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giovedì 21 giugno 2012

Nel film “Molto forte, incredibilmente vicino” Stephen Daldry cerca di dare una risposta alla follia umana.

Titolo: Molto forte, incredibilmente vicino.
Titolo originale: Extremely Loud and Incredibly Close.
Regia: Stephen Daldry.
Soggetto: Eric Roth.
Sceneggiatura: Jonathan Safran Foer.
Produzione: Stati Uniti, 2012.
Cast: Sandra Bullock, Thom Hanks, Thomas Horn , Max Carl Adolf Von Sydow, John Stephen Goodman, Viola Davis; […]

Dopo i precedenti successi ottenuti prima con il film esordio “Billy Elliot” (Oscar 2000), poi con il film capolavoro “The Hours” (nove nominations all’Oscar 2003, due Golden Globe e un’Orso d’Argento di Berlino) e, infine, con il penultimo film “The Reader” (premio Oscar 2009), il regista Stephen Daldry ci riprova ancora con “Molto forte, incredibilmente vicino” tratto dall’omonimo best seller di Jonathan Safran Foer. Un film che non produce, però, gli stessi effetti dei film già citati e che non appare efficace nella lettura, dinamico nel susseguirsi delle azioni, e non suscita nella parte iniziale attenzione nello spettatore, anzi la inibisce fino a causare per certi tratti noia. Eppure le premesse fatte e il cast di attori di livello indiscusso come Sandra Bullock, Thom Hanks e Max Von Sydow che hanno rispettivamente al loro attivo film di straordinaria levatura e di successo internazionale, lasciavano ben sperare. Il film tratta di Oskar Schell (l’eccellente Thomas Horn, quindicenne), un ragazzo rimasto orfano del padre Thomas Jr. (Thom Hanks) morto l’11 settembre 2001 mentre si trovava per questioni di lavoro in una delle due torri gemelle del World Trade Center.

Oskar rimane disorientato, non trova pace, è agitato, irrequieto, facilmente irritabile, perde i punti di riferimento fiduciali, ha il vuoto attorno a sé, non trova conforto neppure nella madre (Sandra Bullock) e gli si blocca quella spinta emotiva, passionale, euristica che il padre, gioielliere ma con una laurea in biochimica e quindi con una formazione scientifica, era riuscito a trasmettergli. Tant’è che Oskar giunge ad esprimere concetti profondi come questo: "La vita dopo che sei morto è come quella prima di essere nato".
Casualmente Oskar, un giorno, rovistando tra gli oggetti del padre, incappa in un vasetto di ceramica in cui c’è una bustina, su cui è scritto il nome black. Nella bustina c’è una chiave. Pensa, allora, che la chiave sia associata ad una persona di nome Black che aveva a che fare con il padre. Trovare quella persona significa pervenire a quelle risposte che la prematura dipartita del padre gli aveva impedito di ricevere. Questo gli dà non solo lo stimolo e l’impulso a fare indagini applicando la metodologia scientifica che aveva acquisito, ma anche gli fa rivivere nella mente la figura del padre con il quale intraprende quel dialogo formativo interrotto bruscamente e inspiegabilmente a cui dare un senso compiuto. In questa ricerca affannosa e disperata altrettanto casualmente Oskar riesce a coinvolgere l’inquilino (Max von Sydow), un vecchio affetto da mutismo e avvolto da un alone di mistero, che vive chiuso in una stanza dell’appartamento della nonna paterna. Con questi, che risulta poi essere il nonno paterno Thomas Sr., Oskar continua il giro della New York City per trovare quel Black, che alla fine rintraccia ma non riceve quella risposta che lui pensava di avere. Sono contento di aver avuto una delusione che è molto meglio di non aver avuto niente! – Afferma Oskar al signor Black. Una delusione però che porta il ragazzo ad una nuova vita. Così come lo scienziato che cerca una cosa e ne trova un’altra. Per serendipità, dunque.

Si può dire che quest’ultima parte del film è la più apprezzata e la più coinvolgente sia perché Max von Sydow, pur ricoprendo la parte di un vecchio incapace di parlare, ossimoramente argomentando, riesce ad essere molto eloquente con la sua forte espressione mimica di grande attore, sia perché si instaura un dialogo bi-iettivo vicendevole tra un vecchio e un giovane, tra passato e futuro, che trovo molto significativo, educativo e commovente. Non può esserci futuro se non si conosce il passato e non si possono orientare le scelte future senza tener conto del passato.

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