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giovedì 20 dicembre 2012

Nel film “Tutto tutto niente niente” il regista Giulio Manfredonia descrive la realtà paradossale e volgare dell’Italia dei nostri giorni



Titolo: Tutto tutto niente niente
Regia: Giulio Manfredonia
Soggetto e sceneggiatura: Antonio Albanese, Piero Guerriera
Produzione: Italia 2012
Cast: Antonio Albanese, Lorenza Indovina, Lunetta Savino, Fabrizio Bentivoglio, Paolo Villaggio, Nicola Rignanese, Viviana Strambelli, Davide Giordano, […]


Dopo il grande successo di “Qualunquemente" (2011), il regista Giulio Manfredonia dirige ancora una volta in questo film “Tutto tutto niente niente”, Antonio Albanese, grande attore versatile, che vi interpreta tre personaggi, filibustieri irrazionali, orribili maschere da tragedia greca che sembrano paradossali, che appaiono immaginarie, fantasiose direi, ma che sono purtroppo particolarmente tangibilmente reali. Il più famoso dei tre e il più conosciuto è il calabrese colluso con la mafia Cetto La Qualunque, poi c’è il nordico secessionista/razzista Rodolfo Favaretto e, infine, il mistico Frengo Stoppato. Il primo, il mascolino che respinge solo per "ignoranza" una “escort” pensando che sia diversa dalle sue preferite e consuete “troione” e che cade in depressione per aver provato per la prima volta una "mancanza" sessuale della quale non si capacita, generata da un rapporto inconsapevole con un transessuale di cui tocca il lungo pene. E della cui inconsapevole “toccatina” vuole trovare una giustificazione chiedendo e chiedendosi se esista un clitoride lungo 22 centimetri. Il secondo che, con la sua eccelsa arroganza moralista e disumana, sfrutta gli immigrati, prepara i suoi accoliti alla guerra secessionista aspirando di unire il Nord-Est dell’Italia con l’Austria, e, infine, c’è il terzo personaggio, un balordo che si ritiene un uomo pio e per questo, anche dietro le insistenze convinte della madre (Lunetta Savino), vuole farsi beatificare da vivo (sic!) cercando, per raggiungere questo scopo, di proporre al papa, in seguito ad una sua originale interpretazione del vangelo, la riforma della Chiesa. Attorno a questi personaggi, tuttavia, ne ruotano molti altri, come il buffo vescovo (Teco Celio), o come il dispotico sottosegretario volutamente ingessato nel suo modo di fare e di essere (Fabrizio Bentivoglio) o come il pasciuto Presidente del Consiglio (Paolo Villaggio), che impera silente e domina tutti dal suo alto trono. 
Il film è una satira tragicomica, che va oltre la satira, dei politici italiani corrotti, arroganti, spudorati e anche volgari, soprattutto folli, e che manifesta in modo chiaro e inequivocabile il loro carattere trash. Un film direi che mostra una ricchezza figurativa surreale, colorata, piena di musica che contrasta con il grigio squallore, la povertà intellettuale, l’arroganza populista e la sordidezza decadente di una realtà vissuta che dà anche fastidio. Oserei dire che per queste peculiarità, il film mi fa ritornare con la mente al Satyricon (1969) di Fellini. Un film smitizzante, aspro, mordace, i cui personaggi sono presentati efficacemente come mostri che vanno oltre il ridicolo, oltre il caricaturale, oltre il reale che invece è reale, tanto reale che lo spettatore non riesce a ridere neppure per la battuta più comica che possa esserci nel film. Seguire il film diventa faticoso forse perché lo spettatore conscio della fluidità del precedente “Qualunquemente” si aspetta la stessa scioltezza e un’identica comicità, dato che ci sono lo stesso regista a dirigere e lo stesso attore a plurinterpretare. Comunque un film da vedere non solo per quello che dice ma per la bravura eccelsa dell’istrionesco Albanese e per l'originalità del contenuto.


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