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mercoledì 26 ottobre 2011

Romanticismo ed epicureismo nell’ultimo film di Gus Van Sant: L’amore che resta.



“L’amore che resta” è l’ultimo film di Gus Van Sant (regista dell’indimenticabile e originale “Scoprendo Forrester” con l’insuperabile Sean Connery)) con due giovani attori, Henry Hopper e Mia Wasikowska, che personificano rispettivamente due giovani ventenni, Enoch e Annabel. In questo film il regista, che mette sempre sul primo piano, in chiave psicologica, la sensibilità, la fragilità e il disorientamento dei giovani nella società moderna, affronta un tema interessante, quello dell’Amore e della Morte, tanto caro a Giacomo Leopardi che, nel canto, Amore e Morte, con un incipit di Menandro “Muor giovane colui ch’al cielo è caro”, così recita “Fratelli, a un tempo stesso, Amore e Morte/ Ingenerò la sorte./ Cose quaggiù sì belle/Altre il mondo non ha, non han le stelle./ Nasce dall’uno il bene,/ Nasce il piacer maggiore/ Che per lo mar dell’essere si trova;/ L’altra ogni gran dolore,/ Ogni gran male annulla.” Detta così, e avendo preso come riferimento uno dei più grandi poeti pessimisti del romanticismo italiano, sembrerebbe che il film avesse una piega tristemente malinconica e dai primi fotogrammi dà allo spettatore questa idea. Enoch, infatti, uscito indenne da un brutto incidente dove sono morti i suoi genitori, è un giovane chiuso e infelice che, vestito di nero di tutto punto, partecipa ai funerali di estranei. Forse lo fa per colmare la profonda mancanza generata dal fatto che non ha potuto assistere al funerale dei genitori né vederli per l’ultima volta poiché in quel tempo era in coma, oppure lo fa per poter vedere nel morto i propri genitori. In uno di questi funerali conosce Annabel e, come un lampo a ciel sereno, se ne innamora in un attimo. E allora amare è come morire, come sostenta ancora, nel medesimo canto, Giacomo Leopardi “Quando novellamente/ Nasce nel cor profondo/ Un amoroso affetto,/ Languido e stanco insiem con esso in petto/ Un desiderio di morir si sente:/ Come, non so: ma tale/ D’amor vero e possente è il primo effetto.”
Nel momento in cui, tuttavia, la vita di Enoch sta per avere una svolta ingenerante un cambiamento positivo e, di conseguenza, sta per fargli cogliere una felicità tanto agognata, viene colto da un’angoscia profonda nell’attimo in cui apprende che alla sua amata Annabel, malata terminale per un cancro, rimangono pochi mesi di vita. Alla disgraziata fine dei genitori che aveva relegato Enoch in una depressione paurosa, quasi irreversibile, se ne aggiunge ora un’altra, che gli appare ancora più sconvolgente. È qui che nel suo svolgersi il film acquista un andamento, a parer mio, dai connotati epicurei, perché si svolge essenzialmente attorno al tema del Carpe diem di oraziana memoria, (come postula il poeta latino Orazio nella XI ode dedicata a Leuconoe) “carpe diem, quam minimum credula postero”, in quanto i due giovani cercano di vivere la vita, momento per momento, incuranti della triste certezza del domani funesto. Anche perché, nella disumana situazione di Annabel, il film dà un messaggio di particolarità originale: non serve a niente sperare, in quanto la speranza risulta vana e illusoria, come sostiene il filosofo Luc Ferry secondo cui “... la speranza non solo ci mette in uno stato di tensione negativa, ma ci priva anche del presente: preoccupati di un avvenire migliore, dimentichiamo che l’unica vita che valga la pena di essere vissuta, la sola che,molto semplicemente, esista,è quella che si svolge sotto i nostri occhi,qui e ora”. Per questo hanno fatto bene i due giovani a non sperare che la penosa prospettiva palesata volgesse per il meglio, ma a godere del tempo rimanente ad Annabel facendo esplodere e realizzare i loro sentimenti più genuini. L’epicureismo, in questo bel film, risalta ancora dalla contrapposizione della brevità della vita all’amore che resta dopo la morte o, in senso ottimistico, perché la morte altro non è che la prosecuzione della vita stessa. Allora piuttosto che piangersi addosso – questo penso voglia essere il messaggio del regista -, non è meglio godere dei momenti felici, di quei momenti in cui l’amore sboccia come un fiore delicato, profumato, e sensibile che rende la vita colorata e apprezzabile? Carpe diem, dunque. E un altro messaggio che ho colto come spettatore è che ognuno di noi sa che deve morire ma non sa quando. Ebbene dove sta la differenza visto che la morte accomuna tutti gli esseri viventi? Non essendoci, allora, differenza tra chi sa quando approssimativamente deve morire e chi, invece, non lo sa, a che serve pensare al domani trascurando di captare i momenti felici e viverli intensamente?

Trailer:
http://www.youtube.com/watch?v=ffQM4zDcse0

Fonti
Dal canto XXVII, Amore e Morte (1-10 e 27-33) - I canti (introduzione e commento di Mario Fubini e con la collaborazione di Emilio Bigi) di Giacomo Leopardi –– Loescher, 1964
Luc Ferry (trad. di Simona Martini Vigezzi) – Al posto di Dio – Sguardi Frassinelli






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