film del nostro cinema. Vi saranno anche riferimenti al cinema straniero , informazioni complete su come visualizzare un in streaming e suggerimenti e indicazioni rispetto ad altre pagine del settore.
mercoledì 29 giugno 2016
“Life” o il dramma di un giovane ‘ribelle senza causa’
Titolo:
Life
Regia:
Anton Corbijn
Sceneggiatura:
Luke Davies
Produzione
Stato: Canada, Australia, Germania 2015
Cast:
Robert Pattinson, Dane DeHaan, Joe Edgerton, Alessandra Mastronardi, Stella
Schnabel, Ben Kingsley, Kristen Hager, Kelly McCreary, Ania Savcic, Michael
Therriault, Sara Waisglass, Kristian Bruun, Allison Brennan, […]
“Life”
descrive l’ultimo anno di vita di un attore giovane morto a ventiquattro anni, James
Dean (Dane DeHaan), il quale pur avendo fatto pochi film è passato alla storia
del Cinema come nessun altro, perché il suo modo di essere, nel contempo,
confuso, romantico, anticonformista, insofferente, ‘ribelle senza causa’ (con
riferimento al libro omonimo dello psichiatra Robert Lidner del 1944),
nostalgico, lo ha fatto diventare un’icona indelebile e quasi sacra. Per certi
aspetti James Dean rappresenta il prototipo del ribelle della Beat Generation,
di cui è stato ‘manifesto’ il celebre e tanto amato libro di Jack Kerouac “On
the Road” (1951). Questo romanzo, che ricalca il modo di agire e di pensare di
Dean, è basato sul valore dell’amicizia e sulle delusioni dell’amore, sulla
ricerca continua del sé e del senso della vita, sul bisogno di rivoltarsi
contro il conformismo, sul “cambiamento che avanza”. Ma che riproduce anche il modo
di essere dell’attore, caratterizzato soprattutto da una profonda nostalgia, dal
dolore del ritorno al passato, dall’infelice passaggio dalla gioventù all’età
adulta. In effetti, un ‘ritorno alla casa’ tanto bramato, a Fairmount, in
Indiana, che lo aveva visto nascere e crescere, per godere del tempo
spensierato e ricco di sogni, del sacro ricordo dell’affetto della madre e del
rimpianto delle cose perdute per sempre, rappresenta il suo rifiuto al
cambiamento perché “si sente
nell'aria, le cose cambiano!”
Era il1955. James Dean aveva terminato di interpretare Cal
Trask nel film “La valle dell’Eden diretto da Elia Kazan e si preparava ad interpretare
magistralmente Jim Stark in “Gioventù
bruciata” (Rebel Without a Cause)
di Nicholas Ray, quando conobbe il fotografo Dennis Stock
(Robert Pattinson), di cui diventò grande amico.
Questi, guidato da uno spiccato intuito,
capì sin da subito la peculiarità di carattere di Dean e la sua bravura di
attore e gli propose di fotografarlo proponendogli la pubblicazione delle foto
sulla famosa rivista “Life” perché “La fotografia è un bel modo per
dire, io c'ero tu c'eri ...”.Ciò avrebbe consentito sia a Stock
che a Dean anche di farsi conoscere e progredire nella carriera.
Mai
titolo di film fu più azzeccato di “Life” che, oltre a fare riferimento alla
famosa rivista statunitense dove il fotografo Dennis Stock (Robert Pattinson)
pubblicò le foto di James Dean, è un termine che nella lingua inglese significa
“vita”, quella vita che Dean voleva vivere intensamente rifuggendo dalle messe
in scena futili e banali e da un becero conformismo alimentato
dall’opportunismo e dall’assenza di sincerità nei comportamenti individuali. Egli,
infatti, voleva cogliere la bellezza della vita, attimo per attimo, perché,
come scriveva Kerouac, “… nessuno sa ciò che succederà di nessun altro se non
il desolato stillicidio del diventare vecchi”, “… cosa avesse avuto in mente
Dio quando aveva fatto la vita così triste” e “… che la vita è una cosa
seria e che c’è chi cerca di ricavarne
qualcosa di decente invece di fare il coglione a tempo pieno”. James Dean voleva
vivere in piena libertà “nella musica, nell’arte, ovunque”, senza costrizioni, senza
formalità, senza che nessuno gli dicesse cosa dovesse fare e a quali impegni
non mancare, rifuggendo da titoli onorifici, dato che proveniva da una famiglia
di quaccheri, e così come gli aveva insegnato la sua cara madre.
Nel
film, accanto a Robert Pattinson e Dane DeHaan con le loro brillanti,
significative ed emozionanti interpretazioni, hanno recitato l’attraente e
fascinosa Alessandra Mastronardi nella parte di Anna Maria Pierangeli, il solo
e unico amore della vita di Dean, la quale però gli procurò un grande
dispiacere avendolo lasciato in tronco senza motivo, e Ben Kingsley che ha interpretato Jack Warner,
cofondatore della casa cinematografica Warner Bros.
“Life”
è un film da vedere sia perché descrive magnificamente la biografia di un mitodel
cinema, James Dean, nella parte più significativa della sua vita sia perché
riproduce la storia del cinema statunitense nei primi anni cinquanta ai tempi
della Beat Generation.
È
stato presentato al Festival internazionale del cinema di Berlino 2015.
Filmografia
Control (2007), Linear (2009), The
American (2010), La spia – A Most Wanted Man (2014).
Francesco Giuliano
martedì 28 giugno 2016
“La bicicletta verde” è una spinosa digressione sulla condizione della donna nei paesi islamici
Titolo:
La bicicletta verde
Titolo
originale: Wadjda
Regia
e Sceneggiatura: Haifaa Al-Mansour
Musica:
Max Richter
Produzione
Stato: Arabia Saudita, Germania 2012
Cast: Reem Abdullah, Waad Mohammed, Abdullrahman
Algohani, Ahd Kame, Sultan Al Assaf, […]
Wadjda (Waad Mohammed), una bambina di 10 anni che vive
sola con la madre (Reem Abdullah) in quanto il padre (Sultan Al Assaf) deve sposarsi con una seconda
moglie, mostra le disinibizioni, l’innocenza, la genuinità, la naturalezza e lo
spirito di libertà dovute alla sua età. Wadjda non ha i pregiudizi e i tabù dei
grandi, ma non si chiede neppure perché deve coprirsi il capo quando esce di
casa. Questo suo modo di essere però contrasta con gli usi e i costumi
tradizionalisti imposti da una società maschilista e autoritaria e da una
cultura integralista e retrograda che non lascia spazio alle libere scelte
personali coerenti con la personalità individuale. Per questo, la bambina viene
spesso richiamata e minacciata dall’intransigente e dispotica direttrice della
scuola che frequenta. Vivendo in periferia della città ha modo di frequentare
un suo coetaneo Abdullah (Abdullrahman
Algohani), che possiede una bicicletta
dalla quale Wadjda viene
subito attratta e affascinata. Ed è con quella bicicletta che la bambina impara a
tenere l’equilibrio e a pedalare, e sogna di possederne una tutta per sé. Non
passa tanto tempo che un giorno vede una “bicicletta verde” trasportata in un
negozio dove viene messa in vendita al prezzo di 800 riyal, una somma di denaro
molto alta per lei. Soltanto la madre, che può soddisfare questo suo desiderio,
si rifiuta di comprargliela perché pensa che ciò, contrastando con le
consuetudini locali e con le maldicenze della gente, potrebbe nuocere alla figlia prossima alla pubertà. Ciò
induce Wadjda ad accumulare soldi con la vendita di bracciali di fili
intrecciati fatti da lei o con altro, ma l’accumulo della somma richiede tempo.
Intanto, però, la scuola indice la gara di conoscenza del Corano che stabilisce
la somma di 1000 riyal al vincitore. Wadjda partecipa e studia con grande
fervore e profonda determinazione perché vuole vincere la gara. Ci riesce
brillantemente. Finalmente avrà soldi a sufficienza per l’acquisto della sua
tanto sospirata bicicletta verde. Ha raggiunto il suo obiettivo o quasi.
Infatti, al momento della consegna del premio, la direttrice le chiede cosa
farà con tutti quei soldi. La risposta di Wadjda, che non può essere che quella
della realizzazione del suo sogno – l’acquisto della bicicletta verde -, irrita
la direttrice e turba il pubblico presente che non condivide questa sua
preferenza, ed ha, come conseguenza, la devoluzione del premio alla causa
palestinese.
“La
bicicletta verde” è un film
diretto in modo semplice e realistico ma con un’impronta leggera ma significativa
che mette in luce i connotati di una società che non permette alle donne di
potersi emancipare liberamente a causa della rigidità imposta da una cultura
integralista e fondamentalmente maschilista.
Il film ha
ottenuto la nomination per Miglior film straniero sia al premio BAFTA (British
Academy of Film and Television Art) – 2014, sia al Premio Satellite Awards –
2014.
Filmografia
Women Without Shadows (documentario,
2005).
Francesco Giuliano
venerdì 24 giugno 2016
“La legge del mercato” non tiene conto dei sentimenti umani
Titolo:
La legge del mercato
Titolo
originale: La loi du marché
Regia:
Stéphane Brizé
Sceneggiatura:
Stéphane Brizé, Olivier Gorce
Produzione
Stato: Francia 2015
Cast: Vincent Lindon, Yves Ory, Karine De Mirbeck,
Matthieu Schaller, Xavier Mathieu, Noël Mairot, Catherine Saint-Bonnet, […]
“La
legge del mercato” è un film nudo e crudo diretto in modo magistrale dal
regista Stéphane Brizé con un realismo così perfetto da sembrare un
documentario. Esso descrive uno spaccato della nostra società, in questa caso
di quella francese, immersa in una palude dai limiti indefiniti e dalle numerose
insidie provocate dalla crisi economica che non tiene conto della dignità umana.
In essa vivono vittime e carnefici, ambedue esseri umani, i cui ruoli sono
talmente dinamici da invertirsi e, quando ciò accade, ognuno di loro vede con
amarezza come si sta dall’altra parte e avverte pesantemente la violenza
psichica che viene esercitata sulle persone senza che si tenga conto della rispettiva
dignità umana. Una società, dunque, che trasforma le vittime in carnefici, dove
si descrive fino a che punto la morale di un individuo possa sopportare quando
perde il lavoro o possa patire quando lavora. Il film, ispirato a fatti realmente accaduti non solo in Francia e dei
quali la stampa ne parla sin da quando è iniziata la crisi economica in Europa,
descrive la vita di Thierry (Vincent Lindon), un operaio cinquantenne dall’integrità morale encomiabile, che
ha una moglie casalinga (Karine De Mirbeck) e un figlio disabile (Matthieu
Schaller) che studia con la voglia di riuscire. Thierry ha perso il
lavoro e sta in mobilità ancora per altri nove mesi. Nel frattempo, ha
frequentato uno stage come gruista che, però, non gli ha permesso di trovare
lavoro, ed ha presentato il proprio curriculum vitae presso diverse aziende
che, in fase di colloquio, lo umiliano fortemente infierendo sulla sua dignità
umana. Thierry riuscirà, finalmente, dopo tante delusioni ad avere un posto di lavoro
come vigilante presso un grande supermercato, il cui direttore è una persona insensibile
e arrivista che vuole a tutti i costi licenziare diversi dipendenti usando
anche pretesti futili e insignificanti. Per questo motivo e per il ruolo che
svolge, Thierry si troverà a dovere assistere inerme all’interrogatorio sia di
diversi clienti che hanno taccheggiato oppure a soprusi e sopraffazioni su
alcune dipendenti che si sono comportate “illecitamente” nell’esercizio del
loro lavoro. Thierry si rende subito conto che da vittima, sentendosi complice
di questi comportamenti illeciti della direzione, inconsapevolmente è diventato
carnefice. Allora ci si chiede se per lavorare si possa accettare tutto?
Il film al Festival di Cannes 2015 ha assegnato
a Vincent Lindon il Premio Migliore interpretazione maschile e il Premio César
2016 a Vincent Lindon per Migliore attore protagonista. Il regista, invece, ha
ottenuto soltanto la candidatura ai suddetti premi.
Filmografia
Le bleu des
villes (1999), Je ne suis pas là pour etre aimé (2005), Entre adultes (2006),
Mademoiselle Chambon (2009), Quelques heures de printemps (2012).
Francesco
Giuliano
mercoledì 22 giugno 2016
“1981: Indagine a New York” sul dramma di un imprenditore onesto
Titolo:
1981: Indagine a New York
Titolo
originale: A Most Violent Year
Regia,
Soggetto, Sceneggiatura: J.C. Chandor
Produzione
Stato: USA 2014
Cast:
Oscar Isaac, Jessica Chastain, David Oyelowo, Alessandro Nivola, Albert
Broooks, Elyes Gabel, Catalina Sandino Moreno, Peter Gerety, Christopher Abbott, Ashley Williams, John Procaccino, Glenn
Fleshler, Jerry Adler, Annie Funke, […]
“1981:
Indagine a New York” è un thriller emozionante e coinvolgente che documenta la violenza latente, subdola e
infida e la corruzione imperante e sovrastante che si insinuano prepotentemente
nella vita e negli affari di un imprenditore immigrato Abel Morales (Oscar
Isaac) e di sua moglie Anna (Jessica Chastain), in uno dei periodi più brutali e
crudeli della storia della città di New York, come dimostra pure il titolo
originale del film “A Most
Violent Year”. Abel è una persona molto seria, determinata, per niente ingenua,
ma soprattutto onesta, che pur avendo paura cerca i n tutti i modi di non farsi
stringere dalla paura. Egli amministra, infatti, con onestà e rettitudine,
assieme alla moglie, l’azienda con la quale commercia olio combustibile e per
mezzo della quale, con oculati investimenti, ha accumulato ricchezza e
prestigio. Nel momento in cui cerca di espandersi, acquistando un terreno ai
margini della città, non solo Abel deve avere a che fare con le angherie e i
furti delle autocisterne che la malavita subdolamente gli procura, ma anche
deve difendersi dall’autorità giudiziaria, tant’è che il procuratore Lawrence
(David Oyelowo) ha avviato un’indagine sulla sua azienda e, quindi, su di lui
con diverse gravi imputazioni per capire in che modo sia stato in grado di realizzare
tale fortuna.
Abel, allora, pur entrando per diversità di
vedute in contrasto con la moglie Anna, figlia di un gangster da cui ha
acquisito l’azienda originaria, deve continuamente “correre”
- come avviene in una scena del film nella quale Abel cerca di
acchiappare uno dei ladri di una sua autocisterna -, e non fermarsi per capire
fino in fondo chi siano i mandanti che gli impediscono di raggiungere i suoi
obiettivi commerciali e bloccare una situazione che sta deteriorando, giorno
dopo giorno, la sua attività volta a sicuro fallimento. In altre parole, Abel
si trova tra l’incudine, cioè la malavita, e il martello, cioè la giustizia.
Deve ricorrere alla violenza come fanno i suoi antagonisti, oppure seguire la
sua inclinazione che è quella della non violenza senza se e senza ma? Deve
soccombere e accettare il fallimento o resistere finché la verità prevalga
sugli inganni e sui sospetti?
La maestria del regista nello scrivere e
condurre questo film è stata proprio quella di mettere a confronto continuo il
protagonista con le difficoltà a cui va incontro ma anche quella di indurre,
nel corso del film, lo spettatore a prendere una decisione al posto di Abel.
Cioè a dire: cosa farebbe lo spettatore al posto di Abel?
Il film ha ottenuto diversi premi, tra cui al
Critics’ Choise Movie Award 2014 quello a Jessica Chastain per Migliore
interprete dell’anno, al National Board of Review of Motion Pictures 2014 quelli
per Migliore attore a Oscar Isaac, per Migliore attrice non protagonista a Jessica
Chastain e per Migliore film, mentre al Golden Globe 2015 ha ottenuto la
nomination a Jessica Chastain per Migliore attrice non protagonista.
Filmografia
Margin Call (2011), All is
Lost (2013).
Francesco Giuliano
venerdì 17 giugno 2016
"Mustang" o la lotta della donna per la libertà in una società patriarcale
Titolo:
Mustang
Regia:
Deniz Gamze Ergüven
Sceneggiatura:
Deniz Gamze Ergüven, Alice Winocour
Musica:
Warren Ellis
Produzione
Stato: Francia 2015
Cast:
Günes Sensoy, Doga Doguslu, Elit Iscan Tugba Sunguroglu, Ilayda Akdogan, Nihal
G. Koldas, Ayberk Peckan, Bahar
Kerimoglu, Burak Yigit, Erol Afsin, Suzanne Marot, […]
“Mustang”,
opera prima della regista Deniz Gamze Ergüven, è un film soprattutto
al femminile, di grande attualità, fresco, delicato, drammatico, potente, realista,
prorompente, coinvolgente, umano,che riesce a raccontare, con sobrietà e anche
con una leggera arguzia, lo strapotere dell’uomo sulla donna nei paesi islamici
(nel film il riferimento è alla Turchia), grazie ad una religione maschilista e
patriarcale che gli dà ampia facoltà di fare e strafare.
“Mustang”
descrive la storia di cinque sorelle Lale (Günes Sensoy), Nur (Doga Doguslu), Ece
(Elit Iscan), Selma (Tugba Sunguroglu), e Sanay (Ilayda Akdogan), ancora in età
scolastica, che rimaste orfane di ambedue i genitori, vivono, in un piccolo
paese della Turchia, nella casa della nonna (Nihal G. Koldas), dove patiscono
il dispotico e rabbioso patriarcato dello zio Erol (Ayberk Peckan).
È terminato l’anno scolastico e le cinque sorelle nel
ritornare a casa, questa volta a piedi, si incontrano lungo la spiaggia del
mare con un gruppo di ragazzi coetanei con i quali si intrattengono a giocare
in acqua. Questo genera uno scandalo perché “le femmine devono stare con le
femmine “ e “i maschi con i maschi” e
non è consentita la promiscuità, che può generare alla femmina la perdita
della verginità, la quale, invece, è un valore che garantisce il matrimonio, se pur combinato.
In seguito a questo scandalo, le cinque ragazze sono
sottoposte a visita perché venga rilasciato loro il certificato di verginità e la
casa dove abitano diventa pian piano una prigione perché, per evitare che
scappino, lo zio prima fa costruire un alto recinto e poi fa mettere le grate
alle porte e alle finestre.
“Mustang”
termine inglese che significa “non domato” indica, appunto, il comportamento
delle cinque sorelle che non si arrendono, come i cavalli appartenenti alla
razza equina indomita che porta questo nome, e lottano strenuamente per la loro
libertà contro lo strapotere maschilista e moralista dello zio. Lale, la più giovane
delle sorelle, ha sempre iniziative trasgressive e originali e cerca di
inventarsi strategie che la possano fare fuggire lontano da quella detenzione sia
fisica che morale, perché l’unica alternativa di evasione è quella di un
matrimonio combinato. La strada per la fuga è lunga e tortuosa e non può essere
fatta con le pantofole di casa come mostra una scena del film. Ognuna delle
cinque sorelle vive un’esperienza diversa da quella vissuta dalle altre, ma
tutte e cinque soffrono per le restrizioni imposte da quella società costituita
da uomini violenti e moralisti e da donne assuefatte da secoli al servilismo. “Mustang”
sottolinea in maniera semplice che bisogna rifuggire dai moralisti perché, come
sosteneva Pasolini, “i moralisti dicono sempre di no agli altri”, ma non a se
stessi. E questo la dice lunga sul loro comportamento ipocrita e violento sia
fisicamente che psicologicamente.
Il film,
che è una rivelazione per la sua bellezza e per la sua armoniosità e per la semplicità
del racconto, ha ottenuto le seguenti nomination: Premio Oscar 2016 per Miglior
film straniero, Golden Globes 2016 per Miglior film straniero, European Film
Awards 2015 per Miglior film europeo e per Rivelazione europea; mentre ha
ottenuto i seguenti premi: al Cesar 2016
per la Migliore opera prima, per la Migliore sceneggiatura originale, per la
Migliore colonna sonora, per il Migliore montaggio, e al Goya 2016 per il
Migliore film europeo (Francia).
Francesco
Giuliano
domenica 12 giugno 2016
“In nome di mia figlia” insegna che non bisogna mai desistere nel ricercare la verità
Titolo:
In nome di mia figlia
Titolo
originale: Au nom de ma fille
Regia:
Vincent Garenq
Soggetto:
André Bamberski
Sceneggiatura: Vincent Garenq,
Julien Rappeneau
Produzione
Stato: Francia 2016
Cast:
Daniel Auteuil, Sebastian Koch, Marie-Josée Croze, Cristelle Cornil, Lila-Rose
Gilberti, Emma Besson, Christian Kmiotek, Serge Feuillard, Fred Personne,
Thérèse Roussell, […]
Il
regista Vincent Garenq, assieme a Julien Rappeneau, ha scritto questo
bellissimo film “In nome di mia figlia” che è tratto da una vera vicenda recente,
vissuta da André Bamberski (Daniel
Auteuil) e dalla sua famiglia nell’arco di
trent’anni. Vicenda che ha riempito le pagine di cronaca giudiziaria dei
giornali francesi. Il racconto del film è tratto da un libro autobiografico,
dove Bamberski descrive le vicissitudini che ha dovuto affrontare, le strategie
che ha dovuto utilizzare e il muro di gomma della giustizia, sia tedesca che
francese, contro cui ha spesso rimbalzato come una palla, per fare luce sulla
morte prematura della figlia quattordicenne Kalinka (a 6 anni Lila-Rose
Gilberti, a 14 anni Emma Besson), deceduta misteriosamente a Lindau, in Germania nella casa del dott. Dieter Krombach (Sebastian
Koch), dove era andata a trovare la madre Dany (Marie-Josée Croze), che era divorziata
dal padre. Era il 1982. Garenq nella conduzione del film, in cui utilizza
continui e brevi feedback che risultano esplicativi ed efficaci, non si lascia
trasportare né dal sentimentalismo né dal sensazionalismo ma da un realismo
cronachistico. Egli riesce a raccontare la storia in modo egregiamente
sintetico ma efficace, per niente stancante ma coinvolgente, facendo emergere
con sagacia la reticenza e i cavilli burocratici delle istituzioni giudiziarie
e l’alone di mistero che ha avvolto tutta la vicenda. Si coglie, senza dubbio,
una dipendenza sensibile alle condizioni iniziali determinate dall’adulterio di
Dany, la moglie di Bamberski, con Krombach, avvenuto in Marocco nel 1974, perché,
in genere, le relazioni umane sono caratterizzate da profonda instabilità e, in
quanto tali, basta un particolare iniziale insignificante per modificare e
stravolgere la storia, in questo caso, di una famiglia intera. Si ha in
definitiva il caos, che è il nome dato alla scienza moderna che studia,
appunto, i grandi effetti determinati da piccole cause come quello che viene
descritto in questo ottimo film: la morte di Kalinka e l’ostinata ricerca della
verità da parte del padre André che, tramite alcuni indizi, si convince che la
figlia sia stata prima violentata e poi uccisa da Krombach. La ricerca diventa
talmente forsennata che Bamberski viene ritenuto folle, ma egli continua a
lottare perché il medico venga processato e punito. Daniel Auteuil, con la sua
grande versatilità di bravo attore, caratterizza egregiamente Bamberski in modo
tale da fare riflettere lo spettatore se egli abbia agito in quel modo così ostinato
perché venisse fatta giustizia oppure per vendicarsi del male che Krombach gli
avesse procurato sia per avergli tolto la moglie Dany sia per avergli ucciso la
figlia.
Il
film dà conforto a tutte le persone che hanno avuto congiunti sottoposti ad
abusi sessuali o sono stati uccisi e gli trasferisce il messaggio che non
bisogna mai desistere dal continuare a lottare per avere giustizia. Il film
mette anche in risalto gli intricati rapporti diplomatici che si instaurano
quando questi incresciosi eventi coinvolgono Stati diversi come, in questo
caso, Francia e Germania, o come Italia ed Egitto per il caso di Sergio Regeni
o, ancora Italia e India per il caso dei due militari Salvatore Girone e
Massimiliano Latorre. Si instaura una specie di monotono e inconcludente gioco
di ping pong di cui non si sa chi sarà il vincitore.
Daniel
Auteuil, con i suoi sguardi, i suoi silenzi e il suo atteggiamento razionale, sobrio,
fermo e deciso ma mai aggressivo, costruisce un’interpretazione eccellente che
conferma ancora una volta la sua straordinaria bravura. E così pure Sebastian
Koch riesce a dare credibilità con veemenza al suo squallido personaggio che
appare subdolo, cinico e privo di scrupoli.
Filmografia
Saint Tropez (1996), Baby
love (2008), Présumé copable (2014), L’enquete (2014).
Francesco Giuliano
sabato 11 giugno 2016
"L’uomo che vide l’infinito" è una disamina sul pensiero scientifico che tende ad unire l’umanità
Titolo: L’uomo che vide
l’infinito
Titolo originale: The Man Who Knew Infinity
Regia: Matt Brown
Soggetto: Robert Kanigel
Sceneggiatura: Matt Brown, Robert Kanigel
Produzione Stato: USA 2015
Cast: Dev Patel, Jeremy Irons, Vevika Bhise, Toby
Jones, Stephen Fry, Jeremy Northam, Kevin McNally, Richard Johnson, Anthony
Calf, Patraic Delaney, Shazad Latif, Enzo Cilenti, […]
“L’uomo che
vide l’infinito” di Matt Brown è uno di quei film da vedere perché trasmette,
al di là della vena romantica che avvolge
il racconto, un messaggio importante che è quello che il pensiero scientifico è
formalmente coerente e universalmente compreso e tende ad unificare e non a
dividere l’umanità. Non la religione basata sui dogmi, non la politica basata
sull’oratoria e sul sofisma che usa argomentazioni lusinghiere che sono
mostrate come valide ma in realtà sono ingannevoli, non il razzismo basato sui
pregiudizi e sulla superiorità dell’uomo sull’uomo, ma soltanto la scienza che,
usando un linguaggio universale, è messaggera di verità, latrice di
condivisione di idee e, quindi, di concordia e di unificazione. Non la semplice
intuizione, cioè la conoscenza immediata non fondata sul ragionamento, ma la
dimostrazione matematica la quale, partendo da certe premesse ovvero da
proposizioni dimostrate grazie a queste premesse, determina la validità di una
nuova proposizione grazie alla coerenza formale del ragionamento. La
dimostrazione così risulta condizione necessaria e sufficiente per ritenere valida
l’intuizione.
Il film,
tratto dalla biografia “L’uomo che vide l’infinito – La vita breve di Srinivasa
Ramanujan, genio della matematica” (1991) di Robert Kanigel, descrive la breve
vita, molto proficua e molto intensa del giovane matematico indiano Srinivasa
Ramanujan (Dev Patel) di
Madras che ha aperto le porte dell’infinito permettendo di studiare, tra
l’altro, anche i buchi neri. Questi venne ammesso all’Università di Cambridge,
prima che scoppiasse la I guerra mondiale, grazie all’interessamento del
professore Godfrey Harold
Hardy (Jeremy
Irons), apologeta della matematica e membro della prestigiosa Royal Society,
che ne riconobbe lo straordinario e innato talento matematico. Ramanujan divenne collaboratore di Hardy,
il quale lo definì “l'unico incidente romantico della
mia vita” e gli fece comprendere con forza che, non la sola intuizione, ma
l’intuizione di una legge e la sua dimostrazione sono prerogative essenziali
della validità della stessa legge e della conseguente pubblicazione nelle
riviste scientifiche, così come avevano fatto grandi matematici come Eulero e
Jacobi che avevano dato contributi essenziali alla teoria dei numeri con la
dimostrazione di quanto avevano postulato. Hardy e lo stesso Ramanujan, pur
contrapposti sull’esistenza di Dio (il primo ateo e il secondo credente), non
ebbero vita facile all’interno del corpo accademico a causa dei docenti che li
contrastavano più per pregiudizio e presunzione che per cognizione di causa. Ebbero,
però, il sostegno morale, e per certi versi materiale, anche se momentaneo di
Bertrand Russel (Jeremy
Northam), indiscusso fautore della libertà di pensiero, che venne trasferito ad
altra università per le sue idee pacifiste per le quali subì anche il carcere, e di John Littlewood (Toby Jones) che dovette assentarsi dall’università
per vestire i panni militari come collaboratore del ministero della difesa per
tutta la durata della guerra.
E, in questo contesto, tra il professore Hardy e Ramanujan nacque
una grande amicizia e si sviluppò un amore per la scienza al di sopra di ogni
miserabile grettezza e piccolezza umane.
Jeremy Irons con la sua sagacia di attore veterano –
recentemente è stato protagonista del film “La corrispondenza” (2015) di
Giuseppe Tornatore nei panni di un altro docente Ed Phoerum -, è riuscito ad interpretare magnificamente il
professor Hardy evidenziandone, nel contempo, con successo la nobiltà d’animo,
la bravura e la caparbietà, e Dev Patel, divenuto famoso per il celeberrimo
“The Millionaire” (2008) di Danny Bolye, dopo otto anni con la sua brillante
interpretazione ha dato credibilità al grande matematico indiano che soltanto
un film di tale portata poteva elevare a popolarità.
Filmografia
Ropewalk (
2000).
Francesco
Giuliano
venerdì 10 giugno 2016
L’associazione della Stampa estera in Italia annuncia i Premi alla 56^ edizione dei Globi d’Oro 2016
Roma, 9 giugno 2016.
L’Associazione della Stampa Estera in Italia annuncia i vincitori dei Globi
d’Oro 2016, i premi della Stampa Estera ai film italiani arrivati alla 56^ edizione
e che saranno assegnati questa sera durante la cerimonia di premiazione a
Palazzo Farnese.
Assegnati anche i due premi speciali: il Gran Premio della Stampa Estera a Fuocoammare di
Gianfranco Rosi e il Globo d’Oro alla Carriera a Nicoletta Braschi e Roberto
Benigni.
Ecco l’elenco dei premi assegnati con le motivazioni.
MIGLIOR CORTOMETRAGGIO
Premiato: Tra le dita di Cristina K. Casini
Motivazione:
A Cristina K. Casini, che ha saputo con poesia, delicatezza e un
tocco di surrealismo, fotografare i sentimenti che risiedono in uno
scatto.
MIGLIOR DOCUMENTARIO
Premiato: If Only I Were That Warrior di Valerio Ciriaci
Motivazione:
Per il coraggio, l’equilibrio e la maestria tecnica, davvero notevoli per
un’opera prima, con cui getta luce sulle pagine buie del passato coloniale
italiano, aprendo uno squarcio sulle troppe amnesie che lo circondano.
MIGLIOR MUSICA
Premiato: Carlo Crivelli per Sangue del mio sangue
Motivazione:
Per aver saputo rendere, con pari efficacia e armonia, le atmosfere di
due epoche così diverse tra loro: il ‘600 e i giorni nostri.
MIGLIOR FOTOGRAFIA
Premiato: Fabio Zamarion per La corrispondenza
Motivazione:
Con sfumature ora gotiche ora mediterranee Fabio Zamarion ha saputo
tradurre in meravigliose immagini i toni drammatici e il tessuto narrativo
dell’intenso film di Giuseppe Tornatore, dove convivono vita e morte, realtà e
immaginazione.
MIGLIOR OPERA PRIMA
Premiato: L’Attesa di Piero Messina
Motivazione:
Il film è poesia pura, con splendide riprese. Vi è interiorità, vi sono
silenzi eloquenti, come nell’abbraccio silenzioso della fine che dice più di
mille parole. Grazie alla raffinatezza nel presentare i sentimenti attraverso
immagini bellissime, ci sembra chiaro che abbiamo a che fare con un promettente
talento del cinema italiano che mette la sua Sicilia in primo piano.
MIGLIOR COMMEDIA
Premiato: Perfetti sconosciuti di Paolo Genovese
Motivazione:
Per una commedia tagliente, che, fedele alla tradizione
italiana, svela vizi e virtù del terzo millennio e con un finale amarognolo sa
omaggiare degnamente il Maestro Ettore Scola e la sua Terrazza ormai vuota.
MIGLIOR SCENEGGIATURA
Premiato: Ivan Cotroneo e Monica Rametta per Un bacio
Motivazione:
Quello che noi della giuria del Globo d'Oro abbiamo apprezzato, nella
sceneggiatura del film “Un Bacio”, è stato il coraggio di raccontare, con
fantasia e sensibilità, un tema particolarmente complesso, come è quello del
bullismo e dell'omofobia.
MIGLIOR ATTRICE
Premiata: Ondina Quadri per Arianna
Motivazione:
Per un'interpretazione mirabolante che in un modo poetico chiude le porte
dell’infanzia e con delicatezza affronta i dubbi della prima giovinezza,
rendendo universale la domanda sul proprio essere.
MIGLIOR ATTORE
Premiato: Elio Germano per Alaska
Motivazione:
Ad un attore che riesce sempre a superarsi in bravura e intensità e a
creare personaggi spessi e intensi utilizzando mezzi e aiuti anche non
'ortodossi'.
Con la sfida totale il risultato aumenta.
MIGLIOR FILM
Premiato: Lo chiamavano Jeeg Robot di Gabriele
Mainetti
Motivazione:
Un premio doppiamente motivato. Perché confronta per la prima volta il
mondo coriaceo della periferia romana con la carica esplosiva della “science
fiction”. Perché si è imposto all’attenzione di tutti grazie ad uno
straordinario passaparola.
GRAN PREMIO 2016 DELLA STAMPA ESTERA
Fuocoammare di Gianfranco Rosi
Motivazione:
Il “Gran Premio della Stampa Estera 2016” rende omaggio a un’opera forte
che è un grido di rivolta di fronte a una tragedia continua ormai percepita con
rassegnazione, come una sorta di normalità. “Fuocoammare”descrive un popolo di
pescatori che accoglie a braccia aperte tutto quello che viene dal mare,
compresa la disperazione umana, con una generosità che riscatta l'Europa dal
filo spinato e delle ossessioni identitarie.
GLOBO D’ORO 2016 ALLA CARRIERA
Premiati: Nicoletta Braschi e Roberto Benigni
Motivazione:
L'Associazione della Stampa Estera consegna il “Globo d'Oro 2016 alla
Carriera” alla coppia più popolare del cinema italiano di oggi. Fuori dagli
schemi in tutto, loro due non raccontano la cultura, la fanno. Più italiani tra
gli italiani, rappresentano una vera quintessenza dell’imprevedibile anima di
questo Paese. Sanno di continuo tradurre l’arduo in un linguaggio universale
che affascina e incanta. Una coppia la cui carriera ha raggiunto e superato
vette e sogni.
Torna la Rassegna “Lo schermo è donna” 2016 a Fiano Romano - Premiato il talento femminile nel cinema
Riparte la Rassegna che premia il talento femminile nel cinema “Lo schermo è donna” dal 13 al 18 giugno 2015 (a partire dalle ore
21:00), a Fiano Romano a due passi da Roma, nella suggestiva
cornice del Castello Ducale.
La Manifestazione, giunta alla sua XIX edizione, è
promossa e organizzata dall’associazione culturale “Città per l’Uomo” con il
patrocinio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, della Regione
Lazio, della Provincia di Roma e del comune di Fiano Romano.
Sei giorni di proiezioni,
incontri con i protagonisti del cinema italiano e approfondimenti sui film, selezionati tra le recenti uscite cinematografiche.
Ad aprire quest’anno la rassegna, lunedì 13 giugno, saranno la regista Maria Sole Tognazzi e l’attrice Sabrina Ferilli. Proprio lunedì 13 sarà assegnato il primo premio
di questa edizione a Maria Sole
Tognazzi che riceverà il “Premio Giuseppe De Santis alla carriera". La serata
proseguirà con la proiezione del film Io e lei con protagoniste Sabrina Ferilli e Margherita
Buy.
Martedì 14 giugno saliranno sul palco il regista Claudio Giovannesi e la
giovanissima attrice Daphne
Scoccia, che riceverà il “Premio
Giuseppe De Santis – Giovani” per il film Fiore di Claudio Giovannesi,
che verrà proiettato subito dopo la premiazione.
Mercoledì 15 giugno sarà il giorno dell’omaggio al regista Ettore Scola,
scomparso pochi mesi fa. Durante la serata sarà presentato il documentario di
Silvia e Paola Scola Ridendo e
scherzando alla presenza di una delle registe, Silvia Scola e
Walter Veltroni, storico amico di Ettore Scola.
Giovedì 16 giugno sarà proiettato il film Non essere cattivo di Claudio
Caligari. Per l’occasione saliranno sul palco per introdurre il film alcuni dei
protagonisti della pellicola: Silvia
D’amico, Roberta Mattei, Alessandro Borghi, e gli sceneggiatori Francesca Serafini e Giordano Meacci.
Venerdì 17 giugno sarà assegnato l’ultimo premio di questa
edizione ex-aequo “il premio Giuseppe
De Santis” a Valeria Solarino
e Claudia Potenza, per il filmEra
d’estate di Fiorella Infascelli, che sarà a Fiano assieme alle
due attrici.
Sabato 18 giugno per la serata conclusiva della rassegna, arriva
sul palco di Fiano Romano l’attrice Paola Minaccioni che introdurrà il film Miami Beach in cui è
l’interprete principale assieme a Max Tortora per la regia di Carlo Vanzina.
L’ingresso
alla Rassegna è gratuito fino a esaurimento posti..
giovedì 9 giugno 2016
“Enrico Rava. Note necessarie”, film-documentario diretto da Monica Affatato sul trombettista italiano, in anteprima mondiale al Biografilm Festival a Bologna
Verrà presentato in anteprima
mondiale il 12 giugno alle 17.30 nella cornice del Biografilm
Festival di Bologna il film documentario “Enrico Rava. Note
necessarie” diretto dalla regista Monica Affatato, che torna a
trattare attraverso immagini cinematografiche il mondo della musica. Dopo
un'incursione nel combattivo mondo musicale di Demetrio Stratos attraverso il
documentario “La voce di Stratos”, la regista torinese racconta un'altra icona
della musica italiana: Enrico Rava, trombettista
italiano più celebre al mondo.
Geniale e innovativo musicista, la vita di Rava corrisponde a un
importante pezzo di storia del jazz e della musica in generale, in un momento
storico di grande fermento sia politico che culturale. Attraverso la ricerca di
Monica Affatato, che con grande curiosità e consapevolezza ha ripescato dagli
archivi materiali unici e rari, arricchito da approfondimenti teorici di
Stefano Zenni che contestualizzano questa musica così evolutiva, ripercorriamo
con Rava, e attraverso Rava, decenni di arte. La collaborazione con Altan, che
nel 1997 illustrò l’album ‘Noir’ con un inedito fumetto, in cui Rava era
protagonista; il duetto con Bollani (che nel documentario racconta gli sfiziosi
'dietro le quinte' del loro tour); la collaborazione con artisti come
Michelangelo Pistoletto (che curò nel 1980 la copertina del suo LP ‘Ah’); la
presenza nel film di riprese rare di Pier Paolo Pasolini; le jam session con
Gato Barbieri; le serate con le leggende del jazz italiano come Massimo Urbani
e uno strepitoso concerto con Michel Petrucciani.Ed altro ancora. Con uno stile
fresco vengono raccontati il passato e il presente, in un medley di
eventi unici e irripetibili raccontati in prima persona da chi li ha vissuti,
per poi essere raccolti e confezionati con originale capacità.
“Quando ero ragazzino l’idea di fare il musicista di Jazz era come voler fare il cowboy”- afferma Rava.
Da Torino a New York, da Buenos Aires ad Atlanta, Enrico Rava ha
plasmato il jazz contemporaneo degli ultimi cinquant'anni. Nel film assieme a
colleghi e amici, ripercorre la sua vita salvata e modellata dall'incontro con
la musica. Con il trombettista, le sue storie personali e gli incontri
avvincenti dagli anni Sessanta fino ad oggi, “Enrico Rava. Note
Necessarie” ci accompagna in un viaggio (non solo biografico) che
attraversa il mondo del jazz, per scoprirne la forza di musica rivoluzionaria e
il potere di arte liberatoria che si trasforma insieme con la società.
Intessuto di musica e concerti (che sarà possibile ascoltare
grazie alla magia avvolgente del Dolby Digital 5.1), materiali esclusivi e
interviste a Carla Bley, Roswell Rudd, Michelangelo Pistoletto, Francesco
Tullio Altan e tanti altri, arricchito da materiali rari - dal Gato Barbieri
filmato da Pasolini alla presenza di Michel Petrucciani -, attraversato da
riflessioni teoriche, il film conduce al nucleo segreto del jazz, ciò che lo
rende un linguaggio di libertà, oltre che un genere musicale.
È quella imprevedibilità dell'improvvisazione, che si conserva
nella sua anima non scritta, ribelle, e al tempo stesso aperta e inclusiva.
Come Enrico Rava ci ricorda: “Quando tutto funziona, è una democrazia perfetta,
che solo il jazz può creare”.
La sera del 12 giugno, alle 21.15, la musica continua,
nell’ambito del programma distaccato del festival, nella sezione Bioparco (che
si svolge al Parco del Cavaticcio a Bologna): Enrico Rava si esibirà
con il suo "New Quartet" nella splendida cornice degli eventi
speciali del Biografilm.
mercoledì 8 giugno 2016
Il ‘Ciak Alice giovani’ va a ‘Un bacio’ di Ivan Cotroneo
Il ‘Ciak Alice giovani’ nasce dalla collaborazione tra Alice nella Città, sezione autonoma e parallela della Festa del
Cinema di Roma e la Rivista di cinema ‘Ciak’. Questa categoria di premio nata cinque
anni fa per intercettare i gusti del pubblico giovane è dedicata al miglior film italiano rivolto al mondo
dei ragazzi e degli adolescenti.
Il ‘Ciak
Alice giovani 2016’ è stato assegnato al film di Ivan Cotroneo “Un bacio”, prodotto da Indigo
Film e Titanus con Rai Cinema e distribuito da Lucky Red.
A scegliere
il vincitore sono stati i lettori del cine-magazine che hanno votato sulla
pagina Facebook di Ciak, insieme con gli studenti delle scuole secondarie
di tutto il territorio nazionale.
A decretare
la vittoria di ‘Un bacio’ sono
state oltre 2500 preferenze.
In gara per
il ‘Ciak Alice Giovani’ c’erano
12 titoli scelti dalla redazione di Ciak assieme alla direzione di Alice nella
Città: si tratta di pellicole uscite in sala tra il 1 maggio 2015 e il 30
aprile 2016 che ‘Alice nella Città’ e la redazione hanno selezionato riservando
una particolare attenzione alle opere prime poco note al grande pubblico e a
quei film con tematiche importanti legate al mondo giovanile.
Questi
i titoli che erano in lizza per il Ciak Alice Giovani 2016:
Un
bacio di Ivan Cotroneo; Veloce come il vento di Matteo
Rovere ; Zeta di Cosimo Alemà; Il bambino di Vetro di Federico
Cruciani; La nostra quarantena di Peter Marcias ; Arianna di
Carlo Lavagna; Bella e perduta di Pietro Marcello; Fuocoammare di
Gianfranco Rosi ; Lo chiamavano Jeeg Robot di Gabriele
Mainetti
Il racconto
dei racconti di Matteo Garrone; La felicità è un sistema
complesso di Gianni Zanasi ; Pecore in erba di Alberto
Caviglia.
"Sono
felice e onorato di ricevere il ‘’Ciak Alice Giovani’, per un film come ‘Un
bacio’, interpretato da tre esordienti e così fortemente incentrato su
tematiche particolarmente significative per gli adolescenti: bullismo, omofobia
e ogni forma di discriminazione, ma anche ricerca della felicità e fuga
dall'omologazione verso la libertà”, commenta così il premio il regista e
sceneggiatore Ivan Cotroneo, “Voglio ringraziare tutte le persone
che hanno votato per questo film, in special modo i ragazzi delle scuole
superiori di primo e secondo grado che hanno visto il film, e lo hanno ritenuto
vicino e capace di parlare a loro e con loro. Grazie."
“Siamo
contenti che il premio di anno in anno diventi sempre più partecipato dai
ragazzi delle scuole e dai giovani lettori di Ciak e felici che la scelta dei
ragazzi sia ricaduta su ‘Un
bacio’, un film che ‘Alice nella città’ ha sostenuto
e accompagnato anche in tour nelle scuole prima dell’uscita, poiché
tratta tematiche importanti come bullismo e omofobia.” Con queste
parole Fabia Bettini e
Gianluca Giannelli, direttori
artistici di Alice nella città, commentano il premio.
Questa iniziativa è solo una delle tante che contribuisce a proseguire
l’attività di Alice nella Città anche nel corso dell’intero anno scolastico,
dialogando con gli studenti in modo continuo attraverso varie forme di
coinvolgimento e d’intervento.
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