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giovedì 17 novembre 2011

La supremazia del maschilismo raccontata con lo stile di Pupi Avati ne “Il cuore grande delle ragazze”




Una storia bizzarra, quella de “Il cuore grande delle ragazze” di Pupi Avati, per certi versi straordinariamente fantastica e vivace anche se in fondo parla di una realtà di altri tempi che sembrano lontani ma che sono molto vicini a noi. Una storia reale, dunque, ambientata in un periodo storico altrettanto stravagante del quale vengono messe in evidenza la stupidità, l’insensatezza, l’avidità e l’arroganza di chi ha lo scettro in mano, dove sono sempre i più deboli a soccombere, come le donne e i miserabili. Una storia reale dove le azioni, molte delle quali appaiono esagerate e insensate, sono fatte di meschinità e miseria, dove il maschilismo ha sempre la supremazia, vuoi per il dongiovannismo mostrato da Carlino Vigetti (Cesare Cremonini), che ha fatto l’amore con tutte le belle ragazze della contrada, vuoi per il capofamiglia Orsi, con il fucile sempre a portata di mano, degno rappresentante di un periodo storico tristemente opprimente e oscurantista. Il periodo è quello dell’Italia fascista, appunto, dove la virilità e la forza sono gli stereotipi fondamentali imposti da un’ appropriata educazione imposta sin dalla tenera età (i balilla ne sono lo stereotipo), da cui non ci si può sottrarre e a cui i deboli devono soccombere. Il debole deve perdere, e anche morire (!), dinanzi al potente: lupus est homo homini affermazione di memoria plautiana e, più relativamente recente, hobbesiana. Una storia, accompagnata dalle bellissime musiche di Lucio Dalla, ambientata in un magnifico paesaggio agreste, fondamentalmente rurale, come lo era l’Italia di quel periodo, rustico, per certi versi anche bucolico, in cui i protagonisti appaiono rozzi, sudici, ovviamente più passionali che razionali, e alcuni anche spregevoli. La vicenda si svolge intorno alla diatriba tra un povero e debole contadino, mezzadro (Andrea Roncato), con tre figli, di cui uno è Carlino appunto, e un arrogante, miserabile e sporco proprietario terriero Sisto Orsi (Gianni Cavina), con due figlie bruttissime da sposare a tutti i costi, ed una terza figlia bellissima, adottiva, Francesca, (Micaela Ramazzotti) che viene scartata da quell’obiettivo. Questo invece viene messo in conto quando casualmente Carlino e Francesca si incontrano e si innamorano a prima vista.


Pupi Avati, attraverso la sua consolidata e oculata esperienza di regista, riesce a descrivere, accostandosi fondamentalmente alla metafora, un periodo storico i cui connotati sociali si ripetono sostanzialmente ancora oggi (purtroppo i fatti di cronaca recentissima dimostrano che il potere ha il predominio su tutto), anche se sotto altra forma, e lo fa divertendosi e facendo divertire il pubblico. Tra gli attori, tutti bravi, spicca la "romanaccia" Micaela Ramazotti, che con il suo modo di fare da "coatta" riesce a farsi apprezzare ancora una volta dopo la favolosa interpretazione de La prima cosa bella di Paolo Virzì. (Francesco Giuliano)

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