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venerdì 31 maggio 2013

“Il figlio dell’altra” è un film che dimostra che solo con l’amore ci si può dimenticare dei contrasti originari


Titolo: Il figlio dell’altra

Titolo originale: Le fils de l’Autre

Regia: Lorraine Lèvy

Sceneggiatura: Lorraine Lèvy, Noam Fitoussi, Nathalie Saugeon

Produzione: Francia, 2012

Cast: Emmanuelle Devos, Pascal Elbé, Jules Sitruk, Mehdi Dehbi, Areen Omari, Khalifa Natour, Mahmood Shalabi, […]


Il figlio dell’altra” è un film interessante che mette in evidenza quanto i diritti di cittadinanza acquisiti all’atto della nascita, possano essere messi in discussione, nel caso di errori amministrativi di registrazione anagrafica, determinando la perdita dei connotati culturali di appartenenza dei soggetti interessati. In definitiva, il film affronta, in modo particolare, la questione dell’odio e la diversità delle religioni tra popoli perpetrate nel tempo e relativizzate alla questione annosa e irrisolvibile del perenne conflitto arabo-israeliano,  ma che è anche una questione avente un carattere di natura universale. Ne parla di questo problema il filosofo Immanuel Kant che, nel suo saggio “Per la pace perpetua”, sottolinea  che a causa del “… diritto di comune possesso della superficie della terra, sulla quale, essendo sferica, gli uomini non possono disperdersi all’infinito, ma alla fine debbono rassegnarsi a coesistere…”. Il determinismo naturale, connesso con la sfericità della terra, e il diritto naturale originario acquisito con la nascita sulla terra sarebbero i presupposti per eliminare i confini che separano i popoli. E invece, a tutt’oggi non è così e lo dimostra questo film! Dopo secoli di storia di guerre e controversie fratricide, gli uomini si lasciano ancora trasportare dalle differenze culturali e di religione, a tal punto che se si scopre che un giovane, ritenuto ebreo, Joseph (Jules Sitruk) ha i genitori arabi, perde le prerogative di appartenenza acquisite. E se si scopre contestualmente che un giovane arabo Yacine (Mehdi Dehbi) ha i genitori ebrei, non può circolare liberamente nel territorio israeliano. L’acquisizione dei diritti di ciascuno dei due giovani viene persa quando si scopre che alla nascita erano stati scambiati. La situazione viene affrontata in modo ambiguo perché le autorità governative non vogliono affrontare il problema lasciando le cose come stanno, come se il problema fosse soltanto particolare e non generale. Joseph e Yacine con le loro rispettive famiglie, Joseph arabo vive in una famiglia ebrea e Yacine, ebreo, vive in una famiglia araba. Joseph ha avuto un’educazione ebrea, si sente ebreo, ma ora è scartato perché i suoi genitori sono musulmani. Yacine ha avuto un’educazione araba, ma è ebreo.  Ambedue vivono separati da un muro disumano e quando si conoscono, scoprono che tra di loro non c’è quell’odio che gli hanno insegnato a scuola e in famiglia sin dalla culla. Il film, condotto con delicatezza e con estrema sensibilità dalla regista Lorraine Lèvy, evidenzia paradossalmente le profonde contraddizioni e il dolore che genera in ambedue le parti. Mostra pure l’irriducibilità iniziale dei padri che con la frequenza si dilegua ma mette in risalto pure l’amore di ciascuna delle madri per il proprio figlio e per il figlio dell’altra, amore che sarebbe la soluzione del problema.

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