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mercoledì 8 gennaio 2014

“Col fiato sospeso” è un film denuncia sulla sicurezza di alcuni laboratori di ricerca universitari

Titolo: Col fiato sospeso
Regia: Costanza Quatriglio
Sceneggiatura: Costanza Quatriglio
Produzione: Italia 2013

Cast: Alba Rohrwacher, Anna Balestrieri, Michele Riondino, Gaetano Aronica
Un film “Col fiato sospeso”, trasmesso su RaiTre in seconda serata, ieri, è condotto dalla brava regista palermitana Costanza Quatriglio con lo stile del documentario, anche se non è un documentario nel senso stretto della parola, dove molte immagini sostituiscono con sagacia ed efficacia le parole. Il cast è costituito da pochissimi attori, tra cui spicca in primissimo piano la bravissima Alba Rohrwacher, che interpreta la parte di Stella, una studentessa universitaria, laureanda in farmacia che per la sua tesi viene inserita in un laboratorio sperimentale per svolgere il relativo lavoro di ricerca sovvenzionato da un’industria farmaceutica. Stella viene subito attratta dallo studio della chimica, una materia affascinante e coinvolgente, che incanta e che al tempo stesso intimidisce, che come in una tela del ragno l’afferra e non la molla più, e che per certi aspetti è misteriosa. Questa materia, che affonda le sue radici nell’antica alchimia, a Stella forse, come a Primo Levi, nel suo racconto “Idrogeno” tratto da “Il sistema periodico”, “… rappresentava una nuvola indefinita di potenze future, che avvolgeva il mio avvenire in nere volute lacerate da bagliori di fuoco. Come Mosè, da quella nuvola attendevo la mia legge, l’ordine in me, attorno a me e nel mondo. … per dragare il ventre del mistero”. La studentessa lavora in quel laboratorio, attratta dalle continue scoperte che fa, dalla mattina alla sera ininterrottamente, andando incontro inconsapevolmente a dei rischi seri, in generale, ma, in particolare, a dei rischi latenti per la salute, così come racconta ancora Primo Levi “… Ci fu un’esplosione, piccola ma secca e rabbiosa. … a me tremavano un po’ le gambe; provavo paura retrospettiva, e insieme una certa sciocca fierezza, per aver confermato un’ipotesi, e per aver scatenato una forza della natura. Era proprio idrogeno…” . Poco alla volta, però, Stella si rende conto che il laboratorio di chimica è insalubre e tutto il tempo ivi trascorso le può essere nocivo, tant’è che qualche volta è presa da svenimenti. L’evento, però, viene sottovalutato come tante altre volte, perché “il concetto di veleno è connesso con la quantità” gli dice il suo professore. Trascurando il fatto che composti, come il benzene o l’amianto o come qualunque altra sostanza incognita ivi prodotta, altamente cancerogeni o potenzialmente tali, dovrebbero essere usati con le dovute precauzioni e con le adeguate attrezzature che un laboratorio di ricerca, degno di questo nome, dovrebbe avere. “Sarà stata una strana coincidenza” le verrà detto, “perché la causa del suo malore non potrà essere addossata al laboratorio, perché in esso ci lavorano anche figli degli stessi docenti universitari”. La sua amica Anna (Anna Balestrieri) cerca invano di convincerla di lasciare quella ricerca e quindi di allontanarsi da quel laboratorio. Tale scelta la porterà ad un amaro epilogo, lo stesso toccato, prima di lei, ad un dottorando di ricerca, Emanuele (voce narrante Michele Riondino), il cui nome si collega ad Emanuele Patané, il giovane morto di tumore ai polmoni nel 2003, che aveva già percorso la sua stessa strada.
Questo è un film-denuncia sulla conduzione di taluni laboratori di ricerca  universitari, in cui non si tiene conto della salubrità ambientale e del rispetto di tutte quelle norme esistenti in Italia da circa un sessantennio e successive integrazioni, secondo cui gli studenti italiani sono equiparati per ciò che riguarda i tempi di lavoro e il rispetto delle norme di sicurezza a tutti gli altri lavoratori.
Il film è stato presentato al Festival del Cinema di Venezia 2013.

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